Con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 si è disposta l’abrogazione di diverse fattispecie di reato, riformulando i soli fatti dolosi in essi previsti in sanzioni civili pecuniarie, ulteriori rispetto all’eventuale condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno.[1]
Tale novella legislativa, facendo venire meno l’esistenza di tali reati nel nostro ordinamento, ha introdotto pertanto l’abolitio criminis degli stessi, con contestuale applicazione per l’interprete dell’art. 2.2 c.p.. Su questo non vi sono mai stati problemi alcuni.
Ben più problematico è stato interrogarsi sul rapporto della depenalizzazione con le statuizioni civili, dopo la pronuncia della sentenza di condanna già eventualmente pronunciata.
Sul punto, anche se a breve distanza dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 7, si è creato in giurisprudenza, ma anche in dottrina, un vero e proprio contrasto.[2]
Un primo indirizzo giurisprudenziale[3] era favorevole al mantenimento, in capo al giudice penale della impugnazione contro la sentenza di condanna, del potere di decidere il ricorso agli effetti civili. Questo per una serie di motivazioni:
1. per l’art. 2.2. c.p., ultima parte. In particolare, riferendosi la norma alla cessazione dell’esecuzione della condanna e dei relativi effetti penali, si ricavava, a contrario, che gli effetti civili non sarebbero stati travolti dall’abrogazione;
2. per l’art. 11 delle preleggi. Siccome “la legge non dispone che per l’avvenire”, sarebbe stato salvo il diritto della parte civile di veder esaminata la propria azione all’interno del procedimento penale;
3. per il meccanismo analogo del coevo D. Lgs. n. 8 del 2016, non essendoci differenza ontologica tra i reati oggetto del decreto di abrogazione e di depenalizzazione;
4. per ragioni riconnesse alla ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.). Obbligare una parte civile ad adire il giudice civile, nonostante il fatto sia già acclarato, darebbe luogo a diseconomie processuali ed a pericolo di contrasti fra giudicati;
5. per la disciplina transitoria del D. Lgs. n. 7 che permetterebbe al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili.
Un diverso approccio ermeneutico, che prende le mosse dal recente intervento della Corte Costituzionale (n. 12 del 2016) arriva a conclusioni radicalmente opposte, sostenendo l’impossibilità di una decisione anche sugli effetti civili.[4] Tale conclusione viene sostenuta per le seguenti argomentazioni:
1. la non conferenza dell’art. 2.2 c.p., riferibile solo alla cessazione degli effetti penali della condanna;
2. la non estensione del meccanismo del D. Lgs. n. 8 poiché caratterizzata da ratio diversa;
3. la previsione del D. Lgs. n. 7, disciplinante come il giudice del risarcimento sia il medesimo che irroghi la sentenza pecuniaria civile, anche con riferimento a fatti commessi anteriormente la data di entrata in vigore del divieto;
4. l’impossibilità di applicare analogicamente l’art. 578 c.p.p..
Vista l’insanabile contrapposizione presente in giurisprudenza, con ordinanza datata 15 giugno 2016 la seconda Sezione Penale, dovendosi pronunciare su un caso in cui l’imputato era stato condannato per danneggiamento, ha disposto la rimessione del contrasto alle sezioni unite,[5] con il presente quesito: “Se, in caso di sentenza di condanna relativa ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, debba revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Le Sezioni Unite del Giudice di Legittimità sono così intervenute per ricomporre il conflitto, privilegiando il secondo degli approcci citati[6].
Per giungere a tale conclusione la sentenza in commento si basa, in prima battuta, sul tenore letterario della normativa che ha dato origine al contrasto. Infatti nella disciplina transitoria del D. Lgs. n. 7 non è presente alcun richiamo all’eventuale potere per il giudice dell’impugnazione di decidere sulle statuizioni civili. Inoltre, le nuove sanzioni civili, introdotte in luogo delle pene previste per i reati abrogati, vedono possibile la loro applicazione retroattiva che dovrà essere irrogata dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno.
Fatta questa premessa sul tenore letterario, la Suprema Corte di Cassazione compie una verifica controfattuale dello stesso. A tal fine analizza il meccanismo previsto dal D. Lgs. n. 8, originato al pari del n. 7 da una comune finalità di deflazione del sistema penale, che permette al giudice dichiarante la depenalizzazione, il potere di decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili. Viene così evidenziata la differenza tra le due discipline transitorie, che rispecchia la più generale scelta di congedare due sistemi con opzioni tecnico normative differenziate ed autonome: la prima per realizzare abrogazioni, con introduzione delle sanzioni civili; e l’altra per le depenalizzazioni, con seguito nella sede di applicazione delle sanzioni amministrative. Ecco che allora, per il Giudice di Legittimità, vi sarebbe una coerente valutazione degli effetti della novella sui fatti antecedentemente commessi alla sua entrata in vigore, destinati ad un effetto immediato e certo nella sede penale (ex art. 129 c.p.p., o 667.4 c.p.p. per le sentenze passate in giudicato), ed ad un futuro solo eventuale per quanto riguarda l’accertamento del diritto al risarcimento e l’applicazione della sanzione pecuniaria civile.
