La sentenza segnalata esamina un diniego di detenzione armi della Prefettura, adottato a seguito di nota informativa della Questura in ordine alla circostanza che il figlio convivente del ricorrente era stato tratto in arresto nel lontano 2002.
Il Collegio richiama l’orientamento in materia di detenzione e porto d’armi che riconosce in capo all’Autorità di pubblica sicurezza un’ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei presupposti di affidabilità del soggetto interessato, a tutela della pubblica incolumità.
Ribadisce però la sentenza che tale discrezionalità, per non trasformarsi in arbitrio, deve esercitarsi sulla scorta di un’attività istruttoria adeguata, svolta nel rispetto delle garanzie partecipative spettanti all’interessato, e deve esplicarsi attraverso provvedimenti la cui motivazione dia conto in modo congruo del giudizio conclusivo formulato dall’Autorità in ordine all’affidabilità (o alla mancanza di affidabilità) del soggetto interessato, ancorando tale giudizio in modo logico e ragionevole agli esiti dell’istruttoria procedimentale.
Nel caso di specie, la valutazione fatta dall’Amministrazione procedente non era obiettivamente ragionevole alla luce degli esiti dell’istruttoria, in quanto l’episodio in cui era stato coinvolto il figlio del ricorrente è rimasto, allo stato degli atti, isolato nella condotta di vita del medesimo, sicché inferire da questa sola circostanza che il medesimo possa impossessarsi delle armi del padre appare un sillogismo obiettivamente azzardato, irragionevole e non giustificato.
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