Delega della posizione di “datore di lavoro” ed obblighi non delegabili in materia di sicurezza sul lavoro

Paolo Persello 30/11/17

L’art. 16 del D.Lgs. n.81/2008

La norma stabilisce che: “La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa…”, ma il successivo art. 17 prevede che:Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28; b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.

Il meccanismo della delega di funzioni lascia dunque “scoperto” il datore di lavoro con riferimento agli obblighi indelegabili di cui all’art. 17 cit., ai quali egli deve adempiere direttamente.

Finché non si verifichi un infortunio, la mancanza della valutazione dei rischi o l’assenza documento che ne raccoglie i risultati ovvero la mancata nomina dell’RSPP, hanno conseguenze relativamente preoccupanti perché il datore di lavoro, ricevute le prescrizioni degli organi di vigilanza, che hanno constatato la violazione,provvederà ad effettuare la valutazione e/o a redigere il documento e/o a nominare l’RSPP e quindi potrà estinguere il reato pagando una somma a titolo di oblazione c.d. “amministrativa”.

Se, invece, l’inadempimento del datore di lavoro viene constatato in occasione del verificarsi di un infortunio, potrà accadere che esso venga posto in relazione di causalità con l’infortunio stesso, con conseguente imputazione del datore di lavoro ex art. 589 c.p. (omicidio colposo) ovvero 590 c.p. (lesioni personali colpose).

Ovviamente, la responsabilità penale può conseguire non soltanto alla totale omissione della valutazione dei rischi ed alla mancata redazione del relativo documento, ma anche ad una valutazione condotta in modo non completo o non adeguato.

Il datore di lavoro potrà trovarsi quindi indagato o imputato di omicidio colposo o di lesioni colpose, pur avendo conferito una delega ex art. 16 del D. Lgs. n.81/2008, sostanzialmente valida e formalmente ineccepibile.

Una prima linea di difesa potrà essere quella di sostenere dinon essere il “datore di lavoro” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n.81/2008, che definisce il datore di lavoro comeil soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

Questa tesi può far leva sulla significativa modificazione introdotta, nella definizione di datore di lavoro, dal D.Lgs. n.242/1996, con l’uso della disgiuntiva “o” in luogo dell’additiva “e” contenuta nel testo originario del D.Lgs. n.626/1994, che recitava: “b) datore di lavoro: qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa ovvero dello stabilimento”.

Con tale modifica si è voluto, infatti, rimarcare l’importanza preponderante che ha, rispetto all’individuazione del datore di lavoro, l’assunzione della responsabilità dell’organizzazione dell’impresa e l’esercizio dei poteri decisionali e di spesa, piuttosto che la titolarità del rapporto di lavoro, che, peraltro, nelle società, è comunque in capo all’ente collettivo e non alla persona fisica.

Il “datore di lavoro” è dunque il soggetto responsabile dell’organizzazione dell’impresa, dotato dei poteri decisionali e di spesa sul quale incombono l’effettuazione della valutazione dei rischi, la redazione del relativo documento e la nomina dell’RSPP.

Una linea difensiva così articolataè  l’unica cui possono affidarsi l’imprenditore individuale e l’organo unipersonale che amministra una società priva di consiglio di amministrazione e presuppone un’interpretazione dell’atto contenente la delega ex art. 16 D.Lgs. n.81/2008, non tanto come delega di funzioni vera e propria,  ma coma atto individuazione del datore di lavoro nel soggetto effettivamente dotato dei poteri di organizzazione, di gestione e di spesa.

La giurisprudenza di legittimità afferma che“ il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, innovando rispetto alla formulazione originaria della norma, pone l’accento, ai fini dell’individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sulla responsabilità dell’impresa, sull’esistenza di poteri decisionali. Si fa leva, quindi, precipuamente sulla situazione di fatto: alla titolarità dei poteri di organizzazione e gestione corrisponde simmetricamente il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza (Cassazione penale, Sez. IV,  01.04.2010 (dep. 07.05.2010) n. 17581).

