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Introduzione.
Nell’ auto-percezione delle società occidentali, la criminalità violenta etero-lesiva ha costituito un problema criminologico e giuridico a partire dalla seconda metà degli Anni Sessanta del Novecento, ammesso e non concesso che, in precedenza, esistesse una minore incidenza, in Europa e nel Nord-America, per quanto attiene alla quantità dei comportamenti devianti contro il patrimonio e contro l’ integrità personale. A parere di ARZT ( 1976 ), il concetto di << tolleranza zero >> e l’ ipostatizzazione esasperata dell’ Ordine legalista hanno originariamente preso corpo a causa della campagna elettorale ultra-securitaria del Presidente statunitense Richard Nixon, il cui predecessore Johson si era reso protagonista di propagande populistiche ed oltranzistiche, culminate nell’ assai celebre ed altrettanto fuorviante << Commissione Katzenbach >>, ideata per la repressione giustizialistica del crimine negli USA. Tuttavia, negli Anni Settanta ed Ottanta del Novecento, tale deriva volgarmente qualunquistica venne in parte arginata da una ben più seria e metodica Vittimologia giuspenalistica sinceramente finalizzata non soltanto alla protezione delle Parti Lese, ma anche al reinserimento del condannato in epoca post-penitenziaria, poiché è inutile e sterilmente demagogico inasprire l’ esecuzione penitenziaria ed applicare pene detentive di lunga durata, miranti ad una disumana e barbarica neutralizzazione psico-fisica dell’ infrattore ( HOPKINS BURKE 1998; HARCOURT 2001 ). La tutela eccessiva delle vittime di illeciti di rilevanza penale reca, se manca un adeguato senso della misura, a paure sociali prive di un concreto fondamento.
HINDELAND & MICHAEL & MICHAEL & GAROFALO ( 1978 ), per la prima volta nella Storia della Criminologia occidentale, hanno realizzato una Statistica vittimologica che rivela la coincidenza e/o, viceversa, la discrasia tra il timore di divenire Parte Lesa e, dall’ altro lato, le offensioni realmente avvenute contro beni giuridicamente degni di tutela e non bagatellari. Fortunatamente, dopo il primo summenzionato esperimento del 1978, le Ricerche sulla vittimizzazione percepita e quella reale si sono moltiplicate, soprattutto con afferenza ai sobborghi periferici statunitensi ( FATTAH 1993 ; FERRARO 1995 ), ma anche al territorio del Regno Unito (MAXFIELD 1987; HOUGH 1995 ) ed alle varie Regioni appartenenti alla Common Law ( SPARKS 1992 ; JONES & TREVOR & McLEAN & YOUNG 1986 ). In questi primi Censimenti del XX Secolo, gli Autori, sovente finanziati dalla Pubblica Amministrazione, hanno sempre rilevato molte fobie collettive ingiustificate, in tanto in quanto prive di riscontri pratici ed acuite da pregiudizi razziali o strumentalizzazioni partitiche.
Lo jato tra devianze consumate e devianze temute si è manifestato, in maniera conclamata, anche in Germania, dopo l’ estinzione del regime filo-sovietico della DDR ( si veda, a tal proposito, l’opera fondamentale di BOERS – 1991 – ). La collettività dei residenti, nella Repubblica Federale tedesca, si attendeva, infatti, un’ imponente migrazione di rapinatori, tossicodipendenti e stupratori pronti alla commissione di violenze e saccheggi, ma la realtà criminologica si è rivelata poi ben diversa, giacché non si è verificato alcun aumento significativo dei delitti, tanto presso le abitazioni private quanto negli spazi aperti ( KURY & DÖRMANN & RICHTER & WÜRGER 1992 ; KURY 1997 ; BOERS & KURZ 1997 ). Purtroppo, la PA federale, nell’ ex Germania Est, non ha più erogato fondi, ma le Ricerche di lungo periodo confermano all’ unanimità il carattere distorsivo e pretestuoso degli allarmi sociali creatisi nel 1989 all’ indomani della caduta del Muro di Berlino ( WETZELS & WERNER & MECKLENBURG & BILSKY 1995 ).
