1. Introduzione. – 2. Configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo (“continuazione verticale” tra reato associativo e reati-scopo): le posizioni della giurisprudenza. – 2.1. in particolare: il criterio della determinatezza del programma criminoso. – 3. le posizioni della dottrina. – 4. l’ orientamento minoritario della giurisprudenza favorevole alla configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo. – 5. Le sentt. 14 maggio 1997, n. 1474 e 24 ottobre 1997, n. 3650: incertezze interpretative nella situazione attuale. – 6. Conclusioni. La nostra opinione. – 7. Configurabilità del reato associativo quando i delitti-scopo siano uniti tra loro dal nesso di continuazione (“continuazione orizzontale” tra i reati-scopo programmati). – 7.1. La tesi relativa alla incompatibilità tra il reato associativo e il progetto delinquenziale che avvince i delitti-scopo nel vincolo del reato continuato. – 7.2. La tesi relativa alla compatibilità tra il reato associativo e il progetto delinquenziale che avvince i delitti-scopo nel vincolo del reato continuato. – 8. Conclusioni. La nostra opinione.
1. Introduzione.
L’ordinamento giuridico italiano prevede ipotesi delittuose caratterizzate dalla circostanza che il nucleo centrale dell’ incriminazione è rappresentato dall’ esistenza di un’ associazione avente un programma criminoso: trattasi delle c.d. fattispecie associative (a titolo meramente esemplificativo, può rinviarsi alle figure di reato previste dagli artt. 270, 305, 306, 270-bis, 416, 416-bis c.p.; art. 2, l. 25 Gennaio 1982, n. 17; art. 74, D.P.R. 9 Ottobre 1990, n.309).
Il nuovo testo dell’ art. 81, cpv. c.p., introdotto con D.L. 11 Aprile 1974, n. 99, conv. in L. 7 Giugno 1974, n. 220, definisce, poi, il reato continuato come il fatto di “chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”, prevedendo, per tale ipotesi, l’applicazione della “pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo”.
Oggetto del presente studio è dunque il rapporto tra gli istituti delle fattispecie associative e del reato continuato.
Due costruzioni normative rispondenti a finalità diverse .
Da un lato, la figura del reato associativo, contrassegnata dalla duplice funzione di fornire una sorta di tutela anticipata rispetto alla realizzazione del programma criminoso e di aggravare il carico sanzionatorio nei confronti di chi, associatosi, realizza i reati oggetto del programma: in altri termini, un istituto rispondente a una finalità squisitamente repressiva (1).
Dall’ altro, la figura del reato continuato, la cui ratio è, invece, quella di attenuare il carico sanzionatorio, in considerazione della minor gravità sotto il profilo psicologico e di minore pericolosità del soggetto che procede ad una pluralità di determinazioni delittuose riconducibile ad un unico disegno criminoso (2).
Allo scopo di sgombrare sin d’ ora il campo da equivoci, si deve premettere che al tema dei rapporti tra fattispecie associative e reato continuato, in realtà, sono riconducibili due distinte problematiche.
La prima è quella relativa alla configurabilità della continuazione tra la fattispecie associativa e i reati oggetto del programma criminoso dell’ associazione, con particolare riguardo all’ aspetto inerente alla deducibilità in continuazione della condotta di partecipazione al reato associativo (continuazione verticale tra reato associativo e reati-scopo).
La seconda è quella attinente alla possibilità di ipotizzare un reato associativo allorquando i singoli delitti che costituiscono oggetto di un presunto programma associativo siano uniti tra loro dal vincolo della continuazione, ovvero, in altri termini, alla possibilità di unificare fra loro nella forma del reato continuato, i delitti programmati dall’ associazione (continuazione orizzontale tra i reati-scopo programmati).
Un ultimo rilievo preliminare si impone.
La più gran parte delle pronunce giurisprudenziali cui si fa riferimento per l’ esame delle problematiche sopra evidenziate è relativa alla figura della partecipazione all’ associazione per delinquere (art. 416 c.p.), tuttavia, i principi di diritto ivi contenuti sono estensibili, mutatis mutandis, alle altre fattispecie associative tipizzate dal legislatore.
2. Configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti – scopo (continuazione verticale tra reato associativo e reati-scopo): le posizioni della giurisprudenza .
Si analizza funditus la questione relativa alla ammissibilità della continuazione fra il reato associativo e i singoli delitti oggetto del programma criminoso (continuazione verticale tra reato associativo e reati-scopo).
L’ analisi della questione relativa alla deducibilità in continuazione con i reati oggetto dell’ associazione criminosa del delitto di partecipazione al reato associativo non può prescindere da un sia pur rapido cenno alle soluzioni giurisprudenziali e dottrinali sul tema.
In prima battuta è possibile dire che la giurisprudenza non è pacifica e si divide tra le due opposte tesi della non configurabilità e, in via minoritaria, della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-scopo.
La situazione pare poi complicarsi in relazione ai diversi itinera logici seguiti per accedere all’ una o all’ altra delle due tesi.
Per questo, occorre procedere con ordine e partire con l’ analisi dell’ orientamento -più risalente e di gran lunga prevalente- relativo alla inapplicabilità della continuazione e delle principali argomentazioni addotte a sostegno.
In alcune sentenze (paradigmatica in tal senso è Cass., Sez. V, 24 settembre 1985, Persico, in Cass.pen., 1986, 879) la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità della continuazione tra partecipazione al reato associativo (nella specie un’ associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti) e delitti-scopo successivamente commessi “attesa la totale autonomia, anche sanzionatoria, del primo reato rispetto ai secondi” concludendosi che “l’ adozione della contraria opinione…almeno nei casi in cui l’ associazione concorra con reati-fine più gravi, condurrebbe in pratica…a ridurre la sanzione per il delitto di associazione a mero, accessorio fattore di aumento della pena base prevista per il reato più grave”.
In questa prospettiva, dunque, l’ inammissibilità della continuazione tra la partecipazione all’ associazione per delinquere e i reati programmati si fonda su di una esigenza di mera politica criminale.
2.1. in particolare: il criterio della determinatezza del programma criminoso.
In altre pronunce la Suprema Corte ha negato l’ applicabilità dell’ art. 81, c. 2° con una motivazione meritevole di più ampia considerazione (3).
Il riferimento è a Cass., Sez. I, 30 aprile 1979, Reale, in Giust.pen., 1980, II, in cui si legge che “non è configurabile il vincolo della continuazione fra il delitto di (partecipazione all’) associazione per delinquere e i delitti-programma che siano poi effettivamente commessi…in quanto l’ associazione per delinquere è contraddistinta dall’ accordo programmatico per la commissione di una serie indeterminata di delitti, laddove, per aversi reato continuato, non è sufficiente un generico programma di attività
delinquenziale, ma occorre che tutte le diverse azioni od omissioni siano comprese, sin dal primo momento, e nei loro elementi essenziali, nell’ originario disegno criminoso, nel senso che, fin da quando si commette la prima azione, già siano state divisate tutte le
altre come facenti parte di un tutto unico”.
In tale prospettiva, vi sarebbe dunque una sorta di incompatibilità logica tra la indeterminatezza del programma criminoso dell’associazione per delinquere e la preventivata determinazione del programma richiesta dal reato continuato.
In altri termini, “se l’ accordo è diretto alla realizzazione di più delitti, tutti specificamente individuati, esula la fattispecie dell’associazione per delinquere e si configura la sola partecipazione criminosa (artt.110 ss. c.p.), mentre se il fatto associativo si propone un programma generico e imprecisato di attività delinquenziali (di cui, quindi, non si fissano in origine gli obiettivi concreti e le specifiche modalità esecutive) sussistono tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui all’ art. 416 c.p. Il quale, peraltro, così come è svincolato dalla successiva commissione dei delitti, non presenta alcun legame di continuazione con i delitti medesimi e l’uno e gli altri si pongono solo in rapporto di concorso materiale” (Cass., Sez. II, 7 giugno 1988, Trisolini, in Cass.pen. , 1989, p. 1988; Cass., Sez. II, 14 dicembre 1985, Muia, ivi, 1987).