La celeberrima sentenza Thyssen della Corte d’assise di Torino

La pronuncia, richiamando l’altrettanto celebre sentenza Galeazzi della Corte di Cassazione ha ribadito: “La Corte deve qui ricordare che, come insegna la Corte di Cassazione (v.sentenza n. 4981 del 6/2/2004) la definizione di “datore di lavoro”; “…non è intesa nel senso esclusivamente civilistico e giuslavoristico, e quindi limitata a chi è titolare del rapporto di lavoro, ma si estende a chi ha la responsabilità dell’impresa o dell’unità produttiva ed è titolare dei poteri decisionali e di spesa…a ben vedere il principio di effettività è stato legislativamente codificato proprio con l’approvazione della modifica dell’art. 2 del D.Lgs n. 626 del 1994 ad opera del D.Lgs n. 242 del 1996.

Con questa modifica non si fa più riferimento ad un dato formale…ma altresì a dati di natura sostanziale quali la responsabilità dell’impresa o dell’unità produttiva purché accompagnati – questo è il punto – dai poteri decisionali e di spesa. Insomma ciò che rileva, al fine di creare la qualità di datore di lavoro, e quindi la posizione di garanzia, sono il potere di decidere e quello di spendere. Chi li possiede è datore di lavoro e quindi titolare della posizione di garanzia (Corte assise Torino, Sez. II, 14.11.2011, n.31095, in Giur. merito 2012, 6, 1359).

Le Sezioni Unite Penali che si sono pronunciate sul caso Thyssen, dopo la parziale riforma in appello della sentenza appena citata, hanno a loro volta stabilito che: “Come è noto, il sistema prevenzionistico è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale. La prima e fondamentale figura è quella del datore di lavoro. Si tratta del soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. La definizione contenuta nel T.U. è simile a quella espressa nella normativa degli anni 90 ed a quella fatta propria dalla giurisprudenza; e sottolinea il ruolo di dominus di fatto dell’organizzazione ed il concreto esercizio di poteri decisionali e di spesa (Cass. Pen., Sez. Un., 24.04.2014, n. 38343).

In precedenza, Cass. pen., Sez. IV 23.11.2010 n. 4106 (dep. 03 febbraio 2011), aveva rimarcato come “Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, lett. b), 1 periodo, così come modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, considera datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore” o comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita dalla lett. i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa”. Con l’avverbio “comunque” il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.

Quindi, in virtù della modifica operata dal D.Lgs. n. 242 del 1996, nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali.

Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, pertanto, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 4981 del 5.12.2003) il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali”(nello stesso senso: Cass.pen., Sez. IV, 15.03.2011, n.16311 (dep. 26.04.2011)).

Diversa, rispetto a quella dell’imprenditore individuale o della società amministrata da un amministratore unico, può essere la situazione dell’impresa gestita in forma societaria ed amministrata da un consiglio di amministrazione, che abbia delegato ad uno dei suoi membri la responsabilità e la gestione dell’impresa in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.

In questo caso,  l’attribuzione dei poteri al consigliere delegato non avviene ex art. 16 del D.Lgs. n.81/2008 – anche se è opportuno vengano rispettati anche i criteri ed i requisiti della norma da ultimo citata – ma ex art. 2381, comma 2, c.c., il quale prevede la c.d. delega interna (v. Cass. pen., Sez. IV, 05.02.2003, n.4981 (dep. 06.02.2004)): “Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.

La sentenza Galeazzi (v. Cass. pen., Sez. IV, 05.02.2003, n. 4981 (dep. 06.02.2004)) ha chiarito che in presenza di un’attribuzione di funzioni da parte del consiglio di amministrazione ad uno o più suoi componenti “non può parlarsi di delega di funzioni” ed ha enucleato alcuni principi fondamentali per l’interpretazione dell’attuale normativa, cui già si è fatto cenno, ma che vale la pena richiamare.

Con riferimento alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 626/1994, la Corte ha evidenziato come “Il datore di lavoro, in questi risalenti testi legislativi (peraltro per la più parte ancora in vigore), è individuato con criteri civilistici di natura formale con riferimento ai soggetti che sono titolari dei rapporti di lavoro (o, nel caso di imprese societarie, a coloro che ne hanno la rappresentanza).Questa concezione formale del datore di lavoro è stata sostanzialmente conservata anche nella prima versione dell’art. 2 del d.l.vo 19 settembre 1994 n. 626…L’art. 2 del d.l.vo 19 marzo 1996 n. 242 (modifiche e integrazioni al d.l.vo 626/1994) ha interamente sostituito l’art. 2 originario e ha dato la seguente definizione di datore di lavoro agli effetti delle disposizioni del decreto 626…il principio di effettività è stato legislativamente codificato proprio con l’approvazione della modifica dell’art. 2 del d.l.vo 626/1994 ad opera del d.l.vo 242/1996.