In buona sostanza, è radicalmente fasulla e profondamente a-tecnica l’ idea nazional-popolare di un presunto innalzamento del tasso della criminalità violenta, in Europa e nelle Americhe, dopo la metà degli Anni Sessanta del Novecento. Del pari, il Giustizialismo politicizzato della Teoria dei << vetri rotti >> e dei propri incauti seguaci non possiede solide basi né culturali né giuridiche. La Criminologia autentica non può fondarsi su Statistiche approssimative e la rieducazione carceraria deve rimanere una ratio figlia dell’ Illuminismo europeo tendente alla tutela della dignità e dei diritti inviolabili dell’ uomo ( BECKER & BOERS & KURZ 1996 ; DITTON & FARRALL 2000 ).
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Il concetto di << fear of crime >> nella Criminologia europea e nord-americana
Nella Criminologia francese, LOUIS GUERIN ( 1984 ) distingue tra le << reazioni sociali>> al crimine e le << reazioni individuali >>. Sotto il profilo individuale, spesso << le persone reclamano delle sanzioni più severe perché considerano l’ aumento della criminalità come un problema molto grave per i governi e per le società [ … ] ma queste persone non si sentono personalmente minacciate nella loro sicurezza: la paura del crimine è una reazione emozionale nei confronti dei rischi legati alla criminalità, quando essa è percepita come una [ presunta ] minaccia personale, ma si tratta, in realtà, di un’ impressione individuale >>. Entrando nel dettaglio, FERRARO ( ibidem ) specifica che il timore delle devianze anti-normative fa scattare una ben nutrita serie di << elementi cognitivi >> che recano a reazioni comportamentali fobiche ed auto-securitarie, come evitare parcheggi, non frequentare certe vie, non usare i mezzi pubblici di trasporto o non mescolarsi a gruppi reputati come criminogeni. Oppure ancora, il sentimento d’ insicurezza si traduce in atteggiamenti tipici e molto ricorrenti a livello meta-geografico, quali non uscire di casa solo/a, evitare le ore notturne, allontanarsi da quartieri reputati rischiosi, non stare mai da soli in luoghi aperti. Inoltre, come rilevato da MAXFIELD ( 1984 ), da WARR ( 1987 ) nonché da FERRARO & LAGRANGE ( 1987 ), l’ attenzione dei consociati impauriti dalla criminalità si concentra, in maniera ossessiva, su alcune tipologie di reato oltremodo amplificate ed esagerate, come lo stupro, il furto con scasso, l’ omicidio volontario e le lesioni personali. Giustamente, BOERS & KURZ ( ibidem ) sottolineano che << l’ immagine della criminalità viene ridotta all’ immagine della criminalità di strada e vengono [ troppo ] messi in rilievo gli attentati contro l’ integrità fisica e psicologica dei soggetti. Pertanto, la paura del crimine si riduce esclusivamente alla paura della violenza fisica, degli stupri e dei borseggi, mentre le altre tipologie di delitto suscitano meno angoscia, come accade nel caso della criminalità dei colletti bianchi >> ( di egual tenore sono pure gli asserti espressi dagli inglesi FARRALL & BANNISTER & DITTON & GILCHRIST – 1997 – ). Anche in FERRARO ( ibidem ) sono elencate << reazioni comportamentali >> che si traducono, tipicamente e prevedibilmente, nell’ evitamento maniacale dei gruppi giovanili, nell’ isolamento degli stranieri e nella predisposizione di strumenti auto-difensivi, come camminare con un’ arma appresso o con una bomboletta di spray lacrimogeno.