Sulla medesima scia si pone la Corte di Cassazione, in Cass. pen., Sez. I, 1 giugno 1983, in Cass. pen., 1985, affermando, nella specie, l’ impossibilità di unificare con il vincolo della continuazione la partecipazione al reato associativo e i furti in quanto, a differenza
del reato continuato, nell’ associazione per delinquere l’ accordo che interviene fra gli associati deve riferirsi…alla realizzazione di un programma criminoso di carattere generale e continuativo, che trascende i singoli reati e gli accordi particolari ad essi relativi ed è punito indipendentemente dalla loro effettiva commissione perché costituisce di per sé solo un pericolo per l’ ordine pubblico …”.
Si comprende, pertanto, che, per la Suprema Corte, l’ elemento-chiave, alla stregua del quale sostenere la non configurabilità tra la fattispecie associativa e i reati-scopo, è costituito dal “tipo” di programma che i soggetti intendono porre o hanno già posto in essere: nel reato associativo, un programma di carattere generale e indeterminato; nel reato continuato, un programma circoscritto alla realizzazione di reati determinati. Il compito dell’ interprete, in tal modo, si ridurrebbe ad un’ indagine sulla determinatezza o meno del programma criminoso, unico tratto distintivo tra due fattispecie ritenute logicamente incompatibili (4).
In altri termini, “se il programma criminoso, anziché essere di carattere generale, fosse circoscritto alla realizzazione dei reati determinati, si avrebbe concorso di persone sui reati stessi, unificabili con il vincolo della continuazione, ma non associazione per delinquere”.
Vincolo associativo e vincolo continuativo con i reati-programma sarebbero fra loro, di regola, incompatibili, poiché la esistenza dell’ uno escluderebbe quella dell’ altro (Cass., Sez. I, Giugno 1983, in Cass. pen., 1985) (5).
Sebbene il principio di diritto da ultimo esaminato si ponga nell’ ambito di un prevalente, consolidato indirizzo giurisprudenziale, tuttavia la dottrina tende generalmente a respingerlo.
Si sostiene, infatti, che, in linea di principio, non può escludersi che l’ accordo associativo sia caratterizzato proprio da un programma specifico ed estremamente dettagliato.
Infatti, se è vero che il programma nel reato associativo non può in genere essere circoscritto ad alcuni delitti, è altresì vero che l’ accordo programmatico può prevedere, insieme alla realizzazione di una serie indeterminata di attività criminose, anche la commissione di alcuni illeciti specificamente individuati.
Può bene accadere che l’ associazione sorga sin dall’ origine con un programma delittuoso in parte indeterminato, ma in parte definito nei particolari; e che, quindi, l’ accordo costitutivo nasca unitamente alla decisione di commettere uno o più delitti concretamente determinati che rappresenteranno l’ avvio dell’ attività associativa. Non per questo si potrà escludere l’ esistenza del reato associativo (6).
D’ altra parte, in un caso del genere, non vi è neppure ragione di escludere l’ applicazione dell ‘ art . 81, cpv. c.p., visto che vi è, evidentemente, un disegno criminoso originario che abbraccia, insieme alla costituzione dell’ associazione, la perpetrazione di
alcuni delitti-scopo .
Del resto, anche una parte della giurisprudenza sembra incline ad ammettere la configurabilità di un reato associativo nel caso di associazione finalizzata alla commissione di una “serie delimitata di delitti già ideati e preordinati, dovendosi escludere la sua sussistenza solo quando risulti che i reati furono commessi a seguito di accordi presi di volta in volta (Cass., Sez. I, 10 marzo 1982, Macaluso, in Cass. pen. Mass. ann., 1983, 1506; Cass., Sez. II, Tonti, 17 novembre 1978, ivi,1980, 347).
Analogamente, può accadere che il medesimo disegno criminoso, elemento tipico del reato continuato, preveda non soltanto condotte ben determinate sin dall’ inizio dell’ attività delittuosa, ma anche taluni comportamenti da porre in essere in via meramente eventuale.
Per questa via è possibile individuare un’ ulteriore ipotesi di definizione del criterio distintivo tra associazione e concorso di persone nel reato continuato, elaborato dalla giurisprudenza.
Si guarda in tal senso al carattere eccezionale e circoscritto dell’ accordo criminoso, stabilendo che “nella semplice partecipazione criminosa l’ accordo è limitato alla realizzazione di uno o più reati, e si esaurisce con la loro consumazione; mentre nell’ associazione per delinquere esso non si esaurisce dopo la realizzazione dei delitti stessi, ma permane per l’ ulteriore attuazione del programma criminoso prestabilito (7).
In altri termini, con riferimento a Cass., Sez. II, 19 maggio 1988, Sorrentino, in Cass.pen. 1989, (nel concorso di persone) nel reato continuato l’ accordo criminoso avverrebbe in via meramente occasionale e contingente (essendo finalizzato alla realizzazione di una serie determinata di reati), mentre nella similare figura dell’ associazione per delinquere, avverrebbe in forma duratura e permanente anche se non necessariamente illimitata nel tempo (essendo finalizzato alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti).
A parere di chi scrive tale chiave interpretativa costituisce non altro che una specificazione del criterio imperniato sulla determinatezza del programma criminoso e, in quanto tale, esposto alle medesime critiche mosse nei confronti di quello.
A parte, poi, il limite insuperabile della sua praticabilità solo nell’ ipotesi in cui abbiano trovato realizzazione i delitti-scopo sulla cui programmazione si è formato l’ accordo; risultando inefficace qualora l’ indagine contempli associazione ed accordo nella fase
preliminare, autonoma rispetto alla commissione dei delitti programmati (8).
In linea conclusiva, dunque, se la fattispecie associativa non è necessariamente caratterizzata da una genericità di programma, posto che non può escludersi, logicamente e fattualmente, la possibile esistenza di una associazione con programma specifico e dettagliato e se, d’altra parte, è impossibile definire il medesimo disegno criminoso nel reato continuato sulla base della previsione, sin dall’ origine, di tutte le diverse condotte delittuose, posto che ve ne possono essere alcune meramente eventuali, può ragionevolmente concludersi che il criterio fondato sulla determinatezza o meno del programma criminoso appare scarsamente idoneo a fondare la distinzione in esame (9), con la conseguente inutilizzabilità di tale elemento al fine di escludere la continuazione tra la partecipazione al reato associativo e i delitti-scopo.
Così come, per analoghi motivi, inidoneo appare il criterio-corollario del diverso carattere dell’ accordo criminoso (occasionale e contingente nel reato continuato, ovvero, duraturo e permanente nel reato associativo), in fondo mera specificazione del criterio della determinatezza.
3. le posizioni della dottrina.
E’ dal riconoscimento della “nebulosità del confine stabilito dalla Suprema Corte fra associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato sulla base della indeterminatezza o meno del programma criminoso ” (10) che la dottrina muove per fornire le proprie ricostruzioni interpretative.
Indubbio è che la questione rinvia ad altri e complessi problemi relativi agli elementi costitutivi ed alla natura dei reati associativi e del reato continuato.
Pacifico è che ciò che viene in causa, nella fattispecie, come gia rilevato, è un punto di intersezione tra due norme la cui applicazione pare rispondere a finalità diverse: da una parte, un’ interpretazione del reato associativo tale da far sfumare ogni ragionevole differenza con le ipotesi di mero accordo e, dunque, in chiave accentuatamente repressiva; dall’ altra, un istituto, quello della continuazione, usato, soprattutto dopo la riforma del 1974, come strumento generale di riduzione del carico sanzionatorio.
Se la dottrina sembra concorde nelle premesse, non altrettanto può dirsi per le conclusioni interpretative che essa ne trae.
Non convincente ci sembra l’ impostazione di Del Corso (11), secondo il quale si dovrebbe escludere l’ applicazione della continuazione fra associazione e delitti-scopo realizzati, sulla base della considerazione per cui, in caso contrario, il reato associativo diverrebbe funzione dei delitti programmati e si porrebbe in una relazione di inversa proporzionalità in rapporto alla gravità dei delitti-scopo: più questi sono gravi, minore sarà l’ incidenza dell’ associazione per delinquere (12).
Tale dottrina sottolinea, a titolo di esempio, le diverse conseguenze derivanti dalla applicazione della continuazione a seconda che l’ oggetto programmatico realizzato dall’ associazione per delinquere sia il compimento di una serie di sequestri di persona a scopo di estorsione oppure di delitti di danneggiamento.
