Detenzione di arma clandestina è reato speciale rispetto alla detenzione di arma da sparo

“I delitti di detenzione e porto illegali in luogo pubblico o aperto al pubblico di arma comune da sparo, ex artt. 2,4 e 7 legge 2 ottobre 1967 n. 895, non concorrono, rispettivamente, con quelli di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico della stessa arma clandestina, ex art. 23, primo, terzo e quarto comma, legge 18 aprile 1975, n. 110”.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 41588 del 22.6.2017, depositata in data 12.9.2017, all’esito della rimessione operata dalla Prima sezione penale con ordinanza  del 3.4.2017, per “prevenire un potenziale contrasto interpretativo” sul corretto inquadramento dei rapporti tra le due fattispecie innanzi in termini di concorso di reati sub specie di concorso formale ex art. 81 comma 1 c.p. ovvero di concorso apparente tra norme con l’applicazione del criterio di specialità di cui all’art. 15 c.p..

 

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L’imputato era stato condannato con doppia conforme per i reati di porto abusivo di arma da fuoco e porto abusivo di arma clandestina, riconosciuti in concorso formale tra loro, in quanto, senza la prescritta autorizzazione amministrativa, aveva detenuto e portato in luogo pubblico un’arma comune da fuoco, che, priva dei segni identificativi, si doveva definire come clandestina. Il Tribunale di Ragusa, giudice di prime cure, e poi la Corte d’Appello di Catania avevano fatto applicazione di un consolidato orientamento della magistratura di legittimità sulla configurazione di un concorso formale tra le due fattispecie di reato di cui agli artt. 2,4 e 7 Legge n. 895/1967 e art. 23, primo, terzo e quarto comma, Legge n. 110/1975. Per la tesi in questione le due ipotesi delittuose erano ontologicamente diverse, in quanto l’interesse tutelato ed il bene giuridico protetto erano differenti: la legge del 1967 mirava al controllo soggettivo in ordine alla detenzione e porto delle armi, prescrivendo la autorizzazione amministrativa di pubblica sicurezza; la legge del 1975 aveva come obiettivo quello del controllo oggettivo sulle armi, assicurandone il censimento ed il riconoscimento univoco.

La posizione è stata ritenuta irragionevole dalla Prima sezione penale della Cassazione, alla luce delle conclusioni a cui le Sezioni Unite (ex pluribus v. Cassazione SS.UU. sentenza n. 20664 del 23.2.2017) sono giunte da tempo in ordine ai criteri discretivi tra concorso formale di reati e concorso apparente tra norme. In caso di violazione di più fattispecie penali con un’unica azione od omissione, per distinguere se ci sia concorso formale di reati ex art. 81 comma 1 c.p. o concorso apparente tra norme, l’unico criterio utilizzabile è quello strutturale contemplato dall’art. 15 c.p.. La norma ultima citata afferma che vi è rapporto di specialità tra norme, quando è possibile riscontrare la “stessa materia”.

È posizione ormai pacifica del Supremo Collegio che per “stessa materia” “deve intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico nel quale si realizza l’ipotesi di reato; con la precisazione che il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità (…). L’identità di materia si ha sempre nel caso di specialità unilaterale per specificazione”, qual è quella del caso che ci occupa, “perché l’ipotesi speciale è ricompresa in quella generale”.

Nella sentenza impugnata, quindi, le Sezioni Unite ritengono di dover ricondurre ad unità i due orientamenti della giurisprudenza di legittimità, conformando quello relativo ai rapporti tra le fattispecie di cui alle leggi n. 895/1967 e 110/1975 a quello relativo al distinguo tra concorso formale di reati e concorso apparente tra norme. Il Supremo Collegio richiama all’uopo quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 200/2016 – che ha affrontato la problematica dei rapporti tra concorso formale e concorso apparente tra norme in relazione al divieto di bis in idem ex art. 649 c.p.p.-: il Giudice deve innanzitutto verificare se tra le norme violate con l’unica condotta vi sia un rapporto di genere a specie ovvero che una assorba integralmente l’altra sotto il profilo del disvalore sociale; solo qualora detta indagine dovesse concludersi in senso negativo, sarebbe possibile  attribuire all’imputato tutti gli illeciti penali consumati con un’unica condotta e quindi affermare un concorso effettivo di reati, con accesso quoad poenam al trattamento sanzionatorio di favore di cui all’art. 81 comma 1 c.p..

Ebbene, nel caso che ci occupa, per le Sezioni Uniti sono condivisibili i dubbi sollevati dalla prima sezione e fatti propri dall’Avvocato Generale, sicché il consolidato orientamento deve essere modificato, riconoscendo il concorso apparente tra norme. Il Supremo Collegio propende per l’applicazione della sola fattispecie di cui alla Legge n. 110/1975, norma speciale per specificazione rispetto a quella di cui alla Legge n. 895/1967, in quando l’elemento specializzante è dato dalla natura clandestina dell’arma; del tutto irrilevante a tal fine risulterebbe la eventuale diversità del bene giuridico tutelato e dell’interesse protetto, elementi valutativi estranei alla struttura del reato. Questa conclusione, sostengono gli Ermellini, risulta corroborata dalle posizioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha affrontato il problema dei rapporti tra fattispecie di reato in relazione al divieto di bis in idem di cui all’art. 4 prot. 7 CEDU. La Corte di Strasburgo ha affermato che per stabilire se il divieto sia stato violato o meno è necessario verificare se il fatto storico dal quale siano scaturite le contestazioni penali sia lo stesso o meno. Tuttavia, l’idem factum su cui pone l’accento il giudice internazionale non impone di considerare la sola azione od omissione, ma anzi richiede che siano valutati tutti gli elementi naturalistici del fatto. Tra questi rilievo fondamentale deve riconoscersi all’evento naturalistico, verificatosi per effetto della condotta, ed al nesso di causalità tra la condotta e detto evento. Del tutto irrilevante ai fini dell’applicazione del principio di specialità, invece, è l’interesse tutelato dalle norme incriminatrici da porre in comparazione (così Corte EDU Grande Camera del 20.2.2009 nel caso Zolotukhin vs Russia).

Premesso brevemente quanto innanzi, le Sezioni Unite hanno concluso che “non pare revocabile in dubbio che la condotta materiale oggetto delle coppie di reato prese in considerazione – la detenzione di arma comune da sparo rispetto alla detenzione di arma clandestina; il porto illegale in luogo pubblico o aperto al pubblico di arma clandestina – risulta naturalisticamente identica e differisce, unicamente, per il dato relativo alla clandestinità dell’arma oggetto di detenzione ovvero di porto. (…) resta impregiudicata la possibilità di ritenere sussistente, in concreto, il concorso fra diversi reati citati, qualora l’agente  ponga in essere una pluralità di condotte, nell’ambito di una progressione criminosa, nella quale alla detenzione ed al porto illegali di un’arma comune da sparo faccia seguito la fisica alterazione della medesima arma, che venga resa clandestina in un secondo momento”.

Sentenza collegata

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Antonia Quartarella

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