Assai lucidamente, BOERS & KURZ ( ibidem ) sottolineano, entro un complicato contesto multi-fattoriale, che << le reazioni individuali alla criminalità sono tra di loro intrecciate a vicenda, senza per questo confondersi l’ una con l’ altra. Le analisi dei vari fattori mostrano che le tre componenti dell paura ( individuale / collettiva / generale ) corrispondono, a loro volta, a tre livelli di reazioni differenti. Esiste, infatti, una paura generale del crimine, una paura specifica del crimine e, infine, una serie di altri problemi e malesseri sociali >> Parafrasando BOERS & KURZ ( ibidem ), si possono individuare tre livelli indipendenti, ovverosia il livello della paura generale del crimine, quello della paura personale e, da ultimo, quello dell’ auto-percezione, la quale, nella quasi totalità dei casi, viene distorsivamente influenzata dai mass-media e dalla propaganda politica. Dopodiché, esistono altri fattori secondari tendenzialmente universali, come la potenziale commissione notturna dei reati, la presenza di tossicodipendenti e la variabile perenne periferia urbana / centro storico ( FERRARO, ibidem ).
Per quanto attiene ai Censimenti criminologici, tutti gli Autori contemporanei concordano circa la necessità di scegliere, per misurare correttamente la paura nei confronti delle devianze, dei valori affidabili e non dei fattori emozionali che cambiano spesso e non sono oggettivi. P.e., REUBAND & RASTAMPOUR ( 1999 ), nell’ ambito della Criminologia tedesca, hanno adottato il sistema della << prova e contro-prova >>, ripetendo costantemente le interviste una seconda volta a distanza di 50 giorni. Del pari, FARRALL & BANNISTER & DITTON & GILCHRIST ( ibidem ), nel Regno Unito, ri-sottopongono i questionari entro 30 giorni dal primo sondaggio, separando però le domande di natura quantitativa da quelle di tipo qualitativo e distinguendo con mota cura tra i timori specificamente motivati e quelli latamente generici e privi di attendibilità concreta. Un ulteriore esempio di cernita scientifica dei dati è fornito dalla tedesca KREUTER ( 2002 ), la quale ha separato e accuratamente analizzato le non indifferenti discrasie tra domande a risposta scritta e, dall’ altra parte, questionari di approfondimento in forma orale. In effetti, i colloqui personali si sono rivelati sempre maggiormente affidabili rispetto ai formulari su carta con caselle prestampate da barrare.
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La paura del crimine nell’ Unione Europea << a quindici >> ( 1996 – 2002 ).
L’ Euro-barometro è una Statistica ufficiale dell’ UE sulle tematiche del furto, della rapina, delle aggressioni e delle vie di fatto. Esso è stato utilizzato per censire la paura del crimine in Europa negli anni-campione 1996, 2000 e 2002. Nei primi Anni Duemila, l’ Eurostat ha fornito dati oltremodo attendibili ed ha ripartito gli intervistati in gruppi scelti di 1.000 individui ultra-15enni per ciascun questionario, a sua volta ulteriormente suddiviso per età, professione e regione di appartenenza. La finalità ultima dei tre Censimenti del 1996, del 2000 e del 2002 è quella di riuscire a misurare la paura della criminalità e l’ auto-percezione delle devianze di strada reputate come socialmente destabilizzanti, ma gli Autori hanno accuratamente selezionato ed espunto le risposte eccessivamente generiche ed esprimenti timori estemporanei o cagionati dal populismo giornalistico-televisivo. Ognimmodo, le risposte meno affidabili e frutto di suggestioni sono quasi sempre risultate quelle dei residenti nelle città di grandi dimensioni, ove è sufficiente un fatto di cronaca nera qualunquisticamente amplificato per modificare le risposte dell’ intera collettività cittadina.