Con questa modifica non si fa più esclusivo riferimento ad un dato formale (la titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore) ma, altresì, a dati di natura sostanziale quali la responsabilità dell’impresa o dell’unità produttiva purché accompagnati – questo è il punto – dai poteri decisionali e di spesa. Insomma ciò che rileva, al fine di creare la qualità di datore di lavoro, e quindi la posizione di garanzia, sono il potere di decidere e quello di spendere. Chi li possiede è datore di lavoro e quindi titolare della posizione di garanzia”.

In modo assolutamente conseguente, la Corte stabilisce che: “è in facoltà dell’imprenditore, o del datore di lavoro in senso civilistico, individuare la persona fisica che assume la qualità di datore di lavoro ai sensi del d.l.vo 626” e, partendo dall’affermazione secondo cui “nel caso di una società di capitali originariamente il datore di lavoro (in senso civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o nell’amministratore unico, giunge alla conclusione che“con il trasferimento di funzioni (come anche nella delega di funzioni) il contenuto della posizione di garanzia gravante sull’obbligato originario si modifica e si riduce agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo…e… ciò avviene … per i componenti del consiglio di amministrazione – che hanno validamente e formalmente trasferito (con la c.d. delega “interna” di cui all’art. 2381 cod. civ. anche nella più recente formulazione) la più parte delle funzioni in questione”.

Il ruolo di legale rappresentante dell’impresa gestita in forma societaria ha quindi perso importanza ai fini dell’individuazione del concetto di datore di lavoro ai fini prevenzionistici, sia per quanto si è già detto in ordine alla individuazione del datore di lavoro ai sensi dell’’art. 2 lett b) del d.lgs. n.81/2008, sia perché la giurisprudenza individua da tempo il datore di lavoro – in assenza di delega interna alconsiglio o di delega ex art. 16 del D.lgs. n.81/2008, nel consiglio di amministrazione.

Lo dice molto chiaramente la sentenza Galeazzi, più volte citata: “nel caso di una società di capitali originariamente il datore di lavoro (in senso civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o nell’amministratore unico.

La Corte di Cassazione, anche successivamente ha ribadito tale principio:“Nelle società di capitale, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la condanna per omicidio colposo dell’amministratore delegato di società da cui dipendeva il lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro)” (Cass. pen., sez. IV, 13.11.2013, n. 49402).

Le cose cambiano in presenza di una ripartizione di poteri ex art. 2381 c.c.;“Orbene la nozione di datore di lavoro contenuta nel decreto legislativo citato si attaglia a soggetti effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa nell’ambito dell’azienda e quindi a coloro che si trovino in posizione apicale da ciò consegue che nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con l’amministratore unico, con l’amministratore delegato ovvero con un componente del consiglio d’amministrazione o con il titolare dello stabilimento. Nella fattispecie il Consiglio d’amministrazione in periodo non sospetto, con delibera del 12 maggio del 1994 aveva deciso di attribuire al V., quale componente del Consiglio d’amministrazione, tutto il settore della sicurezza e della gestione dei rapporti di lavoro con ampia facoltà di spesa ed autonomia. Pertanto, essendo la responsabilità penale personale, salva la responsabilità amministrativa introdotta con il decreto legislativo 231 del 2001, nelle ipotesi di amministrazione delegata, a norma dell’articolo 2381 c.c., degli illeciti compiuti dagli amministratori delegati rispondono solo costoro.

Il presidente del consiglio d’amministrazione o gli altri consiglieri rispondono in concorso con l’autore materiale dell’illecito, solo se abbiano dolosamente o colposamente omesso di vigilare sull’andamento della gestione… Si può quindi affermare il principio che nelle persone giuridiche e segnatamente nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda e quindi con i vertici dell’azienda stessa, quali il presidente del consiglio d’amministrazione, l’amministratore delegato o un componente del consiglio d’amministrazione al quale siano state attribuite le relative funzioni o nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell’eventualità di una ripartizione di funzioni e di compiti nell’ambito del consiglio d’amministrazione ai sensi dell’articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti dall’amministratore delegato o dal preposto ad un determinato stabilimento, risponde solo quest’ultimo, salvo che gli altri amministratori abbiano dolosamente omesso di vigilare o, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli per la società o dell’inidoneità del delegato, non siano intervenuti” (Cass. pen., Sez. III, 09.03.2005, n. 12370).