Nel primo caso, l’ associazione per delinquere rimarrebbe assorbita (meglio, scomparirebbe) nella determinazione della pena inflitta per i sequestri; nel secondo, invece, sarebbero le fattispecie di danneggiamento a comportare un aumento della pena base definita in virtù del reato associativo. In altri termini, l’ associazione per delinquere è, nel secondo caso, violazione più grave, nel primo, semplice fattore di aumento della pena-base.
L’ impostazione esaminata non ci sembra tuttavia reggere: il fatto che il riconoscimento della continuazione ridurrebbe in pratica la sanzione per il delitto associativo, se meno grave, al solo aumento di pena per la continuazione, è problema comune a tutte le ipotesi
di reato continuato, specie nella forma eterogenea, poiché sempre il reato meno grave svolge una siffatta funzione accessoria, e, dunque, in tale prospettiva non può costituire elemento decisivo per escludere la continuazione tra reato associativo e reati-scopo.
Ciò che rileva, a nostro parere, è esclusivamente l’ applicazione tecnica e puntuale del dettato normativo: una volta verificata la sussistenza dei requisiti essenziali dell’ istituto del reato continuato tutto l’ impianto interpretativo cui s’ è fatto cenno cade. Non possono esservi dubbi sulla deducibilità in continuazione della partecipazione al reato associativo ogni volta che il soggetto agente abbia inquadrato all’ interno del medesimo disegno criminoso sia il delitto di partecipazione all’ associazione, sia i singoli reati-scopo successivamente commessi (v. par. 6).
Altro orientamento dottrinale (13) sostiene che il problema vada affrontato non in astratto, ma in concreto, e vada rivolto in sede di indagine di merito, incensurabile in Cassazione, se adeguatamente motivata.
In quest’ ottica non sembra esservi spazio per conclusioni aprioristiche, e la valutazione circa la configurabilità o meno della continuazione tra il reato associativo e i delitti-scopo deve essere svolta caso per caso.
Tale dottrina conclude nel senso che “non è possibile unificare nella forma del reato continuato il reato associativo e i delitti che siano stati solo genericamente previsti nel programma dell’ associazione; ma è doveroso applicare la continuazione nei casi in cui un disegno criminoso unitario avvinca insieme, sin dall’ inizio, la partecipazione al delitto associativo e la partecipazione ad un ben determinato delitto-scopo”.
Alla luce di queste considerazioni appare chiaro come escludere a priori l’ applicazione della continuazione tra reato associativo e reati-scopo programmati e realizzati sarebbe del tutto fuorviante.
Si pensi, infatti, al caso in cui un soggetto accetti nello stesso tempo di entrare a far parte dell’ associazione e di partecipare ad un delitto-scopo già progettato e che sta per essere commesso, sicché i due reati siano oggetto da parte sua di un unico disegno criminoso: è l’ ipotesi, ad esempio, del killer assoldato da un’ associazione per commettere un omicidio e per rimanere, con tale ruolo, come membro del sodalizio (14).
Ebbene, ci si chiede, si potrebbe davvero, in questo, come in simili ipotesi, escludere ragionevolmente la configurabilità della continuazione tra il reato associativo e il reato-scopo eventualmente commesso ?
4. l’ orientamento minoritario della giurisprudenza favorevole alla configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo.
Le argomentazioni di quella dottrina favorevole alla configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo sono state, probabilmente, alla base di un recente mutamento dell’ orientamento giurisprudenziale in materia.
Numerose sentenze della Suprema Corte, infatti, hanno condiviso la tesi della configurabilità della continuazione tra la partecipazione al delitto associativo e reati-scopo affermando che “non sussiste alcuna incompatibilità, concettuale o giuridica, sulla unificazione, in ragione del medesimo disegno criminoso, fra il reato di associazione per delinquere ed i reati rientranti nel programma associativo, sempre che questi ultimi siano stati concretamente determinati, sia pure genericamente, al momento della costituzione del vincolo associativo, e in ragione di esso”.
Con la pronuncia riportata (Cass., Sez. I, 3 dicembre 1987, Buondonno, in Cass.pen., 1989, m. 861), la Corte di Cassazione pare non escludere, in linea di principio, l’ unificazione, nella forma del reato continuato, del reato associativo e dei delitti-scopo, subordinandone peraltro l’ ammissibilità alla duplice condizione dell’ essere stati “concretamente determinati” i delitti da unificare al momento della costituzione del vincolo associativo, talché la partecipazione alla societas sceleris e la perpetrazione dei delitti programmati siano ricompresi fin dall’ inizio all’ interno di un unico progetto criminoso, e che la determinazione medesima sia “riportabile, in concreto, all’ attività dell’ associazione criminosa”.
Oltre questo limite non può sussistere il medesimo disegno criminoso fra il reato di associazione per delinquere e quelli costituenti il fine dell’ associazione stante comunque la incompatibilità fra la astrattezza del programma criminoso che connota, assieme all’ immanenza del vincolo, il reato associativo e la concretezza del disegno criminoso che occasionalmente lega determinati delitti.
In termini diversi, ma, sostanzialmente, nella stessa prospettiva, si pone Cass., Sez. I, 19 febbraio 1987, in Cass.pen. 1988, in cui, dopo aver premesso che tra il reato associativo (nella specie, il delitto di banda armata) e il reato continuato sussiste una incompatibilità concettuale sulla unificazione, in ragione del medesimo disegno criminoso, fra il reato-base e i reati-fine, tuttavia, si ammette, in via eccezionale, che, “qualora al momento della costituzione della banda armata siano stati già programmati in concreto determinati delitti strumentali alla sua stessa costituzione…tale incompatibilità non sussiste con l’ effetto che gli imputati dell’ uno e degli altri reati, in questo caso, rispondono secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato e sull’ unicità dell’ azione concorsuale ex artt. 110 e 81 cpv. c. p.” .
L’ orientamento in esame è confermato poi dalla giurisprudenza più recente.
Si afferma, infatti, che il “reato associativo non è necessariamente legato dal vincolo della continuazione con i c.d. reati-fine del sodalizio criminoso; ma lo è soltanto quando lo specifico reato-fine commesso dagli associati rientri fin dall’ inizio in un progetto criminoso sufficientemente preciso” (Cass., Sez. I, 24 settembre 1998-9 marzo 1999, n. 3184).
In conclusione, per l’ orientamento giurisprudenziale minoritario, che riteniamo di condividere, sebbene pacifico sembri essere il punto di partenza costituito dal riconoscimento, a livello di principio generale, di una certa diversità ontologica degli istituti del reato associativo e del reato continuato, tuttavia si ammette la possibilità per cui, sin dall’ inizio del programma criminoso dell’ associazione, si concepiscano più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali.
5. Le sentt. 14 maggio 1997, n. 1474 e 24 ottobre 1997, n. 3650: incertezze interpretative nella situazione attuale.
Analizzate le posizioni giurisprudenziali e le soluzioni dottrinali sul tema della configurabilità o meno della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo, è giunta l’ ora di trarre qualche conclusione.
Ad oggi, si assiste ad un graduale passaggio da una posizione giurisprudenziale tesa a negare la riconducibilità allo schema del reato continuato del reato associativo e dei relativi delitti-scopo eventualmente commessi, ad un orientamento più possibilista, meno drastico, e, probabilmente, più attento al rispetto del dettato normativo in una prospettiva priva di soluzioni preconcette ispirate ai canoni di politica criminale dell’emergenza: quello in base al quale nulla osterebbe, in linea di principio, alla ammissibilità della continuazione tra la partecipazione al reato associativo e i delitti-scopo oggetto del programma criminoso, qualora questi ultimi siano stati previsti e deliberati fin dalla costituzione del vincolo associativo.
Nonostante vi sia qualcuno che qualifichi tale ultimo orientamento ormai in termini di prevalenza (15), è tuttavia necessario prendere coscienza di una situazione di profonda incertezza.
Lo stato in cui versa l’ operatore del diritto che si trovi oggi a sciogliere i complessi nodi interpretativi sollevati dalla problematica in questione può bene essere rappresentato attraverso la annotazione e l’ analisi di due decisioni, adottate a distanza di poco tempo l’ una dall’ altra, con cui la Corte di Cassazione è stata nuovamente investita della questione relativa alla possibilità di configurare la continuazione tra reato associativo e reati-fine, pervenendo, ancora una volta, a soluzioni contrastanti, addirittura nell’ ambito della stessa sezione.