Tra il 1996 ed il 2002, nell’ UE << a quindici >> , erano << molto >> impauriti dalla micro-criminalità gli europei della Grecia ( 21 – 28 % in valore assoluto ), del Regno Unito ( 19 – 23 % ) e dell’ Italia ( 23 – 26 % ). Sempre nello stesso periodo, si definivano << mediamente >> intimoriti i residenti di Irlanda, Francia, Portogallo e Lussemburgo, con l’ eccezione dei cittadini tedeschi, che erano << abbastanza >> preoccupati nell’ ex Germania dell’ Ovest, mentre, nelle Regioni dell’ ex DDR, il crimine viene tutt’ oggi percepito come << molto >> diffuso dal 32 – 45 % dei domiciliati, nonostante siano trascorsi molti anni dalla Caduta del Muro di Berlino nel 1989. Infine, si considerano << poco >> messi in pericolo ( 2 – 13 % ) gli europei del Belgio, della Spagna, dei Paesi Bassi, della Svezia, della Danimarca, della Finlandia e dell’ Austria. Di nuovo, Eurostat segnala il caso particolare dell’ ex Germania Est, che, comunque, nella mappatura del 2002, ha iniziato ad allinearsi alle medie degli altri Stati di tradizione mittel-europea. In ogni caso, i risultati numerici testé esposti sono stati oggetto di aspre contestazioni nei casi a-tipici della Polonia ( van KERSTEREN & MAYHEW & NIEUWBEERTA – 2000 – ), del Galles e della Scozia ( SIMMONS & DODD – 2003 – ). Si tenga pure presente che le grandi Metropoli europee forniscono dati percentuali completamente ed assolutamente a sé stanti, alla luce di fattori come la pluralità etnica irreversibile e le difficoltà socio-abitative dei quartieri periferici a rischio di criminogenesi.
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La paura del crimine negli USA e nell’ ex Germania Ovest
Provvidenzialmente, esistono Censimenti criminologici dettagliati, dal 1965 al 2002, afferenti agli USA ed all’ ex Germania Ovest. Le predette Statistiche concernono il timore collettivamente percepito nei confronti dei reati di strada generalmente più diffusi, ovverosia il furto, la rapina, lo stupro e le lesioni personali. Inoltre, un’ attenzione particolare è rivolta alla micro-criminalità durante le ore notturne, le quali, senza alcun dubbio, pongono problemi securitari maggiori. Per quanto possa apparire strano, il tessuto sociale statunitense si è dimostrato molto simile a quello della Repubblica federale tedesca. Infatti, in entrambi gli Ordinamenti, la fear of crime ha raggiunto il massimo livello quantitativo nei periodi 1976-1982 nonché 1991-1996. All’ opposto, i periodi di massima quiete sociale auto-riferita sono stati gli anni dal 1984 al 1989 e dal 1998 al 2002. Queste oscillazioni numeriche, in Dottrina, sono state confermate dalle Ricerche metodologiche di BOERS ( 1994 ), MIRRLEES-BLACK & ALLEN ( 1998 ) nonché SIMMONS & DODD ( ibidem ). Tuttavia, SMITH & STEADMAN & MINTON & TOWNSEND ( 1999 ) criticano negativamente i summenzionati Studi germanofoni ed anglofoni, soprattutto nel difficile caso delle Metropoli di Chicago, Los Angeles e New York, che meriterebbero un’ analisi apposita non limitata ad un questionario con risposte multiple prestampate da barrare senza alcun commento od osservazione personale. Anzi, alcuni hanno precisato che la Germania Ovest non può fornire stime vittimologiche dettagliate, in tanto in quanto, a differenza di quello che accade negli USA, manca una vera e propria inchiesta nazionale vittimologica statale di lungo periodo. Infine, tra il 1984 ed il 1992, in Germania, non tutti concordano con le Statistiche esistenti, le quali paiono presentare non poche lacune nelle scelte dei campioni-prova.
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La paura del crimine in Inghilterra e nel Galles.
Per asserzione quasi unanime della Criminologia mondiale, l’ Inghilterra ed il Galles possiedono una Vittimologia di lungo periodo impeccabile e scientificamente seria, specialmente per quanto attiene ai reati di furto, furto con scasso, aggressioni fisiche, aggressioni a sfondo razziale, rapine, stupri e furto di autoveicoli. Attualmente, nelle Regioni anglofone, tranne in Scozia ed in Irlanda, è possibile avere un panorama completo della paura sociale, più o meno fondata, in relazione ai reati violenti contro il patrimonio tra il 1984 ed il 2003. Esistono, inoltre, accurate Ricerche vittimologiche, in Inghilterra e nel Galles, riferite al periodo 1992-2003.
