Denunce penali ex art. 650 c.p. e misure di contenimento al fine di evitare la diffusione del coronavirus

Zaro Sergio 20/03/20
Giungono notizie di numerose contestazioni, da parte delle forze dell’ordine, di violazioni delle misure contenimento del contagio da coronavirus (COVID-19) in relazione all’art. 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020.

Posto che, nella sussistenza delle condizioni di legge, e’ del tutto legittimo, al fine di tutelare la salute pubblica, il ricorso a misure emergenziali restrittive della liberta’ personale dei cittadini e che i comportamenti contrari al contenimento della diffusione del virus vanno comunque scoraggiati, purtuttavia, in punto di diritto, non ci si puo’ esimere dall’esprimere fondati dubbi circa la sussistenza delle suddette condizioni ai fini della contestazione della violazione di cui all’art. 650 c.p. (arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a € 206,00).

Si legga anche:”La denuncia ex art. 650 c.p. e procedimento di archiviazione”

Divieto o invito?

Appare infatti di tutta evidenza che la suddetta disposizione non contiene alcun divieto, di spostamento delle persone ma solo un invito (una raccomandazione), com’e’ possibile evincere dallo stesso tenore letterale del provvedimento amministrativo:

  1. evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche’ all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita’ ovvero spostamenti per motivi di salute. E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Misura poi estesa a tutto il territorio nazionale dal successivo DPCM del 9 marzo 2020 (art. 1, comma 1).

Cosi’ pure l’art. 3, lett. c), del DCPM 8 marzo 2020, gia’ di applicazione generale ai territori non compresi nell’allegato 1, prima che il successivo DPCM del 9 marzo 2020 estendesse tali misure a tutto il territorio nazionale, contiene una mera raccomandazione “di limitare, ove possibile, gli spostamenti delle persone fisiche ai casi strettamente necessari”.

Tampoco la lett. b) dell’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020 contiene alcun “divieto” ma solo una “raccomandazione” ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5° di rimanere a casa.

Risulta invece diversamente formulata la successiva disposizione di cui alla lett. c) dell’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020 dove si parla espressamente di “divieto” assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena o risultati positivi al virus”.

Da quanto sopra ne deriva che la disposizione dell’art. 1, lett. a), del DCPM 8 marzo 2020 (poi estesa a tutto il territorio nazionale dall’art. 1, comma 1, del successivo DPCM 9 marzo 2020), non impone alcuna condotta alle “persone fisiche”, in quanto e’ priva di un preciso ordine, obbligo o divieto di fare o di non fare contenendo solo un invito, una raccomandazione (“evitare”) di tenere un certo comportamento che in quanto tale non e’ vincolante per i destinatari della stessa.

Dacche’ mancando il precetto – e cioè’  quel comando di legge avente forza coercitiva che imponga o vieti, un determinato comportamento ai destinatari dello stesso, non potendo assurgere a tale dignita’ un mero invito ne’ tampoco una semplice raccomandazione – alla violazione della misura di contenimento, prevista dall’art. 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020  (sempreche’ di violazione si possa parlare in quanto la stessa implicherebbe l’esistenza di un precetto che invece non c’e’),  non puo’ conseguire la sanzione penale prevista dall’art. 650 c.p.

La ragione sta nel fatto che l’art. 650 c.p. e’ una norma penale in bianco, e cioe’ una norma dove e’ prevista la sola sanzione, mentre il precetto e’ fissato di volta in volta nel provvedimento che dev’essere emanato dall’Autorità amministrativa.

Ne consegue, come logico corollario, che se i provvedimenti amministrativi (DPCP) sono, come in precedenza evidenziato, privi del precetto – e cioè di quella norma di condotta obbligatoria emessa in forma di divieto o di comando – la sanzione penale prevista dall’art. 650 c.p. e’ inapplicabile.

DPCM 8 marzo 2020

Cio’ trova conferma anche dal contenuto dell’art. 4, comma 2, del DPCM 8 marzo 2020 che espressamente punisce, con la sanzione penale prevista dall’art. 650 c.p. il mancato rispetto (solo) degli “obblighi previsti dal summenzionato decreto non potendosi considerare tali i meri inviti o le semplici raccomandazioni.

E cosi’ pure il Decreto Legge del 23/02/2020 n. 6 (convertito nella Legge 5 marzo 2020 n. 13) all’art. 3, comma 4, che, nel punire il mancato rispetto delle misure di contenimento ai sensi dell’art. 650 c.p., all’art. 1, comma 2, impone, ai fini dell’applicazione delle misure di contenimento, in entrata e in uscita dai territori di cui alle lettere a) e b), solo dei divieti e non gli  inviti o le raccomandazioni.

A quanto sopra si aggiunga che la sanzione penale prevista dall’art. 650 c.p., essendo norma di natura sussidiaria, trova applicazione solo quando l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non sia sanzionata da altra norma penale o processuale o amministrativa (cd. principio di specialita’).

Principio che trova conferma in numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione (ex multis: Cass. Pen., sez. I, 19/04/2016, n. 44126).

Pertanto, nel caso di specie, essendo la finalita’ dei DPCM quella di contrastare il diffondersi del virus, troverebbe applicazione, non gia’ la norma sussidiaria prevista dall’art. 650 c.p, ma bensi’ l’art. 260 del Regio Decreto 27/07/1934, n. 1265 (T.U. leggi sanitarie) che sanziona con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da € 21 a € 413,00 “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”.

Infine occorre sottolineare, quale ulteriore elemento di criticita’, che le misure di contenimento previste dai DPCM, essendo disposizioni di carattere tipicamente regolamentare e dunque di norme generali, rivolte, in via preventiva, ad una generalità di soggetti, anziche’ ad un determinato destinatario, la loro violazione, secondo il diritto vivente, non potrebbe,  in ogni caso, integrare il reato di cui all’art. 650 c.p. (vd.: Cass. Pen., sez. fer. 01/08/2013, n. 44238).

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Zaro Sergio

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