Detenzione domiciliare provvisoria, principio di rieducazione e tutela della salute: una questione di legittimità costituzionale

Redazione 17/09/00
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inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004

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N. R..

UFFICIO DI SORVEGLIANZA
per le circoscrizioni dei Tribunali di Alessandria, Acqui Terme e Tortona
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

nel procedimento relativo al differimento provvisorio dell’esecuzione della pena ex art. 684 c.p.p.
nei confronti di
nato a
detenuto in

in relazione alla pena di cui a

OSSERVA

Igino Marino a avanzato a questo Magistrato di Sorveglianza istanza di applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai sensi del combinato disposto degli articoli 47 ter commi 1 ter e 1 quater della legge 354/1975, come introdotti dalla legge 165/1998.
In effetti, dalle acquisizioni istruttorie in atti risulta quanto segue.
Sul piano giuridico, egli è condannato definitivo con pena residua superiore ai 4 anni.
Sul piano sanitario, egli risulta sieropositivo dal 1989, con alterazione della funzionalità epatica e biliare, affetto da epatite C, neurotoxoplasmosi, con reliquari neurologici che determinano difficoltà nell’articolazione della parola e dei movimenti, in condizioni di salute non adeguatamente trattabili in istituto penitenziario.
Egli tuttavia non risulta nelle condizioni descritte dall’art. 146 c.p. (grave deficienza immunitaria o AIDS conclamato accertate ai sensi dell’art. 286 bis c.p.p., né è in fase così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili o alle terapie curative).
Egli, a causa di tale quadro, si trova invece nella condizione di cui al numero 2 dell’art. 147 c.p. (persona in codnizioni di grave infermità fisica). Egli, in particolare, si trova, dal punto di vista sanitario, nella condizione che ha individuato la corte di Cassazione nella applicazione della medesima disposizione (non è sufficiente che una o più infermità fisiche menomino in maniera più o meno rilevante la salute del soggetto e siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla libertà, ma è necessario che le patologie siano di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell’art. 27, 2º comma, cost.; occorre cioè che la malattia sia di tale gravità da escludere – in quanto preponderante sugli altri aspetti della vita intramuraria, globalmente considerata, del detenuto la sua capacità di avvertire l’effetto rieducativo del trattamento penitenziario” Cass., sez. I, 15 ottobre 1996, in Ced Cass., rv. 206329).
Egli tuttavia non soddisfa la condizione di cui all’art. 147 ultimo comma c.p. (esclusione del concreto pericolo di commissione di delitti). Ha commesso infatti numerosi delitti di particolare gravità e, situazione decisiva, è gravemente recidivo dopo benefici penitenziari e inflizione di misure di sicurezza, di tal che la pura e semplice remissione in libertà costituisce fattore di rischio per l’interessato e la collettività.
Più precisamente, poiché tale pericolo di recidiva è una situazione di fatto, da accertare in concreto, esso è una variabile che dipende dal regime sanzionatorio. Alla luce di tale valutazione, sia pure effettuata nella presente sede cautelare, egli è portatore di pericolosità sociale incompatibile con la mera scarcerazione,ma compatibile con il collocamento in un regime restrittivo e controllato quale quello inerente la detenzione domiciliare, con i relativi controlli, supporti e regime sanzionatorio e deterrente, ivi compresa la possibilità di immediato arresto per evasione.
Sussiste, inoltre, il periculum in mora, attese le condizioni compromesse di salute e il cospicuo tempo di attesa necessario per la trattazione davanti al Tribunale di Sorveglianza, poiché l’udienza più prossima fissata in conformità all’art. 70 l. 354/1975 non è prima del 12 maggio 2004.
L’istanza dell’interessato è, in definitiva, assai ben fondata in punto di fatto.
Essa però non può essere accolta poiché vi osta l’art. 47 ter comma 1 quater. Questa disposizione consente l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare nei soli casi di cui ai commi 1 e 1 bis, escludendo il caso, che qui ricorre, dell’art. 1 ter. Ciò risulta in modo inequivocabile dalla disposizione dello stesso comma 1 quater, introdotto contestualmente al comma 1 ter (circostanza ugualmente decisiva). Non è possibile, in definitiva, alcun altro significato per l’omesso richiamo di tale ultima disposizione, se non la chiara volontà legislativa di escludere tale ipotesi dalla possibilità di applicazione provvisoria. Tale è del resto la costante applicazione concreta della norma nella quotidiana pratica giurisprudenziale.
