Delibazione della sentenza e riserva mentale: prevale il principio di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole

Redazione 07/03/12

Anna Costagliola

Per la sezione I della Cassazione civile deve essere esclusa la delibazione della sentenza di nullità delle nozze pronunciata dal Tribunale ecclesiastico ove manchi la prova rigorosa che uno dei coniugi non sia venuto a sapere della riserva mentale dell’altro sui valori dell’unione matrimoniale, dovendosi ritenere prevalente il principio del legittimo affidamento (sent. n. 3378 del 5 marzo 2012).

La Corte di merito aveva statuito l’efficacia nello Stato italiano della sentenza con cui il Tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione della indissolubilità dello stesso da parte del marito. Avverso tale provvedimento il coniuge soccombente ha proposto ricorso per Cassazione, chiamando la Corte a pronunciarsi su una serie di quesiti.

I Supremi giudici preliminarmente rilevano come la consolidata giurisprudenza di legittimità affermi che la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica dichiarativa di nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno solo dei coniugi, di uno dei bona matrimonii postula che la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questo in effetti conosciuta, o che non gli sia stata nota esclusivamente a causa della sua negligenza. Ove, infatti, non ricorrano le menzionate circostanze, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà all’ordine pubblico italiano (ex art. 797 c.p.c.), nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole.

Atteso che nel procedimento de quo è stata data per pacifica la non comunicazione della riserva mentale in epoca anteriore al matrimonio, gi Ermellini si soffermano sui requisiti della prova che il giudice della delibazione deve riscontrare al fine di accertare che la riserva mentale non sia stata nota esclusivamente a causa della negligenza dell’altro coniuge. In proposito la Corte avverte che il rispetto di un principio fondamentale quale quello della tutela della buona fede e dell’affidamento trova una particolare ragion d’essere proprio con riguardo all’istituto del matrimonio, che presuppone, per definizione e nella generalità dei casi, una concorde volontà dei coniugi nell’assunzione di un vincolo così importante, anche sotto il profilo delle incisive conseguenze sul piano della propria vita personale. Ciò implica che la prova della mancanza di negligenza deve essere particolarmente rigorosa e basarsi su circostanze oggettive e univocamente interpretabili che attestino la consapevole accettazione dello stato soggettivo dell’altro coniuge. Nel caso di specie, tuttavia, la Cassazione esclude che la Corte di merito, nel pronunciare la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, si sia attenuta al rispetto del criterio indicato, rendendo sul punto una motivazione meramente assertiva e insuscettibile di controllo da parte del giudice di legittimità.  

 

 

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