Nei Censimenti anglofoni, è stata acclarata una netta diminuzione delle ansie sociali verso il crimine tra il 1995 ed il 2003, allorquando, viceversa, le fobie collettive avevano raggiunto livelli molto elevati tra il 1980 ed il 1994. Assai interessante è il calo progressivo della paura femminile dello stupro ( 30 % in valore assoluto nel 1984, 34 % nel 1988, 32 % nel 1996, 29 % nel 2000 e 23 % nel 2002 ). La medesima evoluzione verso il basso vale per le aggressioni, tanto quelle ordinarie quanto quelle aggravate da motivazioni razziali ( SIMMONS & DODD, ibidem ). In terzo luogo, i consociati inglesi e gallesi reputano di non dover temere o di dover temere poco il furto con scasso e la sottrazione di automobili e motociclette ( – 50 % dal 1980 al 2003 )
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Le difficoltà statistiche nelle due Germanie prima e dopo il 1989.
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Tra il 1992 ed il 2000, la paura collettiva dei furti e delle rapine è stata tendenzialmente stabile nella Germania Ovest, mentre, nella Germania Est, si sono verificate numerose gravi dis-percezioni. Più precisamente, nelle zone tedesche sottoposte al regime sovietico, la fear of crime è drasticamente scesa nel biennio 1997-1998 e, successivamente, di nuovo nel triennio 2001-2003. Queste oscillazioni anomale degli umori popolari sono state riscontrate ed analizzate, in Dottrina da BOERS ( 2001 ) e da REUBAND ( ibidem ). Merita di essere segnalato pure il contributo di SCHWIND & DIETER & FETCHENHAUER & AHLBORN & WEISS ( 2001 ), che prendono in considerazione la città di Bochum, egregiamente paradigmatica dell’ intera società tedesca industrializzata.
Fondamentalmente, dal 1990 al 1999, l’ unificazione delle due Germanie ha alimentato le preoccupazioni popolari in tema di micro-criminalità. Secondo BOERS ( 1996 ), << la popolazione tedesca dell’ est si è trovata alle prese con delle forme di criminalità totalmente nuove dopo l’ unificazione. Per cui, la paura del crimine è nettamente aumentata a seguito dei sommovimenti politici e sociali e si è spinta a livelli di ben due volte superiori rispetto a quelli della Germania Ovest. Forse, la criminalità è davvero rapidamente aumentata dopo la caduta del muro di Berlino, almeno stando alle inchieste vittimologiche, ma, in ogni caso, la criminalità non ha mai superato i tassi riscontrabili nella Germania occidentale >>. A livello fattuale, dopo il 1989, non è aumentata la quantità dei crimini violenti nell’ ex DDR, bensì la qualità e la gravità degli attentati alla sfera privata corporale e materiale. Tuttavia, negli Anni Novanta del Novecento, il presunto innalzamento dei reati violenti riguarda tutta l’ Europa e non soltanto le due Germanie. In secondo luogo, dal 1990 al 1999, la criminogenesi elevata nelle grandi città di Berlino est, Lipsia e Dresda pare essere un fenomeno non esclusivo, ma ordinario, in tutti gli agglomerati urbani contemporanei con più di 100.000 / 500.000 abitanti.
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La paura dello stupro nell’ ottica delle donne anglofone e germanofone.
Come intuibile e come, peraltro, scientificamente dimostrato da KILLIAS & CLERICI ( 2000 ), << in tutte le inchieste realizzate sino ad oggi, sono le donne ad esprimere una maggior paura del crimine. Questo fatto, in genere, va attribuito alla loro più grande vulnerabilità fisica e si tenga egualmente conto del ruolo tradizionalmente giocato dalle donne nella socializzazione [ … ] ma l’ elemento determinante della paura femminile è fortemente legato al rischio di fare l’ esperienza stressante ed umiliante della violenza sessuale degli uomini >>
Lo stupro, nell’ auto-percezione morale delle donne, annichilisce l’ uguaglianza tra maschio e femmina e viola, anche in una prospettiva traumatica di lungo periodo, le libertà fondamentali di spostarsi e di lavorare, facendo regredire la società al tempo delle ripartizioni patriarcali sessiste pre-cristiane. La violenza all’ intimità femminile distrugge l’ auto-stima ed assolutizza la dominazione maschile in forme violente ed illecite dal punto di vista etico prima ancora che giuridico. FERRARO ( 1995 ) e WARR ( ibidem ) hanno registrato, nei loro Censimenti criminologici, che lo stupro incute nella donna più timore della peggior rapina violenta e della peggior sottrazione anti-normativa di qualsivoglia bene materiale.