Viene, altresì, rilevato, come la sopravvenienza dell’abrogazione del reato comporti automaticamente l’impossibilità per il giudice di pronunciarsi sulla domanda della parte civile poiché vi osterebbe l’art. 538 c.p.p.: regola che pone la subordinazione del potere del giudice penale di decidere sulle restituzioni e il risarcimento solo alla pronuncia della sentenza di condanna. Soluzione che da attuazione al combinato disposto dell’art. citato con l’art. 74 c.p.p. e l’art. 185 c.p.: la domanda della parte civile nel processo penale è legittimata con riferimento ai danni e alle restituzioni cagionate solo da un fatto derivante da reato. Diversamente ragionando il risarcimento del danno non si ancorerebbe all’art. 185 c.p., ma all’ 2043 c.c.. Questa ricostruzione non implicherebbe un’assenza di tutela per la parte civile ma soltanto, nel caso di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, l’individuazione della successiva competenza del giudice civile. Allo steso modo non potrebbe utilizzarsi il meccanismo dell’art. 578 c.p.p., precetto che fa eccezione a regole generali, e che non viene mai esteso analogicamente.
Infine la sentenza chiosa sulle censure di lesione al diritto di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), nonché sui paventati contrasti con il diritto comunitario.
La premessa comune è il rinvio alla Corte Costituzionale n. 12 del 2016, già citata, la quale, per il Giudice di Legittimità, avrebbe già risposto a questi interrogativi. Quanto alle limitazioni della parte civile, si fa rilevare come esperire l’azione di risarcimento all’interno del processo penale dia vita ad una soluzione profondamente diversa rispetto all’esercizio dell’azione civile in sede civile. In sede penale, infatti, tale azione assume un carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale e perciò destinata a subire “tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioè dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi”[7]. Pertanto, una volta che il danneggiato abbia valutato vantaggi e svantaggi della possibilità concessagli e scelto l’azione civile nel processo penale, non gli è dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento ne conseguano. La stessa impossibilità di vedere non esaminata la propria domanda di risarcimento, comunque, non incide sul suo diritto di difesa visto che resta intatta la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno in sede civile.
Quanto alla durata ragionevole si riporta un altro passaggio della Corte Costituzionale, la quale ha rilevato “alla luce dello stesso richiamo al connotato di ragionevolezza, che compare nella formula costituzionale, possono arrecare un vulnus a quel principio solamente le norme che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza”[8].
Con riferimento alle norme sovranazionali, invece, per il Giudice di Legittimità si ritiene violato il diritto del danneggiato solo quando la vittima del reato non disponga di rimedi alternativi concreti ed efficaci per far valere le sue pretese. [9]
Chiosa la sentenza in commento rilevando come la revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis, conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto, non comporti, invece, il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non debba essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato.
Il caso, infatti, rientra nell’art. 2.3. c.p.: deve essere revocata la condanna ed i suoi effetti penali, ma restano salve le statuizioni civili. Ciò in quanto, nella situazione descritta, il riconoscimento del risarcimento del danno o alla riparazione è avvenuto con riferimento ad un fatto-reato che, al momento della pronuncia stessa, era stato accertato come tale con relativa condanna penale e il successivo venir meno di questa per effetto dell’abrogazione non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza.
In conclusione ecco il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite: “in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Il giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili”.
[1] Per un quadro completo si veda G.L. GATTA, Depenalizzazione e nuovi illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili: una riforma storica, in Diritto Penale Contemporaneo, 25 gennaio 2016.
[2] I contributi sono diversi, si segnalano solo quelli ritenuti più importanti. F.P. GARZONE, Depenalizzazione: e se il conflitto nella giurisprudenza di legittimità sulle statuizioni civili della sentenza impugnata, da essere soltanto potenziale, fosse già divenuto effettivo? Percorsi argomentativi differenti alle porte delle Sezioni Unite, in Diritto.it, 12 maggio 2016. E. FOLIGNO, Depenalizzazioni e statuizioni civili, in Studio Cataldi.it, 9 ottobre 2016.
[3] Di cui la capofila risulta essere Cassazione Penale Sez. 5, n. 7124 del 09/02/2016 in banca dati Pluris. Del medesimo filone ermeneutico anche Cassazione Penale n. 14041 del 15/02/2016 e n. 25062 03/03/2016 sempre in banca dati Pluris, per citarne alcune. In particolare per l’ultima delle sentenze citate si veda anche H. LO GIUDICE: le statuizioni civili sopravvivono all’abolitio criminis, in Giurisprudenza Penale, fascicolo 7 del 2016.
[4] In questo caso la capofila è Cassazione Penale n. 15634 del 19/02/2016 in baca dati Pluris. Dello stesso tenore Cassazione Penale n. 14044 del 09/03/2016 e n. 16147 del 01/04/2016 in baca dati Pluris, per citarne alcune.
[5] Cfr. J. A. DUDAN e C. MELZI D’ERIL, Abrogazione del reato di ingiuria, alle Sezioni Unite le statuizioni civili, in Guida al Diritto, 30 maggio 2016 e con D. SIBILIO Abolitio criminis e nuovi illeciti puniti con sanzioni pecuniarie civili: alle sezioni unite la questione relativa alla possibile decisione del giudice dell’impugnazione in merito agli effetti civili, in Diritto Penale Contemporaneo, 7 luglio 2016.
[6] A. MONTAGNA, Depenalizzazioni: risolto il contrasto sulla sorte delle statuizioni civili, in Quotidiano Giuridico, 9 novembre 2016.
[7] Oltre che la citata sentenza della Corte Costituzionale anche in Cassazione Penale n. 40109 del 18/07/2013, in banca dati Pluris.
[8] Oltre che la citata sentenza della Corte Costituzionale anche in Corte Costituzionale n. 23 del 2015, in banca dati Pluris.
[9] Corte EDU, Sezione 3, 25/6/2013, Associazione vittime del sistema S.C. Rompetrol S.A. E S.C. Geomin S.A. e altri contro Romania
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