(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 208)
Il fatto
Il Tribunale di Sorveglianza di Torino rigettava l’impugnazione proposta avverso un provvedimento col quale il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli aveva disposto la proroga per la durata di un anno nei confronti di una persona sottoposta alla misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di lavoro.
Il Tribunale aveva a tal proposito ritenuto che il giudizio di persistenza della pericolosità sociale del condannato, espresso dal Magistrato di sorveglianza, fosse giustificato dall’andamento non soddisfacente della misura precedentemente applicata della libertà vigilata per essere stato il ristretto allontanato dalla Parrocchia, presso la quale era stato ospite, non essere stato reperito ad un successivo controllo per il mutamento del domicilio non comunicato e non autorizzato ed avere abbandonato anche la struttura della Comunità presso la quale si era trasferito.
In seguito, egli era stato controllato nell’atto di assumere eroina ed era stato rinvenuto in possesso di stupefacente e non aveva mantenuto contatti con il servizio sociale.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso l’interessato a mezzo del difensore che ne aveva chiesto l’annullamento per violazione dell’art. 27, comma 2, Cost., degli artt. 202, 203 cod. pen. e 679 cod. proc. pen. e per vizio di motivazione nelle forme dell’omissione e del travisamento di elementi oggettivi.
Secondo la difesa, le criticità evidenziate nell’ordinanza impugnata riguardavano il periodo antecedente dell’esecuzione della libertà vigilata, poi sostituita con la casa di lavoro, non già l’arco temporale più recente, rispetto al quale nella relazione comportamentale del 9 aprile 2019 e nel suo aggiornamento del 17 ottobre 2019 era stato rappresentato che il ricorrente, soggetto mite e collaborante, era occupato nell’attività di raccolta differenziata dei rifiuti all’interno di un istituto penitenziario e, quindi, in attività domestiche di sezione a turno, aveva tenuto condotta regolare e mostrato maggiore consapevolezza dell’importanza del rispetto delle regole.
Il Tribunale di sorveglianza, invece, aveva omesso di verificare l’attualità della pericolosità dell’internato alla luce dei nuovi elementi emersi durante l’internamento e aveva trascurato il principio di gradualità nell’applicazione delle misure di sicurezza.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato infondato e non meritevole dunque accoglimento.
Si osservava a tal proposito prima di tutto come l’ordinanza impugnata avesse aderito alla statuizione del Magistrato di Sorveglianza di proroga della misura di sicurezza detentiva, applicata nei confronti del ricorrente, sulla base del rilievo della sua perdurante pericolosità sociale desunta dalla ricaduta nel consumo di stupefacenti e dai contatti con ambienti dediti allo spaccio non appena ottenuta la libertà vigilata e, con riferimento al periodo di internamento già sofferto, dall’assenza di riferimenti socio-familiari e dal fatto che risultava in fase di elaborazione un programma che prevedeva la fruizione di licenze al fine di procedere al graduale reinserimento del condannato nel contesto sociale tenuto conto che il fallimento dell’esperienza della libertà vigilata e le informazioni sul periodo prossimo alla decisione avevano giustificato la proroga della misura di sicurezza detentiva per procedere alla graduale sperimentazione delle licenze in ambiente esterno prima di modificare il regime in atto.
Quanto rilevato consentiva quindi di escludere, per gli Ermellini, che il Tribunale di sorveglianza avesse omesso di prendere in esame il periodo di sottoposizione alla misura prorogata dell’assegnazione alla casa di lavoro, avendo, al contrario, valorizzato non soltanto le ragioni dell’aggravamento già disposto in precedenza, ma anche i risultati dell’osservazione riassunti nella relazione del 18 ottobre 2019, la stessa di cui il ricorso lamenta l’omessa considerazione, il che provava, ad avviso del Supremo Consesso, l’infondatezza della doglianza.
In punto di diritto, inoltre, si ricordava che l’art. 208 cod. pen., rubricato «riesame della pericolosità», stabilisce, al comma 1, che «decorso il periodo minimo di durata, stabilito dalla legge per ciascuna misura di sicurezza, il giudice riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta, per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa» e, al comma 2, che «qualora la persona risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Nondimeno, quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato, il giudice può, in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti».
Dopo essere richiamato quanto previsto da queste norme giuridiche, i giudici di piazza Cavour evidenziavano che le disposizioni citate stabiliscono che, allo scadere del termine stabilito, il giudice deve procedere a un nuovo giudizio di pericolosità sociale, verificando se permanga il pericolo di commissione di nuovi reati, alla luce delle risultanze dell’osservazione della personalità, della condotta penitenziaria, delle risorse disponibili in ambiente esterno e di ogni altro parametro utile desumibile dall’art. 133 cod. pen. fermo restando che il giudizio sulla proroga della misura di sicurezza non è diverso da quello richiesto per l’applicazione e l’esecuzione poiché il giudice deve tenere conto della gravità del fatto-reato, ma anche dei fatti successivi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena quale risultante dalle relazioni comportamentali, l’eventuale concessione di benefici penitenziari, le concrete possibilità di un adeguato reinserimento sociale (Sez. 1, n. 4026 del 23/10/2020; Sez. 1, n. 8242 del 27/11/2018; Sez. 1, n. 24179 del 19/5/2010).
Orbene, a fronte di tali considerazioni giuridiche, la Suprema Corte riteneva come nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza avesse motivato adeguatamente il giudizio di persistenza della pericolosità sociale dell’internato conformandosi ai criteri sopra specificati e valorizzando, da un lato, la vita anteatta del soggetto, caratterizzata dalla commissione di plurimi reati e dalla violazione delle prescrizioni in precedenza impostegli e, dall’altro lato, la condotta successiva ed il percorso penitenziario, che non gli ha ancora consentito una adeguata revisione critica, secondo quanto riferito nella relazione del personale della casa circondariale ove costui era ristretto.
Emergeva, dunque, per il Supremo Consesso, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, che al momento della decisione la sua vicenda esecutiva non aveva conseguito il risultato risocializzante cui essa era finalizzata.
Tal che se ne faceva conseguire come il giudizio di pericolosità sociale si sottraesse alle prospettate censure che, ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, si confrontavano solo parzialmente con le ragioni del provvedimento impugnato posto che, a fronte della articolazione, congrua e logica, del discorso giustificativo del provvedimento impugnato, le doglianze articolate dalla difesa omettevano un confronto completo e puntuale con la valutazione del Tribunale.
Il ricorso veniva dunque respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si chiarisce cosa deve tener conto il giudice quando deve decidere di prorogare o meno una misura di sicurezza.
Difatti, citandosi precedenti conformi, si afferma in tale sentenza che il giudizio sulla proroga della misura di sicurezza non è diverso da quello richiesto per l’applicazione e l’esecuzione poiché il giudice deve tenere conto della gravità del fatto-reato, ma anche dei fatti successivi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena quale risultante dalle relazioni comportamentali, l’eventuale concessione di benefici penitenziari, le concrete possibilità di un adeguato reinserimento sociale.
Ben può quindi il giudice, chiamato a decidere su tale proroga, prendere in considerazione tali fattori al fine di disporla o meno.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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