La violenza sessuale, in Europa e nelle Americhe, è temuta dagli individui femmine giovani e giovanissime, mentre, con il progredire dell’ età, le reazioni auto-difensive sono minori ( FERRARO 1995 ). P.e., in Germania, la fascia anagrafica muliebre più colpita oscilla dai 16 ai 34 anni d’ età. Se si osserva attentamente questo risultato, si può notare che lo stupro sottostà a regole fobiche a-tipiche, giacché, nelle altre fattispecie delittuose, la gioventù reca meno timori. Naturalmente, la fear of crime si innalza quantitativamente se essa è associata, nei questionari criminologici, ai lemmi-chiave << sola / isolata / di notte >> ( KURY 1997 )
8. La paura del crimine nella Teoria ultra-progressista della vittimizzazione.
Nella Criminologia anglofona, germanofona e francofona degli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, si generò la Teoria della vittimizzazione, la quale, non senza esagerazioni pansessualiste, incentrava la tutela delle Parti Lese sul paradigma universalizzato dello stupro, che, nell’ ottica di questa corrente di Pensiero, forniva l’ esempio-cardine di chi sia una vittima di reato e di che cosa va fatto per uscire dai danni passivi psico-fisici ad eziologia criminosa. I numerosi seguaci della Teoria della vittimizzazione reputano che la donna stuprata costituisce ( rectius : costituirebbe ) un’ unità di misura perenne e meta-geografica in grado di spiegare come, dove e quando i consociati più deboli vanno tutelati dalle devianze violente, il tutto ammesso e non concesso che la violenza libidinosa contro le donne sia il reato supremo, il reato dei reati, il crimine in assoluto più destabilizzante nella società. Senza dubbio, tali posizioni criminalistiche sono frutto delle mitologie ultra-libertarie e tendenzialmente anarchiche nate all’ interno dei sommovimenti culturali europei del 1968. Si voleva ripartire, nella neo-nata Letteratura vittimologica, chi, da un lato, teme infondatamente ed astrattamente la micro-criminalità e chi, dall’ altro lato, fonda le proprie fobie securitarie sulla base di torti penalmente rilevanti subiti in maniera diretta e personale, il che, come prevedibile, ha recato ad una ipostatizzazione dei delitti contro l’ integrità individuale e, viceversa, ha eclissato e sottovalutato condotte illecite altrettanto reprimende come lo white collar crime e le infrazioni contro la PA. A parere di chi redige, la Teoria della vittimizzazione esalta oltremodo il ruolo del danneggiato e conduce ad un qualunquismo a-tecnico inaccettabile nel Diritto Penale, ove la struttura delle fattispecie anti-normative non dev’ essere influenzata da tendenze iper-protettive nel nome di mode sociologiche che nulla hanno a che fare con il rigore scientifico della Giuspenalistica. E’ assai lodevole la tutela della donna sviluppatasi nella seconda metà del Novecento, ma i risultati contemporanei sono stati un gino-centrismo demagogico privo della altrettanto necessaria auto-disciplina. L’ antisocialità e l’ antigiuridicità non debbono mescolarsi ai malumori di gruppi confusamente e sedicentemente progressisti privi di una ratio penalisticamente conforme alle regole del Diritto, e non già alle diverse regole di ideali vaghi o pseudo-rivoluzionari. Alla Vittimologia criminologica non può essere richiesta la presa eroica della Bastiglia a colpi di forconi e moschetti. Senza l’ argine della tecnica giuridica, l’ entusiasmo giustizialista rimane sterile e, come accaduto nell’ Ordinamento penale contemporaneo, esso implode su se stesso, nella misura in cui la tutela della donna stuprata, che è in sé corretta, non si fonda su basi solide, in tanto in quanto le impressioni o le illusioni dell’ elettorato abbisognano poi del senso della misura concretizzato nel Diritto e non da euforiche teorie da declamare nelle piazze o nei circoli serali di partito. D’ altronde, anche sotto il profilo civilistico, la riparazione del danno non passa soltanto attraverso l’ incarcerazione del reo, giacché la rieducazione penitenziaria non ristora le legittime pretese risarcitorie del soggetto leso, pur se, sotto il profilo mass-mediatico, la vittimizzazione appare alla stregua di una realtà limitata al rito, insufficiente o talvolta retorico, del Procedimento Penale ingenuamente sganciato dalle innumerevoli conseguenze successive imposte a livello processual-civilistico. Parlare della vittima, soprattutto nel contesto dei reati contro la persona fisica, può generare una fear of crime demagogica e non razionalmente proporzionata alla luce del Diritto, che non è limitato entro un rabbioso e fuorviante << all’ armi o cittadini ! >>
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La trasmissione mass-mediatica delle paure criminologiche.