Si tratta della sentenza 14 maggio 1997, n. 1474, con cui la Corte sembra ammettere la possibilità di unificare con il vincolo della continuazione il reato associativo e i delitti-scopo; e la sentenza 24 ottobre 1997 , n. 3650, resa poco più di cinque mesi dopo, con cui la stessa sezione (la VI sezione penale) giunge a delle conclusioni diametralmente opposte, tornando alla tesi della non configurabilità del reato continuato tra il reato associativo e i delitti-scopo.
Nella prima pronuncia si legge “Il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reato-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale: nulla infatti in rerum natura si oppone alla circostanza per cui, sin dall’ inizio, nel programma criminoso dell’ associazione, si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, così che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Si tratta dunque di una quaestio facti la cui soluzione è rimessa volta a volta all’ apprezzamento del giudice”.
Nella seconda pronuncia, invece, si dice che “Ai fini della configurabilità della continuazione dei reati, venuto meno con la riforma del 1974 il requisito dell’ omogeneità delle violazioni, ha acquistato rilevanza decisiva l’ identità del disegno criminoso, inteso come ideazione e volizione di uno scopo unitario che esalta un programma complessivo, nel quale si collocano le singole azioni, commesse poi, di volta in volta, con singole determinazioni. Ciò implica che lo scopo sia sufficientemente specifico, che la rappresentazione dell’ agente ricomprenda tutta la serie degli illeciti facenti parte del programma, concepito nelle sue linee generali ed essenziali, che il programma criminoso sia cioè prefigurato sin dalla consumazione del primo reato, che si assume rientrare, insieme agli altri illeciti, nella continuazione.
Ciò posto, non appare -di norma- configurabile il nesso della continuazione tra il delitto di associazione (di tipo mafioso) e quelli programmati o comunque effettivamente commessi.
L’ associazione, invero, è contraddistinta dall’ accordo programmatico per la commissione di delitti, per il controllo di attività economiche e per la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, con il ricorso a metodi tipicamente mafiosi (forza intimidatrice, condizione di assoggettamento e di omertà); per aversi reato continuato, invece, non è sufficiente un generico piano di attività delinquenziale, ma occorre che tutte le azioni od omissioni siano comprese, fin dal primo momento e nei loro elementi essenziali ed individualizzanti, nell’ originario disegno criminoso; deve sussistere, in sostanza, uno stesso motivo genetico-ideativo che accomuna il delitto associativo a quelli eseguiti in sua realizzazione.” Nella fattispecie la Cassazione ha concluso che “il tribunale, con valutazione di merito immune da vizi logici e -quindi- non censurabile in sede di legittimità, ha correttamente escluso che il triplice omicidio volontario contestato all’ imputato ed eseguito per fronteggiare una guerra tra clan, esplosa nel corso dello sviluppo dinamico della vita associativa, rientrasse nelle intenzioni originarie degli affiliati alla cosca mafiosa, di cui il ricorrente era accusato di far parte”.
Con le decisioni che si annotano, la Corte di Cassazione ha assunto sulla tematica in esame posizioni che tra loro evidenziano contrasto di non poco momento.
Con la sentenza 24 ottobre 1997, n. 3650, la Corte si è pronunciata, sostanzialmente, per la non configurabilità della continuazione tra il reato associativo e il/i delitto/i-scopo (nella specie, tra una associazione per delinquere di stampo mafioso e omicidio volontario) sostenendo ancora che, mentre l’ associazione per delinquere è contraddistinta da un accordo generale e programmatico per la commissione di una serie indeterminata di delitti, il reato continuato è caratterizzato dalla presenza di una programmazione dell’ attività criminosa che viene sin dall’ inizio, almeno nei suoi aspetti più generici, concepita e preordinata alla realizzazione di un programma delinquenziale unitario ben determinato.
Si assiste così ad un evidente e pericoloso “ritorno al passato”: alla pretesa, da parte della giurisprudenza di legittimità, di risolvere irragionevolmente il problema a monte, affermando apoditticamente l’ inapplicabilità della continuazione, in aperto contrasto con l’ ampia formulazione della relativa norma.
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte, nella sentenza de qua, ha respinto il ricorso di un indagato che, arrestato una prima volta con l’ accusa di concorso in omicidio plurimo, era stato nuovamente arrestato con l’ accusa di aver commesso il delitto di cui all’ art. 416-bis c.p. Il ricorrente aveva chiesto l’ annullamento della seconda misura restrittiva per illogicità della motivazione nella parte in cui il tribunale aveva escluso il nesso della continuazione tra i reati oggetto delle due distinte ordinanze custodiali. La Corte, seguendo il criterio della determinatezza del programma criminoso e il relativo iter logico, si è conseguentemente pronunciata sulla esclusione del vincolo della continuazione, sotto il profilo della unicità del disegno criminoso, tra il delitto di partecipazione all’ associazione ed i delitti programmati.
Tale indirizzo giurisprudenziale, pur essendo condiviso dalla dottrina (16), e rappresentando indubbiamente la linea interpretativa tradizionale e da più parti accolta, sembra, oggi, trovare sempre meno sostenitori, e cedere il passo a quella impostazione che, partendo da criteri giuridici meno rigorosi, giunge a conclusioni molto diverse.
Le linee generali di questa tendenza si possono compiutamente ravvisare nella prima delle due sentenze annotate: la sentenza n. 1474 del 14 maggio 1997.
In tale pronuncia, che precede di un ristretto arco temporale quella del 24 ottobre 1997, n. 3650, la medesima sezione della Corte di legittimità ha osservato che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reato fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale, ma va affrontato e risolto caso per caso (17). Nulla infatti vieta, come già rilevato in dottrina, che sin dall’ inizio all’ interno del programma criminoso dell’ associazione, si possano ideare diversi reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, in maniera tale da potersi ravvisare tra questi reati e la partecipazione al reato associativo una identità del disegno criminoso.
Si tratterebbe dunque di una “quaestio facti la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’ apprezzamento del giudice” di merito, da non escludere giuridicamente a priori.
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte, nella sentenza de qua, ha ritenuto immune da censure la valutazione del giudice di merito in ordine alla circostanza che mancasse la prova decisiva della unicità del disegno criminoso tra la fattispecie di omicidio volontario e quella di partecipazione all’ associazione per delinquere, circostanza questa che, ove sussistente, avrebbe potuto, a giudizio della Corte, unificare le due figure di reato nel vincolo della continuazione.
Questo orientamento giurisprudenziale, propenso a ritenere concettualmente non incompatibile il nesso della continuazione tra reato associativo e reati programmati, ne subordina comunque la concretizzazione a un positivo e circostanziato accertamento di elementi di fatto idonei a dare unitarietà alle diverse ipotesi di reato, di modo che sia il reato-mezzo sia i singoli reati-fine possano presentarsi come momento esecutivo di un medesimo disegno già contestualmente presente fin dal primo momento nella psiche degli agenti, venendo così le singole fattispecie delittuose a rappresentare l’ attuazione del programma criminoso per la cui realizzazione si è costituita la societas sceleris. Di conseguenza, ove si accerti che, sin dal momento della costituzione dell’ associazione (e dal momento della rappresentazione nella psiche del soggetto agente della partecipazione all’ associazione), siano stati programmati i singoli reati che dovranno essere commessi, con un disegno ben definito dei delitti realizzabili in attuazione dell’ oggetto sociale criminoso, ponendosi, quindi, in rapporto di interdipendenza funzionale con la fattispecie associativa, nulla osta a ravvisare la continuazione tra il reato associativo e i delitti-scopo.
In definitiva, è giuridicamente ben possibile ipotizzare il nesso della continuazione tra il reato associativo ed i reati che siano stati poi effettivamente commessi, a condizione però che si accerti che questi ultimi siano stati previsti e deliberati fin dalla costituzione del vincolo associativo, stando comunque bene attenti a non confondere o sovrapporre, proprio per la concretezza che lo contraddistingue, il disegno criminoso unico, necessario per la configurazione del reato continuato, con il programma dell’ associazione criminosa che si connota, invece, per la sua astrattezza e genericità.