Vi è una significativa differenza tra la delega ex art. 16 D.Lgs. n.81/2008 e la delega ex art. 2381, comma 2, c.c.

Pur dettato in materia di società per azioni, è applicabile anche alle società a responsabilità limitata (Cass.civ., 07.12.2016, n.25085) e prevede, appunto, la possibilità che il consiglio di amministrazione deleghi ad un suo componente proprie attribuzioni.

La giurisprudenza già citata (sentenza Galeazzi ed altre) e la dottrina distinguono sono consapevoli di ciò.

In particolare, la sentenza Galeazzi ha chiarito, come si è visto, che, con riferimento alla attribuzione di funzioni ad uno dei suoi membri, da parte del consiglio di amministrazione, “non può parlarsi di delega di funzioni”.

E’ stata altresì ben evidenziata la differenza tra i due istituti: “Deve pertanto inquadrarsi correttamente l’ipotesi in cui, all’interno delle società di capitali, talune attribuzioni proprie del consiglio di amministrazione (per esempio la qualifica di responsabile della sicurezza o la stessa qualifica datoriale) siano conferite, a norma dell’art. 2381, comma 2, c.c., “se lo statuto o l’assemblea lo consentono”, ad alcuni dei suoi componenti e, segnatamente, ad un amministratore delegato. Nella misura in cui la delega di gestione traduca in termini operativi le previsioni statutarie o le indicazioni dell’assemblea è difficile negare che si abbia a che fare con un garante originario. Qui, invero, non si pone nessun problema di delega di funzioni…Non solo. Non realizzandosi, nella specie, alcun trasferimento di funzioni, va correttamente inquadrato l’obbligo di vigilanza che la giurisprudenza fa gravare sui membri del consiglio di amministrazione diversi da quello a cui è stata conferita la delega di gestione ex art. 2381, comma 2, c.c. Detta forma di controllo, infatti, non attiene alla vigilanza richiesta al delegante dall’art. 16, comma 3, d.lgs. n.81/2008, ma va più correttamente ricondotta al piano degli obblighi civilistici” (Paonessa C. Debito di sicurezza e delega di funzioni nelle società di capitali, in Atti del Convegno di Studi Urbino 14 novembre 2014 su La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali (ojs.uniurb.it/index.php/WP-olympus/article/download/569/519).

“Per quanto concerne,  invece,  i possibili  soggetti  destinatari dell’atto di delega, va subito notata l’eterogeneità dell’art. 16 rispetto a quanto disposto dall’art. 2381, comma 2,  c.c.  in  materia  di  società  per  azioni.  Mentre  la  norma  codicistica  si  limita  ad autorizzare – purché  anche  lo  statuto  o  l’assemblea  lo  ammettano–una redistribuzione, attraverso la “delega”, delle funzioni amministrative tra i componenti del  massimo  organo  amministrativo  dell’ente,  l’art.  16  sancisce  la  possibilità  di devolvere  le  funzioni  datoriali  in  materia  di  sicurezza  anche  in  assenza  di  previsioni statutarie e al di fuori della cerchia consiliare (quindi pure a dirigenti estranei al c.d.a.)”(Mongillo V., La delega di funzioni in materia di sicurezza del lavoro…, in (https://www.penalecontemporaneo.it/upload/Articolo%20Mongillo%20%28WP%29.pdf).

La Corte di Cassazione, senza prendere neppure in considerazione la delega ex art. 16 D.Lgs. n.81/2008, ha stabilito che: “E’ pur vero che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione. Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007 dep. 08/02/2008 Rv. 238958, Sez. 4, n. 988, 11/07/2002 dep. 14/01/2003 Rv.226999, sez 4 14.1.203 n. 988).

E difatti il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può, da solo, essere considerato rappresentante della società, appartenendo la rappresentanza all’intero consiglio di amministrazione, salvo delega conferita ad un singolo consigliere, amministratore delegato, in virtù della quale l’obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato, rimanendo in capo al consiglio di amministrazione residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega” (Cass. pen., Sez. IV 26.03.2013 n. 21628 (data dep. 20 maggio 2013).

