Nello specifico, la cifra distintiva dei delitti contro il patrimonio non è solo la loro connotazione di stampo economico (anche un mero danneggiamento scaturente profili di responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale può ben costituire un fenomeno a rilevanza economica), ma soprattutto il fatto che l’autore del reato abbia il proposito di trarre del profitto dall’illecito.
In linea generale, lo schema tipico dei delitti contro il patrimonio vede, da un lato, un depauperamento della persona offesa e, dall’altro, un arricchimento illecito del soggetto agente.
Per quanto attiene le modalità con cui attuare tale meccanismo di reciproco impoverimento ed ingiusto profitto, la disciplina del codice penale contempla tanto i casi in cui vengano poste in essere delle condotte connotate da violenza o minaccia, quanto i casi in cui l’ottenimento del guadagno sia perpetrato attraverso artifici, frodi o altro genere di inganni e raggiri idonei allo scopo.
Inoltre, in materia di delitti contro il patrimonio, l’arricchimento non è correlato soltanto all’ottenimento sia di somme di denaro quale bene fungibile, ma anche di beni materiali – comunque suscettibili di valutazione economica – o qualsiasi altro vantaggio che possa in concreto costituire un profitto per il soggetto agente; ad esempio, l’art. 624 c.p. (Furto) al comma 3 si preoccupa di specificare “Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”.
Per quanto attiene i delitti contro il patrimonio mediante violenza o minaccia si fa riferimento al Capo I del Titolo XIII del codice penale, ove i maggiori esempi sono costituiti dal furto ex art. 624 c.p., il furto in abitazione e furto con strappo ex art. 625 c.p., la rapina ex art. 628 c.p., l’estorsione ex art. 629 c.p., il sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p. ed il danneggiamento ex art. 635 c.p.
Per quanto attiene i delitti contro il patrimonio mediante frode si fa invece riferimento al Capo II del Titolo XIII del codice penale, ove i maggiori esempi sono costituiti dalla truffa ex art. 640 c.p., la frode informatica ex art. 640 ter c.p., l’usura ex art. 644 c.p. e l’appropriazione indebita ex art. 646 c.p.
In sintesi, il Titolo XIII del codice penale, a chiusura di quella parte dedicata ai delitti, si articola in una eterogenea pluralità di fattispecie, accomunate dalla tutela del medesimo bene giuridico, ossia il patrimonio, il quale viene inteso non solo come somme di denaro, ma come qualsiasi depauperamento o vantaggio che possa essere suscettibile di valutazione economica in relazione all’ingiusto profitto del soggetto agente.
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I casi di non punibilità ex art. 649 c.p.
Al Capo III del Titolo XIII del codice penale v’è però una specifica disposizione, la quale definisce le cause di non punibilità per tutti i delitti contro il patrimonio.
Nel dettaglio, ci si riferisce all’art. 649 c.p. – rubricato “Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti” – che prevede, al comma 1, che non sia punibile chi abbia commesso uno dei delitti contro il patrimonio previsti dal Titolo XIII del codice penale in danno
“1) del coniuge non legalmente separato;
1-bis) della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante o dell’adottato;
3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano”.
L’art. 649 c.p., dopo aver indicato i soggetti non punibili, al comma 2 specifica che invece siano punibili a querela dell’offeso i delitti contro il patrimonio commessi a danno “del coniuge legalmente separato o della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine in secondo grado con lui conviventi”.
Infine, il comma 3 pone dei limiti all’applicabilità del regime di non punibilità, stabilendo che “Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli artt. 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone”. Dunque, i reati che sono espressamente esclusi dall’ambito di operatività dell’art. 649 c.p. sono la rapina ex art. 628 c.p., l’estorsione ex art. 629 c.p., il sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p.
Il caso del coniuge non legalmente separato
In questa sede si intende prendere in considerazione lo specifico caso della non punibilità del coniuge non legalmente separato, la quale è paradigmatico esempio di quei punti di contatto che collegano il diritto civile con il diritto penale.
Infatti, l’art. 649 c.p. prevedere un regime di favore per il soggetto agente qualora sia legato alla persona offesa da vincoli di parentela, di affinità o di matrimonio, ossia istituti aventi natura prevalentemente civilistica.
Con riferimento al comma 1, dunque, anche nel caso del coniuge non legalmente separato, il favorevole regime di non punibilità è basato presunta una cointeressenza patrimoniale ed anche sull’esigenza di non turbare i rapporti della famiglia, secondo i criteri civilisti che sottendono la preservazione del nucleo familiare.
