Deve essere rigettata la domanda risarcitoria per mancata prova del nesso causale nel caso in cui il paziente rifiuti di sottoporsi alla CTU medica volta ad accertare la causa del danno

 

Deve essere rigettata la domanda risarcitoria per mancata prova del nesso causale nel caso in cui il paziente rifiuti di sottoporsi alla CTU medica volta ad accertare la causa del danno.

Il fatto

Una signora era stata ricoverata presso il locale Ospedale e poi trasferita presso un istituto di cura per ricevere un trattamento specialistico in quanto era risultata affetta da meningoencefalite. Tuttavia, durante detto ricovero e trattamento specialistico i sanitari di entrambe le strutture sanitarie avevano omesso di diagnosticare un pregresso glaucoma e di adottare le opportune terapie necessarie a prevenire un glaucoma di natura iatrogena, insorto durante il ricovero che aveva determinato la patologia della neurite acuta esitata infine in una perdita del visus della paziente quasi integrale.

In considerazione di ciò, la paziente aveva adito il tribunale locale per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’evento di malpractice medica. L’istituto di cura si era difeso in giudizio sostenendo che la patologia subita dalla donna e i conseguenti esiti invalidanti non dipendevano dalle terapie adottate dalla struttura sanitaria né da omissioni di accertamenti diagnostici (invece l’Ospedale aveva raggiunto un accordo transattivo con la paziente, venendo estromesso dal giudizio).

La domanda veniva rigettata in primo grado e anche l’appello promosso dalla paziente veniva respinto, in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto non provato il nesso di causalità da parte della paziente attrice anche in considerazione del fatto che quest’ultima aveva omesso di sottoporsi a delle ulteriori indagini neurologiche durante lo svolgimento della CTU.

Non soddisfatta della decisione, la paziente ricorreva dinanzi al Supremo Collegio, chiedendo la cassazione della sentenza della Corte di Appello.

 

La decisione della Cassazione

Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibile il ricorso promosso dalla ricorrente, rigettandolo e confermando la decisione di seconde cure.

I giudici, infatti, hanno affermato che la sentenza impugnata aveva correttamente ritenuto che l’attrice non avesse provato adeguatamente la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta seppure negligente posta in essere dai sanitari e la patologia agli occhi subita dalla paziente, dando a tal fine rilievo al fatto che la paziente non si fosse presentata alla visita neurologica disposta dal CTU e non avesse neanche depositato la cartella clinica inerente il pregresso ricovero presso l’Ospedale.

Secondo la Suprema Corte, quindi, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che, in considerazione di tali elementi e del fatto che la tipologia di malattia in questione può essere generata da diversi fattori, non si sia potuta verificare con sufficiente grado di probabilità la causa della malattia e che conseguentemente, posto che è onere del paziente dimostrare – secondo il criterio del “più probabile che non” – la causa dell’insorgere della patologia (e ovviamente la sua riconducibilità alla condotta dei medici), non poteva ritenersi provato il nesso di causalità.

I giudici di merito hanno quindi correttamente applicato i principi espressi ripetutamente della giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità medica e in particolare sul tema del nesso di causalità in presenza di più fattori concausali alternativi idonei a causare il danno.

Secondo gli Ermellini, l’attore avrebbe dovuto dimostrare la presenza dei più fattori concausali che sono stati predominanti nel determinare l’insorgenza della patologia: infatti, il paziente deve non solo dedurre l’inadempimento dei sanitari, ma anche provare la sussistenza del nesso causale tra detto inadempimento e il danno attraverso un criterio di adeguatezza logico-temporale tra la condotta dei sanitari non conforme alle leges artis e la patologia. Solo dopo che il paziente attore ha provato tale relazione, spetta al sanitario convenuto dimostrare di aver correttamente adempiuto alla propria prestazione oppure la sussistenza di un evento imprevedibile e inevitabile secondo l’ordinaria diligenza. Questo è quello che più comunemente viene definito come doppio ciclo causale: il primo riguarda l’evento dannoso e deve essere provato dal creditore/danneggiato; il secondo riguarda l’impossibilità di adempiere e deve essere provato dal debitore/danneggiante.

In considerazione di tali principi, il rischio della causa rimanga ignota resta a carico del creditore qualora riguardi l’evento dannoso, mentre resta a carico del debitore qualora riguardi la possibilità di adempiere alla prestazione: in altri termini, se in giudizio non viene individuata (sempre secondo il criterio del più probabile che non) la causa che ha determinato l’evento dannoso (cioè l’insorgere della patologia o il suo aggravarsi), la conseguenza sfavorevole ricade sul paziente attore che non avrà provato il ciclo causale gravante sul medesimo (cioè il nesso di causalità fra condotta del sanitario e evento dannoso); invece, se in giudizio non viene individuata la causa che ha determinato l’impossibilità del debitore di adempiere alla prestazione, la relativa conseguenza sfavorevole ricade su quest’ultimo, il quale non avrà quindi assolto al secondo ciclo causale (il cui onere gravava su di lui).

Ebbene, nel caso oggetto di commento, la paziente attrice non ha provato la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta dei sanitari dalla stessa lamentata (cioè l’omessa diagnosi del glaucoma o la non corretta terapia applicata) e l’insorgenza o l’aggravarsi della patologia della neurite acuta esitata infine in una perdita del visus quasi integrale della paziente: ciò anche in considerazione del fatto che non si è sottoposta alla visita richiesta dal CTU sulla propria persona e non ha prodotto la documentazione idonea.

L’accertamento di tale elemento (cioè del nesso di causalità), secondo gli Ermellini, viene prima della valutazione in ordine alla responsabilità giuridica riferibile al medico e alla struttura sanitaria.

Conseguentemente, il ricorso è stato rigettato ed è stata confermato la decisione della corte di appello che aveva respinto la domanda risarcitoria della paziente.

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Sentenza collegata

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