Precisamente, l’ accertamento in ordine alla configurabilità della continuazione dei reati, venuta meno, con la Novella del 1974, il requisito dell’ omogeneità delle violazioni, dovrà vertere sulla effettiva identità del disegno criminoso, inteso, secondo l’ orientamento prevalente, come rappresentazione e volontà di uno scopo unitario che confluisce nel programma complessivo in cui si inseriscono le singole condotte criminose commesse poi in concreto con singole determinazioni. Sarà quindi compito del giudice di merito effettuare, caso per caso, questa valutazione sulla portata del disegno criminoso rappresentatosi, nella psiche degli associati, all’ atto della realizzazione delle singole figure di reati-fine.
Solo all’ esito positivo di questo accertamento, si potrà ipotizzare una continuazione tra il reato associativo ed i reati-fine.
6. Conclusioni. La nostra opinione
Si impongono, a questo punto, delle riflessioni conclusive sulla problematica della continuazione tra il reato associativo e i reati-scopo, che abbiamo indicato, in precedenza, come continuazione verticale tra reato associativo e reati-scopo.
Dall’ analisi svolta, è emersa una situazione di grande incertezza, che riteniamo determinata, fra l’ altro, dall’ ampliamento della “discrezionalità” del giudice nello stabilire sia i presupposti per il riconoscimento della continuazione, sia la sussistenza degli elementi essenziali dei reati associativi previsti dall’ ordinamento in via così generica e, a volte, evanescente da renderne discutibile la legittimità in chiave di principio di tassatività.
Innegabile poi, come già posto in evidenza, che l’ interesse per la problematica in esame nasce dall’ esigenza di conciliare due istituti rispondenti a finalità fra loro completamente opposte: la figura del reato associativo ispirata a istanze squisitamente repressive, da una parte; dall’ altra, l’ istituto del reato continuato improntato a una ratio di favor rei, in considerazione del minor indice di gravità delle condotte criminose poste in essere dal soggetto nel contesto di un “medesimo disegno criminoso”, e che, “in definitiva cede una sola volta ai motivi che lo portano a delinquere”.
E’ emerso altresì che, nel tentativo di definire i rapporti tra i due istituti, in riferimento alla possibilità di unificare, nella forma del reato continuato, il reato associativo (rectius: la partecipazione al reato associativo) e i delitti-scopo, la giurisprudenza si è inizialmente e per lungo tempo assestata su di una posizione rigorosa e drasticamente tesa ad affermare in radice una sorta di incompatibilità strutturale tra i due istituti, con la conseguente impossibilità di unificare, nella forma della continuazione, il reato associativo e i delitti-scopo commessi in sua esecuzione. La più gran parte di questa giurisprudenza lo ha fatto affidandosi al criterio della determinatezza del programma criminoso che, nel caso del reato associativo, sarebbe contrassegnato dai caratteri della genericità, indeterminatezza, continuità e permanenza dopo la realizzazione dei delitti programmati; nel reato continuato (specificamente nel concorso di persone nel reato continuato), invece, sarebbe caratterizzato dalla occasionalità, contingenza e previsione specifica, almeno nelle loro linee fondamentali, dei delitti da realizzare.
Il criterio utilizzato si è tuttavia rivelato fallace nel momento in cui, ad una analisi più approfondita della struttura e degli elementi essenziali delle due costruzioni normative, è risultato ben possibile, in concreto, il configurarsi di una fattispecie associativa nonostante il relativo programma criminoso prevedesse, sin dal momento della costituzione dell’ associazione, “una serie delimitata di delitti già ideati e preordinati” (18); e analogamente possibile l’ integrazione degli estremi del reato continuato anche qualora il disegno criminoso ad esso inerente prevedesse la commissione di delitti in via meramente eventuale.
Il superamento di un orientamento preconcetto teso a risolvere il problema in chiave di compatibilità strutturale tra il reato associativo e il reato continuato si deve al lento ma efficace lavorìo di una giurisprudenza di legittimità meno propensa all’ utilizzo distorto e strumentale degli istituti giuridico-penali al fine di “realizzare gli scopi di politica criminale di volta in volta perseguiti dal legislatore” (19).
Si tende così ad ammettere, in linea di principio, la possibilità per cui sin dall’ inizio, nel programma criminoso dell’ associazione, si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, così che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso.
E’, questo, l’ orientamento interpretativo che intendiamo condividere.
Siamo propensi ad ammettere la deducibilità in continuazione con i reati fine del delitto di partecipazione al reato associativo, partendo dalla considerazione per cui risolvere la questione a monte, a livello di compatibilità strutturale dei due istituti, sarebbe quanto mai inopportuno.
Invero, si dovrebbe procedere alla soluzione del problema caso per caso, consapevoli di trovarsi dinanzi a una quaestio facti, da non escludere giuridicamente a priori, ma la cui individuazione è, di volta in volta, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito.
Ora, indubbiamente nel vero ci sembra la giurisprudenza allorquando traccia la linea di demarcazione tra il reato associativo e il reato continuato adottando il criterio della determinatezza del programma criminoso; tuttavia, elevare tale parametro a rango di principio assoluto, in quanto tale inderogabile, e invocare il medesimo come argomentazione decisiva al fine di escludere la continuazione tra reato associativo e delitti-scopo, ci sembra, francamente, eccessivo.
A questo punto riteniamo utile fare un passo indietro e spostare l’ indagine sul piano della ratio e degli elementi costitutivi dell’istituto del reato continuato.
Per quanto concerne il primo aspetto, occorre ricordare come, per la dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti, la ratio del minor disvalore del reato continuato rispetto al concorso materiale di reati si identifica con la unicità del disegno criminoso. In tal senso si sostiene che chi pone in essere una serie di violazioni della legge penale, con una loro rappresentazione preventiva come complesso unitario, in quanto orientate verso lo stesso scopo, cede, in definitiva, una sola volta ai motivi che lo portano a delinquere.
Più precisamente, seguendo lo schema interpretativo di Pagliaro (20), lo stato di tensione direzionale del volere inerente al disegno agevola, nei momenti successivi, il risolversi della lotta dei motivi, sicché la fase decisionale delle singole condotte delittuose risulta meno laboriosa; e la rapidità con cui avviene il loro momento deliberativo fa sì che il numero dei motivi contrari all’ agire che l’agente ha dovuto superare sia esiguo, in modo tale che il grado di colpevolezza non può essere che minore; e minore, quindi, il disvalore sociale del fatto.
Ora, in linea di principio, crediamo sia pacifico che nulla in rerum natura si opponga alla circostanza per cui un soggetto, sin dall’ inizio, concepisca in un complesso unitario la partecipazione all’ associazione criminosa e la realizzazione di uno o più delitti determinati nelle loro linee essenziali, sì da inquadrare il tutto all’ interno di un medesimo disegno criminoso: si pensi, ad esempio, al caso di un soggetto al quale, al momento dell’ affiliazione ad una cosca mafiosa, venga richiesto, al fine di cementare il legame associativo attraverso una sorta di “battesimo del sangue”, di commettere l’ omicidio di un noto esponente della banda rivale, e questi proceda puntualmente alla sua esecuzione. Ebbene, in tal caso, gli estremi per una applicazione della continuazione tra la partecipazione al reato associativo e l’ omicidio commesso sembrano sussistere tutti: almeno in riferimento alla ratio del reato continuato.
Premessa infatti l’ esistenza del “medesimo disegno criminoso”, non può seriamente revocarsi in dubbio che il soggetto il quale ponga in essere la serie di violazioni di legge penale, costituita dalla sequenza delitto di associazione di tipo mafioso-omicidio volontario, con una loro rappresentazione preventiva come complesso unitario, in quanto orientate verso lo stesso scopo, cede, in definitiva, una sola volta ai motivi che lo portano a delinquere. Con la conseguenza che, secondo l’insegnamento di un Maestro, poiché “viene facilitata la deliberazione rispetto a violazioni singole quando, entro un congruo lasso di tempo, si ripresentino alla coscienza quegli stessi elementi di motivazione che già una volta, prevalendo sui motivi avversi, avevano condotto alla realizzazione delittuosa”, e poiché, in genere, “la strada già percorsa è più facile da percorrere” (21), il grado di colpevolezza non può essere che minore; e minore, quindi, il disvalore sociale del fatto e, in definitiva, non può che ammettersi la continuazione.