Secondo i teorici della << prospettiva del problema sociale >>, la paura del crimine, durante le congiunture negative della convivenza sociale, sono un buon pretesto per scaricare sui presunti devianti, nonché sulla popolazione carceraria, le insoddisfazioni e le frustrazioni della cittadinanza. Tale trasferimento delle rabbie è effettuato, in epoca contemporanea, grazie a manipolazioni dispercettive poste in essere dalla cronaca giornalistica, televisiva e non solo. Per tal via, gli elettori iniziano a concentrarsi su boutades mediatiche prive di concretezza reale e le nuove problematiche nascondono gli autentici difetti e le lacune della vita comunitaria quotidiana. La conseguenza, in tessuti sociali fortemente teledipendenti come quello statunitense, è la genesi di inquietudini artificiose ed inutili non conformi alla ragione. Alcune Ricerche scientifiche anglofone, tra il 1981 ed il 1991, hanno ottimisticamente sottolineato che le asimmetrie informative cagionate dalla televisione non intaccherebbero, in ultima analisi, il libero arbitrio nazional-popolare, ma l’ interpretazione della realtà è purtroppo profondamente influenzata dai mezzi comunicativi di massa, i quali, di fatto, hanno il perverso potere dialettico di distorcere il comune sentire di coloro che abusano delle televisioni o di altrettanto pericolosi notiziari on-line.
In Germania, dopo l’ unificazione, REUBAND & RASTAMPOUR ( ibidem ) hanno statisticamente riscontrato che << i documentari ed i films polizieschi in televisione fanno più effetto se gli scenari del crimine ricostruiti sono simili a quelli della vita quotidiana dei telespettatori [ … ] Dal punto di vista causale, questo tipo di trasmissioni non causa la paura, ma senz’ altro più si ha paura, più si viene attratti da queste trasmissioni >>. Anche la cittadinanza europea è eccessivamente influenzata dagli spettacoli del piccolo schermo, il che non sfugge ai professionisti della politica, che, in epoca attuale, si servono della TV e della carta stampata per finalità di propaganda. I mass-media sono determinanti per il tasso di fear of crime, giacché la collettività attuale è stata ormai spersonalizzata nel nome di modalità comunicative enormemente verticali, in cui le opinioni individuali vengono surrettiziamente ed abilmente imposte dall’ alto. Probabilmente, viceversa, la rete Web, che è tipicamente giovanile, consente una scelta epistemologica orizzontale e più egualitaria, nella quale è in navigatore ad inserire nel motore di ricerca parole-chiave e concetti auto-determinati senza vincoli prima di iniziare la consultazione dei Siti. L’ esempio di tutto quanto or ora esposto è ben fornito dall’ immotivato panico criminologico provocato dai mass-media nelle due Germania all’ indomani della Caduta del Muro di Berlino nel 1989. Gli Anni Novanta del Novecento, nell’ ex DDR, sono stati contrassegnati da profezie giornalistiche di tenore apocalittico che non si sono successivamente per nulla realizzate. Chi scrive concorda appieno con REUBAND & RASTAMPOUR ( ibidem ), i quali parlano, nell’ ex Germania Ovest di quasi tre decenni fa, di una vera e propria << sindrome generale d’ angoscia >> causata da fakes news che mescolavano le ordinarie ansie popolari a tematiche vere eppur strumentalizzate come il degrado di certune periferie urbane, la disoccupazione, l’ eccessiva quantità di asilanti, gli sfratti e gli stupri.