A sommesso avviso di questo Magistrato di Sorveglianza non è manifestamente infondato il dubbio che questo assetto normativo, rilevante nel presente procedimento come emerge da quanto sopra, sia in contrasto con gli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione.
In primo luogo, per il fatto che esso impedisce, irragionevolmente, di adottare in via urgente l’unica misura, terapeutica e sanzionatoria, adeguata a tutelare il diritto a una pena umana, il diritto alla salute e il valore costituzionalmente rilevante (e anch’esso immanente alla pena) della sicurezza dei cittadini. In proposito, è sufficiente sottolineare la efficacia umanitaria, rieducativa e preventiva di una misura contenitiva come la detenzione presso un luogo di privata dimora o cura. Né può essere trascurato il dato criminologico della riconosciuta efficacia deterrente di prescrizioni, controlli e immediate sanzioni che possono conseguire alla detenzione domiciliare (per tacere della possibile attuazione di meccanismi di controllo elettronico del rispetto delle prescrizioni).
In secondo luogo perché irragionevolmente equipara situazioni diverse quanto ai valori costituzionali in gioco, con violazione dell’art. 3 Cost., in correlazione con gli articoli 27 e 32 Cost. Per rimanere alla fattispecie oggetto dell’odierno esame, equipara un condannato portatore di pericolosità compatibile con la detenzione domiciliare a un detenuto al quale tale misura non potrebbe essere concessa (neanche in sede definitiva), a causa di una pericolosità del tutto incompatibile con forme trattamentali esterne.
In terzo luogo (e si tratta di profili di dubbia legittimità della disposizione non direttamente rilevanti nella situazione di fatto presente ma concernenti identici profili), perché, nel caso di persona nei cui confronti ricorrano le condizioni, più gravi, dell’art. 146 c.p., equipara, nella fase provvisoria, il condannato socialmente pericoloso a quello non socialmente pericoloso, impedendo l’applicazione al primo dell’unica misura idonea della detenzione domiciliare, stringendo tra le due alternative ugualmente costituzionalmente dubbie della scarcerazione tout court o del mantenimento della carcerazione. La prima priva il condannato di supporti necessari alla sua rieducazione e la collettività di tutela contro le aggressioni (tutela che la detenzione domiciliare garantirebbe). La seconda lederebbe la salute del condannato e principi di evidente umanità.
Tali profili della disciplina, a modestissimo avviso di questo giudice, non appaiono espressione di discrezionalità legislativa ma: a) irragionevole e ingiustificata compressione dei valori costituzionali predetti; b) irragionevole equiparazione di situazioni differenti, se valutate alla luce dei valori medesimi.
Né potrebbe giustificarsi, per completezza, tale assetto, sulla base di una ipotetica necessità, valutata dal legislatore, di intervento del giudice collegiale (di cui fanno parte componenti esperti) per le fattispecie di cui al comma 1 ter art. 47 ter l. 354/1975, concernenti le pene più elevate (e la correlata maggiore pericolosità), per l’ovvio motivo che provvedimenti che determinano la scarcerazione di soggetti, anche autori di gravissimi delitti e per pene della stessa durata è possibile in via monocratica (ad esempio, per effetto del combinato disposto dell’art. 146 c.p. e 684 c.p.p.). In tali casi, in modo esattamente opposto a quello che questa ipotetica ratio comporterebbe, è riservata al giudice monocratico l’adozione in via urgente del provvedimento di liberazione tout court (e irragionevolmente preclusa l’appliacazione provvisoria della detenzione domiciliare).
Ne consegue che la questione di legittimità costituzionale del comma 1 quater dell’art. 47 ter l. 354/1975, nella parte in cui non consente l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai caso di condannato con pena residua superiore ai quattro anni è rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata.
Il procedimento deve pertanto sospendersi e gli atti essere inviati alla Corte Costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

Visti gli articoli 23 e seguenti Legge 11 marzo 1953, n. 87 e 47 ter l. 354/1975.

DISPONE la trasmissione degli atti del presente procedimento alla Corte Costituzionale.
DISPONE la sospensione del presente procedimento in attesa della decisione della Corte medesima.
MANDA alla Cancelleria per le comunicazioni di legge e, in particolare, la notifica all’interessato, al Pubblico Ministero, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché la comunicazione ai Presidenti delle Camere.

Alessandria, 8 aprile 2004

Il Magistrato di Sorveglianza
(Alberto Marcheselli)

Redazione

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