Deroghe sui limiti di distanza tra fabbricati: questione alla Consulta

Per il Consiglio di Stato (Ordinanza 17 marzo 2022, n. 1949) sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 2-bis, c. 1, d.P.R. n. 380/2001, in quanto autorizzerebbe le Regioni a emanare una legislazione derogatoria rispetto al d.m. n. 1444/1968 in materia di dotazione delle aree a standard, fino a poter arrivare ad annullarne la previsione, in violazione dell’art. 117, c. 2, lett. m), della Costituzione, sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. 

Indice:

  1. I tentativi di leggere la norma conformemente alla Costituzione
  2. L’asserita autorizzazione alla deroga
  3. I parametri inderogabili
  4. Le possibilità di discrasie tra Regioni
  5. Gli effetti della norma posta sotto la lente

I tentativi di leggere la norma conformemente alla Costituzione

La Sezione ha esaminato la possibilità di una lettura costituzionalmente orientata della norma statale, tale da far venir meno il dovere di rimessione della questione alla Consulta:

  • la prima possibile interpretazione poggia sul rilievo che le regole cogenti del d.m. n. 1444 del 1968 si riespanderebbero in ipotesi di mancato esercizio da parte delle Regioni della facoltà di deroga riconosciuta dall’articolo 2-bis, tuttavia tale lettura non è idonea a far venir meno la possibile illegittimità costituzionale della disposizione. La circostanza che la “cedevolezza” delle previsioni del d.m. sia solo potenziale, dipendendo dal concreto esercizio da parte delle Regioni della facoltà di deroga, non fa venir meno il vulnus a quella che dovrebbe essere la loro inderogabilità da parte del legislatore regionale;
  • la seconda prospetta la possibilità di interpretare la norma nel senso di far salvi in ogni caso i limiti inderogabili stabiliti dal d.m., tuttavia si risolve nel far dire alla norma regionale qualcosa che la medesima espressamente non afferma, sulla base di un’argomentazione ermeneutica “additiva” che non trova aggancio nel dato testuale.

L’asserita autorizzazione alla deroga

Peraltro, malgrado un dubbio interpretativo possa forse essere ingenerato dal successivo comma 1-bis dell’articolo in esame (introdotto dal d.l. n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 55/2019) secondo cui le disposizioni del comma 1 “sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio”, il tenore testuale del c. 1 rimane inequivoco nel ricollegare il potere di deroga al d.m. n. 1444/1968 alla possibilità riconosciuta alle Regioni e alle Province autonome di “dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”. Per i giudici amministrativi la finalità della previsione è quella di autorizzare una deroga a tutti i parametri e criteri contenuti nel d.m. n. 1444/1968, e non solo a taluni di essi, confermata anche dai plurimi interventi legislativi con cui le Regioni si sono avvalse di tale facoltà.

I parametri inderogabili

La Sezione ha ipotizzato che la norma statale di principio sia da rivenirsi nell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/1942 (introdotto dalla l. n. 765/1967), il quale costituisce la fonte di derivazione del d.m. n. 1444 del 1968, imponendo agli strumenti urbanistici generali il rispetto di parametri e limiti definiti espressamente “inderogabili”.

Le possibilità di discrasie tra Regioni

Nella materia del governo del territorio le leggi regionali devono rispettare le norme di principio della legislazione statale, e il c. 9 dell’articolo 41-quinquies della l. n. 1150/1942 esprime l’esigenza che le dotazioni di spazi pubblici, infrastrutture, servizi etc. rispondano a criteri di  definizione omogenei su tutto il territorio nazionale, per il collegio amministrativo non è costituzionalmente ammissibile che possano esservi discrasie anche vistose tra Regione e Regione, in virtù dei diversi rapporti e parametri liberamente individuabili dalle diverse legislazioni regionali.

Gli effetti della norma posta sotto la lente

Tale però sembra essere l’esito dell’applicazione dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380/2001 (inserito dal d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 98/2013) il quale, autorizzando le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano a “prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”, produce l’effetto di “neutralizzare” il carattere cogente delle disposizioni dell’articolo 41-quinquies della l. n. 1150/1942 e di quelle regolamentari che ne discendono. Tuttavia, anche a voler ritenere che con la novella del 2013 al T.U. dell’edilizia il legislatore statale abbia inteso perseguire una deliberata ratio di abrogazione implicita dei c. 8 e 9 dell’articolo 41-quinquies della l. n. 1150/1942, tale operazione, per il collegio,  appare di dubbia compatibilità col quadro costituzionale, poiché si risolve in una sostanziale abdicazione dalla fissazione di parametri e criteri generali, cui pure il legislatore statale sarebbe chiamato in materia di competenza concorrente, in modo da consentire a ciascuna Regione di dettare regole autonome e disomogenee in materia di dimensionamento delle aree a destinazione residenziale, degli spazi pubblici, delle infrastrutture, del verde pubblico etc.

 

Sentenza collegata

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Avv. Biarella Laura

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