Ad analoga conclusione si giunge battendo la strada della definizione, a livello normativo, degli elementi costitutivi del reato continuato.
Come è noto, tali elementi consistono in: a) una pluralità di azioni od omissioni ; b) più violazioni di legge; c) l’ esistenza di un medesimo disegno criminoso.
E’ peraltro pacifico che oggi, venuto meno con la riforma del 1974 il requisito della omogeneità delle violazioni di legge, carattere fondamentale ed unica ragione giustificatrice della diversa disciplina cui sottostà il reato continuato rispetto al concorso materiale di reati è la presenza di un medesimo disegno criminoso che unisca la pluralità di violazioni della legge penale.
Dunque risulta chiaro che l’ interprete, nel momento in cui si trovasse a dover risolvere la questione relativa alla individuazione di un reato continuato ed alla applicazione della relativa disciplina nel caso di una pluralità di violazioni di legge consistenti nella commissione di un reato associativo e dei relativi delitti-scopo, dovrebbe impostare la propria indagine nel senso della valutazione circa la sussistenza e la portata del disegno criminoso rappresentatosi, nella psiche degli associati, all’ atto della costituzione del vincolo associativo. E se un tale accertamento, compiuto dal giudice di merito e costituente una quaestio facti, dovesse finalmente condurre ad un esito positivo, nulla osterebbe alla piena applicazione della disciplina del reato continuato.
In altri termini, una volta che il giudice di merito avesse concluso nel senso della sussistenza del medesimo disegno criminoso che avvinca, in un complesso unitario, la partecipazione al reato associativo e i delitti-scopo, gli estremi della continuazione potrebbero dirsi integrati, a nulla rilevando qualsiasi altro tipo di indagine in fondo non richiesta dal legislatore.
Riprendendo l’ esempio sopra prospettato del soggetto che contestualmente al momento della affiliazione ad una cosca mafiosa progetta la commissione di un omicidio ed in esecuzione di quel medesimo progetto prende a realizzarlo, non crediamo possa seriamente dubitarsi che l’ agente si sia rappresentato in un complesso psicologico unitario e la partecipazione al reato associativo e la commissione dell’ omicidio.
In altri termini, in questo come in una infinita serie di casi, l’ elemento intellettivo consistente nella “rappresentazione mentale anticipata” dei singoli episodi criminosi poi effettivamente realizzati dal soggetto agente in cui, secondo la più gran parte della giurisprudenza, si sostanzia il requisito del medesimo disegno criminoso, ci sia tutto.
Altra questione sarà poi andare a verificare la sussistenza dell’ atto volitivo che sostiene ciascuna azione od omissione oggetto della preventiva ed unica deliberazione.
Ed anche eventualmente accedendo alla tesi minoritaria più restrittiva secondo cui per aversi il medesimo disegno criminoso è necessario che le diverse azioni rappresentatesi nella mente del soggetto agente siano dirette verso un unico fine prestabilito, la deducibilità della partecipazione al reato associativo in continuazione con i reati scopo non può essere negata, dal momento che proprio la rappresentazione dei delitti oggetto del programma associativo contestualmente alla deliberazione della condotta di partecipazione rivela lo scopo unitario e finale della appartenenza alla societas sceleris.
Alla luce di tali considerazioni, escludere la continuazione tra reato associativo e delitti-scopo significherebbe, di fatto, svuotare di contenuto l’ istituto del reato continuato, in aperto contrasto con l’ ampia formulazione della relativa norma, trascurando conseguentemente la ratio di favor rei cui essa si ispira. E, a tal proposito, ci pare fuori luogo tentare di risolvere il problema in termini di incompatibilità strutturale; così come non corretto sembra quell’ orientamento giurisprudenziale e dottrinale, peraltro isolato, secondo cui ammettere la continuazione tra reato associativo e reati-scopo, con particolare riguardo al caso in cui questi ultimi siano più gravi, significherebbe ridurre la sanzione per il delitto associativo a “mero, accessorio fattore di aumento della pena base
prevista per il reato (fine) più grave” (22) e far scomparire il delitto di partecipazione al reato associativo nella determinazione della pena inflitta per i reati-scopo più gravi, in quanto il perseguire obiettivi di politica criminale, esigenza pratica che dovrebbe essere soddisfatta dal legislatore già nel momento della previsione delle norme incriminatrici relative ai due istituti, e non dal giudice, non giustifica la disapplicazione della legge penale.
Invero, prendiamo atto della circostanza che l’ accertamento della sussistenza del medesimo disegno criminoso che ricomprenda, in uno, il reato associativo e i reati-scopo, possa in concreto presentarsi di particolare difficoltà, in quanto il giudice dovrà individuare precise circostanze, di univoco significato, alla stregua delle quali poter stabilire se il reato-fine si atteggi come momento esecutivo di un disegno criminoso ben determinato, ovvero se esso sia manifestazione attuativa di quel generico programma delinquenziale che è elemento costitutivo del reato associativo.
Tuttavia, crediamo che la difficoltà nella ricerca dell’ elemento probatorio non legittimi l’ atteggiamento di quella giurisprudenza che, prescindendo dai dati fattuali della vicenda concreta, pretenda di risolvere il problema affidandosi a scelte aprioristiche di comodo.
Francamente, la sensazione è che tale giurisprudenza, surrogandosi al legislatore nell’ azione di politica criminale, abbia utilizzato gli istituti normativi a suo piacimento, e sia stata addirittura pronta a disattendere il precetto legislativo, al fine di perseguire gli obiettivi di repressione del fenomeno della criminalità organizzata.
In definitiva, utilizzando argomentazioni che potrebbero definirsi pretestuose (almeno sotto il profilo squisitamente giuridico), non ha esitato a negare la configurabilità del reato continuato in casi che, al contrario, ne avrebbero presentato tutti gli estremi, probabilmente, per il solo fatto che tra i reati da unificare in continuazione vi fosse un reato associativo, in nome della cui repressione sacrificare rilevanti esigenze di garantismo e di tutela del singolo da usi distorti di strumenti repressivi della criminalità organizzata. Si ha insomma l’ impressione di trovarsi dinanzi a un tentativo della giurisprudenza di realizzare, sia concessa l’ espressione, una funzione “generalpreventiva” della pena nel reato associativo…attraverso la disapplicazione della norma relativa al reato continuato!
7. Configurabilità del reato associativo quando i delitti-scopo siano uniti tra loro dal nesso di continuazione (continuazione orizzontale tra i reati-scopo programmati).
E’ ora di occuparsi sommariamente dell’ altro aspetto attinente alla problematica dei rapporti tra fattispecie associative e reato continuato: quello della configurabilità di un reato associativo allorquando i singoli delitti che costituiscono oggetto di un (presunto) programma associativo siano uniti tra loro dal vincolo della continuazione, ovvero, in altri termini, alla possibilità di unificare tra loro, nella forma del reato continuato, i delitti programmati dall’ associazione (continuazione orizzontale tra i reati-scopo programmati).
Occorre sottolineare come diversi aspetti inerenti alla configurabilità del reato associativo in presenza di singoli delitti uniti fra loro dal nesso della continuazione si intrecciano ora con i problemi interpretativi relativi agli elementi essenziali degli istituti delle fattispecie associative e del reato continuato, ora con quelli inerenti alla configurabilità della continuazione tra reato associativo e delitti-scopo.
7.1. La tesi relativa alla incompatibilità tra il reato associativo e il progetto delinquenziale che avvince i delitti-scopo nel vincolo del reato continuato .
Si deve avvertire, in via preliminare, che, sul tema, la giurisprudenza e la dottrina non forniscono soluzioni univoche: al contrario, evidenziano un contrasto tra due opposti orientamenti tesi, l’ uno, ad affermare la totale incompatibilità tra la fattispecie associativa e il reato continuato comprendente i delitti-scopo, l’ altro, ad affermarne la compatibilità. Non sembra peraltro agevole definire, oggi, uno di essi in termini di prevalenza.
Le difficoltà che gli orientamenti tradizionali incontrano sulla questione de qua, in particolar modo in epoca antecedente la Novella del 1974, discendono in massima parte dall’ essere fondati sulla controversa natura giuridica del reato continuato.