Con riferimento ai compiti che il datore di lavoro non può delegare (la valutazione dei rischi, la redazione del relativo documento e la nomina dell’RSPP), in dottrina si chiarisce molto efficacemente che tale divieto non risulta sconfessato “dall’art. 2381 c.c. In effetti la delega di gestione che esso disciplina consente una ripartizione della qualità datoriale certamente diversa rispetto a quella che altrimenti graverebbe su tutti i membri del C.d.A., ma pur sempre in linea con la previsione di cui all’art. 17 d.lgs. n.81/2008. Quest’ultimo vieta la traslazione di certe funzioni a chi datore di lavoro non sia, così da non interrompere il nesso inscindibile fra responsabilità e potere, ma non osta a che le medesime funzioni (indelegabili, qualora si abbia la pretesa di trasferirle a dirigenti o preposti) siano concentrate in capo a chi condivida la stessa qualifica datoriale e, per ciò solo, detenga lo stesso potere e risponda al medesimo titolo” (Lazzari C., Figure e poteri datoriali nel diritto della sicurezza sul lavoro, Franco Angeli, 2015, pag. 37-38).

L’attribuzione di poteri ex art. 2381 c.c. non abbisogna di accettazione espressa, ma è implicita nella richiesta di iscrizione della nomina nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2383, comma 4, c.c.: “Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese…”, anche se è evidente che un’accettazione espressa “non guasta”.

Nelle imprese gestite in forma societaria ed amministrate da un consiglio di amministrazione, che ha delegato ad uno sei suoi membri, ex art.2381 c.c., la responsabilità e la gestione dell’impresa in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, il “datore dei lavoro” è quindi il consigliere delegato.

Se questa conclusione, come parrebbe, è corretta, sembra necessario adeguare alcuni comportamenti ed alcune modalità operative delle imprese:

  1. In primis, anche se l’ipotesi è più che altro accademica, è indispensabile verificare gli statuti sociali ed introdurvi, ove non sia già prevista, la facoltà per il consiglio di amministrazione di delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti.
  2. La deliberazione del consiglio di amministrazione dovrà attribuire al consigliere delegato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2381, comma 2, c.c., tutti i poteri, nessuno escluso, concernenti l’organizzazione, la gestione ed il controllo dell’impresa in materia di sicurezza del lavoro, di tecnopatie e di igiene del lavoro e, in particolare, i poteri di organizzazione e di scelta delle misure igieniche ed antinfortunistiche, al fine di assicurare il completo assolvimento degli obblighi societari di attuazione delle misure igieniche e di prevenzione ed il relativo controllo, garantendo il pieno e tempestivo rispetto e la scrupolosa osservanza da parte della società e di tutti i dipendenti delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, opportunamente informando ed istruendo il personale preposto e tutti gli addetti ai lavori, e controllando con assiduità gli stabilimenti, gli uffici ed i cantieri esterni con piena ed assoluta autonomia ed indipendenza, nonché con piena ed illimitata facoltà di spesa in relazione a tutto ciò che è necessario per dotare l’impresa, la fabbrica, gli uffici ed i cantieri esterni di tutti i mezzi idonei per la tutela dell’incolumità e della salute dei lavoratori e dei terzi
  3. La delibera del consiglio di amministrazione preciserà che il consigliere delegato assumerà la figura e la funzione di datore di lavoro ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n.81/2008, con i relativi obblighi.
  4. Il consigliere delegato parteciperà alla seduta del consiglio di amministrazione, approverà la delega di attribuzioni in suo favore –cioè non si asterrà – dichiarerà di accettare espressamente la delega stessa e tale dichiarazione verrà verbalizzata.
  5. La deliberazione del consiglio di amministrazione stabilirà che il consigliere delegato potrà delegare specifiche funzioni tra quelle attribuitegli in materia di salute e sicurezza sul lavoro a soggetti preparati e competenti nel rispetto di quanto previsto dall’art.16 del D.Lgs. n.81/2008.
  6. La deliberazione del consiglio di amministrazione sarà iscritta nel registro delle imprese.
  7. Il documento di valutazione dei rischi e l’atto di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione verranno sottoscritti solo dal consigliere delegato – non da altri amministratori – sotto la dicitura “L’amministratore delegato – datore di lavoro”.
  8. Verrà redatto un apposito organigramma aziendale – da consegnare a richiesta degli organi di vigilanza – nel quale al vertice della piramide è collocato “L’amministratore delegato – datore di lavoro”.

 

Paolo Persello

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