Il fatto.
La fglia di due coniugi deceduti in sinistro stradale conveniva dinanzi al Tribunale l’impresa assicuratrice che veniva condannata a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale chiesto jure proprio. L’assicuratore ricorreva in appello, poi accolto, ritenendo che il Tribunale fosse incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo liquidato a titolo di danno per la “perdita del rapporto parentale” una somma maggiore di quella richiesta. La danneggiata ricorreva in cassazione.
La decisione.
La richiesta di condanna al risarcimento del danno con riferimento a “quella somma che verrà determinata e quantificata nel corso del giudizio, o ritenuta di giustizia, oltre agli interessi legali ed al danno da svalutazione monetaria”, è legittima e non è una formula di stile.
La Corte di Cassazione ha individuato un preciso “discrimen” tra quelle clausole cui deve riconoscersi un significato giuridicamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto della lite, in ordine al quale deve essere verificata la corrispondenza del bene attribuito rispetto a quello che la parte aveva chiesto ed invece quelle clausole inidonee a definire l’oggetto della pretesa, in quanto espressione di una mera formula stilistica e che non intendono incidere sui limiti quantitativi del petitum. Pertanto, nella originaria incertezza sulla esatta determinabilità del quantum, la indicazione di un importo chiesto a titolo risarcitorio, se accompagnata dalla formula “o la somma maggiore o minore ovvero altra somma ritenuta di giustizia”, viene di regola a manifestare, in senso ottativo, la volontà della parte diretta ad ottenere quella somma che risulterà spettante all’esito del giudizio, senza porre limitazioni al potere liquidatorio del Giudice (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2641 del 08/02/2006). Diversamente, secondo la Corte, la stessa clausola è priva di qualsiasi rilevanza, ed integra clausola di mero stile, qualora la originaria incertezza sul quantum sia venuta meno, nel corso della fase istruttoria (ad esempio, essendo stata quantificata la pretesa in esito all’espletamento di prove od alle indagini tecniche svolte nella c.t.u.): ed infatti, una volta che si è pervenuti, all’esito della istruttoria, alla determinazione del quantum, il reiterato riferimento della parte alla – non più attuale – originaria situazione di incertezza, si palesa oggettivamente inconferente rispetto al dato acquisito nel successivo sviluppo dell’attività processuale e, dunque, la invocazione della medesima clausola non assolve ad alcuna ulteriore esigenza funzionale, venendo a risolversi in una mera forma stilistica (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 6350 del 16/03/2010; id. 3, Sentenza n. 12724 del 21/06/2016).
Diversamente, quando il carattere, per esempio “non patrimoniale”, del danno da risarcire costringe l’applicazione del criterio di liquidazione equitativa ex art. 2056 c.c., non essendo possibile consente una puntuale determinazione ex ante del quantum risarcibile, è consentito il ricorso alla clausola di salvaguardia.
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