L’ integrazione della fattispecie associativa nelle ipotesi di continuazione viene, infatti, ammessa o esclusa, a seconda che si ritenga il reato continuato come unificato sul solo piano normativo ai fini della pena (c.d. unità fittizia), ovvero come ontologicamente unico (c.d. unità reale) (23).
Un esempio paradigmatico nel primo senso offre l’ orientamento della giurisprudenza per cui “il delitto di associazione per delinquere è configurabile anche quando i singoli reati, costituenti l’ oggetto del programma ideato dai componenti del sodalizio criminoso, possono essere unificati giuridicamente nel vincolo della continuazione” (24); nel secondo caso, invece, rileva l’ orientamento di chi, ravvisando nella continuazione una unità vera e reale poggiante sull’ unicità di intenzione e risoluzione, nega la pluralità di lesioni e per ciò stesso il delitto di associazione per delinquere, dal momento che “la lesione è costituita dalla totalità dell’ aggressione ad un diritto”, e, quindi, manca la necessaria pluralità di delitti.
Detto altrimenti, oggetto dello scopo comune a coloro che si associano può anche essere la commissione di molteplici fatti delittuosi da realizzare in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (25).
Ma se una simile soluzione non appariva soddisfacente prima della riforma, tanto meno lo è oggi (26), data la possibilità in astratto che rientri nel vincolo della continuazione, oltre i delitti-scopo, lo stesso delitto associativo.
A seguito della Novella del 1974 si va via via affermando l’ orientamento relativo alla incompatibilità tra fattispecie associativa e reato continuato comprendente i delitti-scopo.
Tale orientamento è riconducibile ad una pronuncia della Corte di Cassazione del 1977: Cass., Sez. I, 26 ottobre 1977, De rosa, in Giust.pen., 1978, II .
Secondo tale decisione, il “criterio distintivo del delitto di associazione per delinquere rispetto al concorso di persone nel reato continuato consiste essenzialmente nel carattere dello stesso accordo criminoso che, nel concorso di persone nel reato continuato, avviene in via meramente occasionale e accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (ispirati da un medesimo disegno criminoso che tutti li comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali si esaurisce l’ accordo tra i correi e cessa ogni pericolo o motivo di allarme sociale; mentre, nel reato associativo (nella fattispecie trattavasi di associazione per delinquere), l’ accordo criminoso è diretto all’ attuazione di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra gli associati, ciascuno dei quali ha la consapevolezza costante di essere associato alla attuazione del programma criminoso, anche indipendentemente e al di fuori della avvenuta effettiva commissione dei singoli reati programmati; cosicché è proprio la permanenza del vincolo associativo tra più persone legate dalla comunità del fine criminoso e da comunanza di interessi che determina pericolo per l’ ordine pubblico ed è la ragione stessa fondamentale per la configurazione in via autonoma del delitto di associazione per delinquere per la cui sussistenza è, per ciò, irrilevante la eventuale mancata consumazione dei delitti programmati”.
Il successivo sviluppo interpretativo favorevole alla esclusione dell’ integrazione della fattispecie associativa nelle ipotesi di continuazione muove dalla differenza tra i due istituti fondata sul modo di svolgersi dell’ accordo criminoso.
In altri termini, mentre nell’ ipotesi di concorso in un reato continuato, l’ atteggiamento psicologico dei soggetti è teso verso la commissione di reati compresi nel disegno criminoso e si esaurisce con essi, il reato associativo obbedisce, invece, ad un programma criminoso i cui contenuti al momento del concretarsi della affectio societatis sono quantitativamente, se non anche qualitativamente, indefiniti, e per ciò stesso permane attivo anche dopo la consumazione di un certo numero di reati, proiettandosi nel tempo verso altri, sino allo scioglimento, volontario o involontario, della societas scelerum (27).
In definitiva, per riprendere la formula utilizzata dalla Suprema Corte, sia pure in epoca non recente (28), le due manifestazioni criminose sono fra loro “profondamente diverse nelle loro finalità e struttura, nella loro pericolosità sociale, nelle loro conseguenze giuridiche, e pertanto implicano concetti differenti, inconfondibili e non facilmente mutuabili fra loro”: nel caso di concorso di più persone in un reato continuato, i diversi soggetti agiscono sì in vista di uno scopo unitario, ma, per essere questo circoscritto, limitato appare anche il loro grado di colpevolezza e di capacità criminale; nel reato associativo, invece, i socii, proprio per avere delineato un programma “aperto” di attività delittuose, per aver, per così dire, eletto il crimine quasi a mestiere, dimostrano una colpevolezza ed una pericolosità sociale molto più intensa e perciò inconciliabili coi bassi livelli di colpevolezza e di pericolosità che l’ identità del disegno criminoso implica (29) .
In linea conclusiva, secondo l’ orientamento esaminato, in tema di reato associativo un problema di continuazione tra i reati degli associati neppure si pone: o si configura nel caso concreto la fattispecie associativa ed allora non si potranno ritenere legati dal vincolo della continuazione i delitti commessi dagli associati; o risulta l ‘ esistenza di un medesimo disegno criminoso, ed allora non si configura la fattispecie dell’ associazione: tertium non datur (30).
7.2. La tesi relativa alla compatibilità tra il reato associativo e il progetto delinquenziale che avvince i delitti-scopo nel vincolo del reato continuato .
Sebbene quello analizzato supra sembri essere un orientamento condivisibile, sotto diversi punti di vista, e corretto nelle sue linee interpretative di ricostruzione dei due istituti e dei loro rapporti, tuttavia, ciò non vale a fugare le incertezze che la problematica solleva.
Prova ne sia che non poche decisioni della Corte di Cassazione si esprimono in senso contrario, tendendo sostanzialmente a riconoscere la sussistenza del reato associativo anche quando i delitti costituenti l’ oggetto “sociale” siano tra di loro avvinti dal nesso della continuazione, o, in altri termini, siano stati già “ideati e preordinati” al momento della costituzione del vincolo associativo (31) .
Occorre muovere da una pronuncia della Corte di Cassazione.
Il riferimento è a Cass., Sez. I, 10 marzo 1982, Macaluso , cit., in cui si ammette la configurabilità di un reato associativo nel caso di associazione finalizzata alla commissione di una “serie delimitata di delitti già ideati e preordinati, dovendosi escludere la sua sussistenza solo quando risulti che i reati furono commessi a seguito di accordi presi di volta in volta” (32). Non sembra fuori luogo compiere un ulteriore passaggio logico e ritrovare, in tale sentenza, uno spiraglio per riconoscere la fattispecie associativa anche nel caso in cui i delitti programmati siano compresi in un “medesimo disegno criminoso”.
E’ questa la via seguita da Cass., Sez.II , 26 novembre 1984, Mantegna, in cui la Corte, dopo aver premesso che per “la sussistenza dell’ elemento materiale dell’ associazione per delinquere non è necessario un vincolo associativo indeterminato nel tempo, ma è sufficiente che lo stesso sia continuativo, permanga al di là degli accordi particolari relativi alla realizzazione dei singoli episodi delittuosi e, per la sua durata di una certa entità, venga a costituire, nella sua funzione propulsiva della criminalità così organizzata, un attentato preordinato e sistematico all’ ordine pubblico” (33) conclude nel senso che “non vi è incompatibilità tra il reato associativo (in specie: l’ associazione per delinquere) e progetto delinquenziale avente ad oggetto reati unificati nel vincolo della continuazione, in quanto l’ associazione…sussiste anche quando l’ accordo tra gli associati comprenda la esecuzione di delitti già ideati e preordinati” (34).
Nel passo riportato, la Suprema Corte pare in linea di principio accedere alla tesi della diversità ontologica dei due istituti del reato associativo e del reato continuato sulla base del diverso modo di svolgersi dell’ accordo criminoso, tuttavia giunge alla diversa conclusione della compatibilità tra il reato associativo e un “progetto delinquenziale avente ad oggetto reati unificati nel vincolo della continuazione”.
Altra parte della giurisprudenza perviene alla medesima conclusione, ma seguendo un iter logico differente.
