Indice
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
1. Il fatto
Il Tribunale di Napoli confermava una ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Benevento con la quale era stata applicata all’indagato la misura degli arresti domiciliari in relazione alla ritenuta gravità indiziaria in ordine a taluni reati.
2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 272 cod. proc. pen. e 319, 319-bis, 321 e 346bis cod. pen.; 2) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 2 d.lg.vo n. 74/2000; 3) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen..
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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era reputato complessivamente infondato e, quindi, da doversi rigettare.
In particolare, per quanto concerne la prima doglianza, si addiveniva alla sua reiezione principalmente sulla scorta di quell’orientamento nomofilattico secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione, non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto quando non sussistono dubbi in ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nella realizzazione del fatto, non occorrendo che il medesimo sia o meno conosciuto o nominativamente identificato (Sez. 6, n. 3523 del 07/11/2011) essendo – nel caso in esame – incensurabilmente ritenuta la effettiva esistenza del pubblico ufficiale che aveva determinato l’esito della gara e gestito le successive liquidazioni degli stati di avanzamento, ed essendo, quindi, soddisfatto, ad avviso del Supremo Consesso, l’altro parametro secondo il quale – in assenza della identificazione del pubblico ufficiale – è indispensabile che non sussistano dubbi circa l’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nel fatto di corruzione, né la semplice consegna “sine titulo” di ingenti somme di denaro ad un intermediario è sufficiente ad affermare con certezza, in mancanza di ulteriori elementi, che si sia consumato un episodio di corruzione, ben potendo tale condotta integrare alternativamente altri reati (Sez. 6, n. 1 del 02/12/2014).
Oltre a tale approdo ermeneutico, inoltre, era altresì richiamato quell’indirizzo interpretativo secondo il quale, per configurare il delitto di corruzione propria, non è necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri di ufficio, qualora il pubblico ufficiale abbia ricevuto dall’impresa controllata denaro od altre utilità in misura tale da evidenziare una commistione di interessi atta a vanificare la doverosa funzione di controllo che al pubblico ufficiale è demandata, poiché in tal modo risulta già integrata la violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono (Sez. 6, n. 21192 del 25/02/2007) fermo restando che, quanto all’oggetto del patto corruttivo costituito dal turbamento della gara, l’evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti può essere costituito oltre che dall’impedimento della gara anche da un suo turbamento, situazione quest’ultima che si verifica quando la condotta fraudolenta o collusiva abbia anche soltanto influito sulla regolare procedura della gara medesima, essendo irrilevante che si produca un’effettiva alterazione dei risultati di essa. (Sez. 6, Sentenza n. 28970 del 24/04/2013) cosicché, da un lato, la pattuizione illecita della attribuzione dell’appalto integra l’illegittimità che sostanzia il reato di corruzione propria, dall’altro, il profilo collusivo a fondamento del turbamento della gara è ineccepibilmente sostanziato dalla realizzazione del patto corruttivo.
Ciò posto, per quanto riguarda la seconda doglianza, gli Ermellini ritenevano come essa si palesasse manifestamente infondata oltrechè genericamente proposta mentre, a proposito del terzo motivo, costoro lo stimavano genericamente proposto, trattandosi di una mera questione in fatto.
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito quando, ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione, non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto.
Difatti, in tale pronuncia, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione, non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto quando non sussistono dubbi in ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nella realizzazione del fatto, non occorrendo che il medesimo sia o meno conosciuto o nominativamente identificato, fermo restando però che, affinché possa ricorrere questa ipotesi concorsuale, non rileva la semplice consegna “sine titulo” di ingenti somme di denaro ad un intermediario per potere affermare con certezza, in mancanza di ulteriori elementi, che si sia consumato un episodio di corruzione, ben potendo tale condotta integrare alternativamente altri reati.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba affrontare tale specifica problematica giuridica.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica di diritto sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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