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La Teoria della regolazione delle paure sociali nei quartieri presuntivamente degradati.
La Teoria della regolazione sociale ha preso origine, negli Anni Trenta e Quaranta del Novecento, alla luce dei timori collettivi nei confronti della micro-criminalità violenta a Chicago. In effetti, in Occidente, la Rivoluzione industriale, dopo la seconda metà dell’ Ottocento, ha provocato il dissolvimento di quei meccanismi informali di determinazione comunitaria tanto cari a Nils Christie e provvidenzialmente esistenti nelle zone rurali europee non ancora intaccate dalla globalizzazione insulsa della fine del XX Secolo. Ormai, la PA non è più in grado di predisporre le tutele inter-relazionali e cristianamente spontanee che garantivano strumenti rimediali alternativi alla Procedura Penale e fondati sul concetto mediterraneo di << Famiglia >> o di <<Sippe >> matriarcale e non statalistica. Ognuno, del resto, vede il conclamato fallimento special-preventivo delle democrazie sociali interventistiche basate sull’ idolatria della Medicina e di una rete assistenziale tecnocratica onnipotente ed onnipresente. Un altro eloquente esempio di eccessiva (etero)regolamentazione sociale è ben fornito dalla città di New York, squallidamente regolata da un neo-retribuzionismo arido ed ansiogeno, che tutela l’ Ordine pubblico in un’ ottica noiosamente asettica e tristemente a-morale.
Molte volte, il securitarismo esasperato, che costituisce la ratio profonda della Teoria della regolazione, discende da episodi bagatellari o financo infantili di vandalismo, come la rottura simbolica dei vetri di una casa abbandonata o il deposito incauto in terra di un sacco di immondizia. Dopodiché, i soggetti << influenti >> di quel determinato quartiere o complesso residenziale amplificano l’ incidente, sebbene isolato e non abitudinario e la conseguenza è la nascita di paure verso insussistenti violenze o pericoli fisici e patrimoniali. Questo squilibrato orientamento criminologico è proseguito fin dopo la fine degli Anni Novanta del Secolo scorso, soprattutto nei centri abitati degli USA, ma anche del Regno Unito e della Germania. A dire il vero, le cause scatenanti della fear of crime fanno sorridere, giacché le lamentele e gli esposti alla PG riguardano la puzza fisiologica della sporcizia, i rifiuti, i graffiti, la presenza di tossicodipendenti e addirittura il semplice transito di giovani con tatuaggi che parlano con voce troppo alta. In nessun caso, i residenti hanno denunziato violenze nel senso tecnico. Siffatte intolleranze gratuite sono molto diffuse nelle città dell’ ex Germania sovietica. Le paure veicolate dalla Teoria della regolazione sociale sono, in realtà, dei pretesti con cui si maschera un’ intolleranza nevrotica scaturita dalla perdita delle reti di solidarietà morale che sono o, almeno, erano presenti nei tranquilli borghi dell’ Italia, della Francia o dell’ Europa centrale. La perdita della semplicità etica popolare si è tradotta in una sempre più crescente isteria collettiva disumana e non mitigata da supreme istanze valoriali. La tradizione contadina matriarcale includeva, mentre l’ isolamento angosciante ed angosciato delle moderne metropoli esclude, poiché un tessuto comunitario senza meta-norme esalta il Diritto Penale per sfogare solitudini malcelate.
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Dottor Andrea Baiguera Altieri lic. jur. svizzero
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