Paradigmatica, in tal senso, è Cass., Sez. V, 5 febbraio 1986, n. 1311, Serafino, in Riv.pen., 1986, 698, per cui, “il reato di associazione per delinquere…può sussistere anche se i singoli delitti, che ad esso fanno capo, siano espressioni di più azioni od omissioni violatrici della stessa disposizione di legge ed armonicamente legate dalla identità del fine delittuoso, dal momento che la ideazione e la esecuzione di un siffatto programma criminoso può presentare per l’ ordine pubblico lo stesso pericolo che deriva dalla programmazione di reati del tutto autonomi l’ uno dall’ altro e non dominati da un unico disegno”.
Secondo tale linea interpretativa, dunque, sarebbe da ammettere la sussistenza del reato associativo anche nel caso di singoli delitti unificati dalla continuazione, in quanto il grado di pericolosità per l’ordine pubblico che presenta quest’ ultima figura criminosa sarebbe lo stesso che deriva dalla programmazione di reati del tutto autonomi l’ uno dall’ altro e non dominati da un unico disegno.
La sentenza citata si riferisce precisamente al reato continuato nella sua forma omogenea, ma non sembra possa revocarsi in dubbio l’ applicabilità del principio ivi contenuto al reato continuato eterogeneo.
La Corte conclude, coerentemente con le premesse esposte, nel senso che “l’ associazione per delinquere ricorre anche quando viene costituita per commettere più delitti avvinti tra loro dal vincolo della continuazione, atteso che il sostrato ideologico che sostiene il reato non esclude la molteplicità delle offese”.
8. Conclusioni. La nostra opinione.
In sede di considerazioni conclusive, fermo restando quanto rilevato in tema di continuazione tra reato associativo e delitti-scopo, intendiamo sottolineare come, in realtà, la problematica della configurabilità di un reato associativo nel caso in cui i singoli reati-scopo siano uniti nel vincolo della continuazione, sia riconducibile alla analisi della struttura del reato associativo (che rinvia a complesse valutazioni che esulano dal presente lavoro).
In questa prospettiva, è d’uopo richiamare i parametri individuati dalla giurisprudenza in sede di ricostruzione, a livello generale, dell’ istituto delle fattispecie associative.
In primis, l’ elemento dell’ accordo, di cui la giurisprudenza ha tracciato i limiti ed il contenuto.
Così, si è chiarito che l’ accordo criminoso deve avvenire in forma duratura e permanente, anche se non necessariamente illimitata nel tempo (essendo, l’ accordo, finalizzato alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti).
In secondo luogo, l’ elemento dell’ organizzazione che, per una parte della giurisprudenza, sarebbe imprescindibile e necessariamente “adeguata” al raggiungimento dello scopo sociale; mentre per altra giurisprudenza sarebbe sufficiente nella sua forma “semplice e rudimentale” (35).
Ora, ci sembra che la questione vada risolta effettivamente sulla base del contenuto dell’ accordo criminoso.
In tal senso, si è visto come, per una buona parte della giurisprudenza, per aversi un reato associativo, il relativo accordo debba essere finalizzato alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti.
Tuttavia, come si è rilevato, non bisogna prendere alla lettera questa considerazione.
Infatti, vero è che l’ indeterminatezza dei reati, il più delle volte, può essere un elemento di riscontro della sicura stabilità o durata del vincolo associativo, ma, a ben guardare, quest’ ultimo potrebbe essere ugualmente apprezzato come permanente, cioè destinato a durare nel tempo, anche se siano già stati prefigurati e concordati a livello operativo determinati programmi criminosi -purché non vi sia la prova certa che, con il loro compimento, debba sicuramente cessare ogni rapporto tra i compartecipi-.
E, a parere di chi scrive, è proprio qui la chiave di volta della problematica: nella permanenza del vincolo associativo dopo la consumazione di determinati reati-scopo.
Infatti, a ben vedere, e come è stato affermato, ciò che costituisce maggior pericolo per l’ ordine pubblico è la permanenza del vincolo associativo, non la sua indeterminatezza.
Conseguentemente, poiché, come la giurisprudenza ha rilevato, e come la dottrina ha dimostrato, si potrebbe configurare un reato associativo anche quando i delitti che costituiscono oggetto dell’ attività sociale siano stati ideati e programmati, diventa allora essenziale l’ accertamento in ordine alla permanenza del vincolo associativo dopo che l’ attività criminosa si sia manifestata nella perpetrazione di alcuni reati-scopo.
In tale ottica si può configurare un reato associativo anche quando i delitti-scopo siano stati determinati (ideati e deliberati), nelle loro linee essenziali, come rientranti in un unico disegno criminoso, purché, però, dopo la loro consumazione il vincolo associativo permanga, nella sua continuità, per l’ ulteriore svolgimento dell’ attività associativa e, quindi, non vi sia “la prova certa” che, con il compimento di detti reati debba sicuramente cessare ogni rapporto tra i compartecipi.
Solo ove tale ultima condizione potesse ritenersi soddisfatta, nulla osterebbe ad ammettere la configurabilità del reato associativo nel caso in cui i delitti-scopo siano uniti fra loro a formare il complesso unitario del c.d. reato continuato.
Dovendosi escludere la sua sussistenza solo quando risulti che i reati furono commessi a seguito di accordi presi di volta in volta, ovvero che successivamente all’ esecuzione dei reati-scopo sia cessato ogni rapporto i compartecipi.
Dott. Matteo Grimaldi
NOTE
(1) SPAGNOLO, Reati associativi, (voce), in Enc, dir. , 1996
(2) Relazione del senatore Leone al d.d.l. approvato dal senato il 2 Luglio 1971, in Riv.it.dir.proc.pen., 1971, 863
(3) SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1993
(4) DEL CORSO , I nebulosi confini tra associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato , in Cass.pen.,1 giugno 1983 , in Cass.pen.,1985,621
(5) RISTORI , Il reato continuato , Padova , 1988
(6) SPAGNOLO, op. cit.
(7) INSOLERA, “Sui rapporti tra associazione per delinquere e reato continuato” in Ind.pen., 1983, 385
(8) INSOLERA, op.cit.
(9) DEL CORSO, op. cit.
(10) DEL CORSO, op. cit.
(11) DEL CORSO, op. cit.
(12) RISTORI, op.cit.
(13) SPAGNOLO, op. cit
(14) SPAGNOLO, op. cit.
(15) ESPOSITO, Continuazione tra reato associativo e reato-fine, in Riv.pen., 1999
(16) ANTOLISEI , Manuale di diritto penale, parte speciale, XII ed.
(17) ESPOSITO, op. cit.
(18) Cass., Sez. I, 10 marzo 1982, Macaluso, in Cass.pen.mass.ann., 1983
(19) SPAGNOLO, op. cit
(20) PAGLIARO, I reati connessi, 1956 ,p. 165
(21) PAGLIARO, op.cit.
(22) Cass., Sez. V, 24 settembre 1985, Persico, in Cass.pen., 1986, 879; in dottrina v. DEL CORSO, op. cit.
(23) RAMPIONI ,R., Nuovi profili del reato continuato in Riv. it. dir.proc.pen., 1978 , 604
(24) Cass.pen., Sez I, 16 Febbraio 1956, in Giust.pen., 1956, II,c. 730, m. 787; Cass.pen., Sez. II, 16 Febbraio 1972, in Cass.pen.Mass.ann., 1973, p. 724, m.906
(25) RANIERI, Manuale di dir.pen., Parte speciale, vol II , 2° ed., 1962
(26) RAMPIONI ,R, op.cit.
(27) DELLA TERZA, Struttura del reato a concorso necessario, 1971
(28) Cass., 24 marzo 1930, in Sc.Pos., 1930; PIETRIBONI , Il reato continuato nell’ associazione per delinquere , in Sc.pos.,1939, p. 34
(29) RAMPIONI ,R, op.cit.
(30) RAMPIONI ,R, op.cit.
(31) Cass., Sez. I, 10 marzo 1982, Macaluso, in Cass.pen.Mass.ann.,1983, 1506
(32) Cass., Sez. II, Tonti, 17 novembre 1978, ivi,1980, 347
(33) Cass.pen. 1985, 1064, 809
(34) conf. Cass., Sez. I, 28 marzo 1979, Pizzo, in Giust.pen., 1980, II, 163; mass. 153
(35) SPAGNOLO, Reati associativi, (voce), in Enc, dir. , 1996
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