In sintesi, benché si tratti di una norma penale, l’art. 649 c.p. ha come presupposto applicativo la disciplina civilistica, quantomeno per quanto compatibile con l’applicazione della legge penale e le correlate esigenze di tutela.
A questo punto, viene in rilievo la problematica di cosa si debba intendere in ambito penale la dicitura “coniuge non legalmente separato” alla luce della normativa di diritto civile.
Innanzitutto, occorre specificare che la causa di non punibilità prevista per il coniuge non legalmente separato prevedere che lo stato di non separazione sussista al momento della commissione del fatto e, di conseguenza, la giurisprudenza ha chiarito che “non assume rilevanza il matrimonio contratto tra l’imputato e la persona offesa dopo la consumazione del reato”[1].
Inoltre, occorre interrogarsi se lo stato di separazione penalmente rilevante possa essere considerato come sussistente solamente una volta che sia pervenuta la sentenza di conclusione del procedimento per la separazione oppure se sia sufficiente anche solo l’ordine di temporanea separazione personale dei coniugi per motivi di urgenza o necessità in sede di udienza presidenziale tramite i provvedimenti temporanei e urgenti previsti dall’art. 708 c.p.c.
A livello letterale, la norma opererebbe una mera distinzione tra il caso della separazione consensuale, che si perfeziona a seguito dell’omologa, e l’irrevocabilità della sentenza che pronuncia la separazione giudiziale[2].
Sul punto, in epoca risalente la Suprema Corte ha definito che “Poiché lo stato di separazione personale ha legalmente inizio nel momento in cui acquista autorità di cosa giudicata la sentenza che dichiara o che omologa la separazione dei coniugi, senza che a tale sentenza possa riconoscersi effetto retroattivo, il provvedimento con il quale, ai sensi dell’art 708 c.p.c., il Presidente del tribunale ordina la temporanea separazione personale dei coniugi, stante il suo carattere provvisorio e non definitivo, non basta a costituire quello stato giuridico necessario per escludersi la causa di non punibilità prevista dall’art 649 n. 1 c.p., neppure se sia successivamente pronunciata con sentenza irrevocabile la separazione giudiziale o sia omologata quella consensuale”[3].
Inoltre, la Cassazione – giudicando in tema di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. – ha recentemente puntualizzato sull’irrilevanza della separazione di fatto, poiché l’esimente ex art. 649 c.p. viene meno soltanto per effetto della pronuncia della sentenza che conclude il procedimento instaurato con l’azione di separazione legale tra i coniugi[4].
Infine, per quanto attiene la rilevanza dell’ordinanza presidenziale di autorizzazione dei coniugi a vivere separati, la Corte di Cassazione si è espressa molto chiaramente stabilendo che: “L’operatività dell’esimente di cui all’art. 649, comma primo, n. 1, cod. pen. per i delitti contro il patrimonio viene meno non con l’ordinanza presidenziale che autorizza in via provvisoria i coniugi a vivere separatamente, ma soltanto per effetto della pronuncia della sentenza che conclude il procedimento instaurato con l’azione di separazione legale tra i coniugi”[5].
Conclusioni
In conclusione e sintesi, la materia penale dei delitti contro il patrimonio si caratterizza per la sua profonda interconnessione – dal punto di vista del carattere economico del bene giuridico e protetto ed in ragione dell’interfacciarsi delle normative processuali – con la disciplina civilistica, la quale può influenzare in modo determinante la perseguibilità dei reati o la possibilità di procedere efficacemente con la querela per il perseguimento e punizione degli stessi.
Uno dei più lampanti casi in cui si può apprezzare detta correlazione tra civile e penale è la causa di non punibilità per il coniuge non legalmente separato stabilita dall’art. 649 comma 1 c.p., ove la dicitura “coniuge non legalmente separato” viene ad essere determinata soltanto in base a parametri civilistici, con evidenti riflessi in ambito penale.
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Note:
[1] Cass. pen. Sez. II Sent., 12/12/2014, n. 1381, in Leggi d’Italia
[2] c.p. commentato, art. 649 – Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti, a cura di L. Concas, aggiornato da M. Lombardo in Leggi d’Italia
[3] Cass. pen. Sez. II Ord., 10/11/1969, in Leggi d’Italia
[4] Cass. pen. Sez. II Sent., 10/05/2017, n. 26533, in Leggi d’Italia
[5] Cass. pen. Sez. II Sent., 10/06/2011, n. 34866, in Leggi d’Italia
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