L’ospedale è responsabile per la morte, nonostante diagnosi tempestiva e intervento corretto?

Allegati

L’ospedale non risponde della morte della paziente se la diagnosi è stata tempestiva e l’intervento eseguito correttamente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Tribunale di Ferrara -sez. civ.- sentenza n. 905 del 19-09-2024

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_FERRARA_N._905_2024_-_N._R.G._00000952_2022_DEL_19_09_2024_PUBBLICATA_IL_20_09_2024.pdf 249 KB

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Indice

1. I fatti: la morte del paziente


La moglie e il figlio di un paziente di un ospedale convenivano in giudizio la struttura sanitaria dove era stato ricoverato il loro parente, che successivamente era morto dopo una caduta ivi avvenuta e la successiva dimissione, chiedendo iure hereditatis il risarcimento dei danni subiti dal congiunto nonché iure proprio il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale.
In particolare, gli attori sostenevano che il congiunto, dopo un episodio transitorio di perdita di coscienza, si era presentato al Pronto Soccorso dell’ospedale convenuto ed era stato ivi trattenuto per una notte e poi trasferito nel reparto Osservazione Breve Intensiva come paziente “a rischio caduta”. Due giorni dopo, durante il ricovero presso il reparto Osservazione Breve Intensiva, il paziente veniva trovato da solo e confuso sul pavimento del bagno, senza alcun presidio di sicurezza anticaduta. Veniva quindi eseguita una TAC cerebrale da cui emergevano tumefazioni e contusioni e, anche a causa del deterioramento dello stato di coscienza, il paziente veniva sottoposto ad una serie di interventi chirurgici nelle settimane successive. Infine, poco meno di 5 mesi dopo l’episodio della caduta, il paziente veniva dimesso. Ma, a causa delle difficoltà motorie riscontrate, veniva trasferito in una nuova struttura, dove moriva qualche giorno dopo.
Gli attori addebitavano le conseguenze traumatiche (cerebrali) e il successivo decesso del proprio congiunto alla caduta che era avvenuta all’interno della struttura sanitaria convenuta e sostenevano la responsabilità del nosocomio per culpa in vigilando, in quanto il paziente era entrato in buona forma fisica nella struttura sanitaria ed era stato diagnosticato come “paziente a rischio caduta”, ma non erano state adottate le opportune misure per il suo controllo.
La struttura sanitaria, costituitasi in giudizio, rigettava la richiesta risarcitoria, sostenendo la mancanza di nesso di causalità tra il decesso e la condotta dei sanitari nonché la non necessità della adozione di messi di costrizione a letto del paziente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

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Manuale pratico operativo della responsabilità medica

La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

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2. Le valutazioni del Tribunale: responsabilità dell’ospedale?


Il primo aspetto esaminato dal Tribunale di Ferrara ha riguardato la responsabilità della struttura sanitaria.
Sul punto, il giudice ha evidenziato come la responsabilità della struttura sanitaria deve essere qualificata come responsabilità contrattuale ai sensi della Legge Gelli-Bianco. Infatti, al caso di specie è applicabile la predetta normativa in quanto l’evento dannoso è individuato nella caduta di un paziente all’interno di una struttura sanitaria: secondo il giudice, la culpa in vigilando della struttura sanitaria, invocata dagli attori, integra un’ipotesi di condotta omissiva idonea a configurare la responsabilità contrattuale dell’ospedale, che deve rispondere delle condotte colpose o dolose dei propri dipendenti e collaboratori.
In considerazione della qualificazione contrattuale della responsabilità, gli attori devono provare l’esistenza di un contratto con la struttura sanitaria o di un contatto sociale e la sussistenza del danno lamentato, oltre che la condotta sia astrattamente idonea a causare il danno.
Nel caso di specie, secondo il giudice, parte attrice ha fornito in giudizio la prova della sussistenza del contatto sociale. Infatti, è stata prodotta in giudizio la documentazione medica attestante l’accesso al Pronto Soccorso della convenuta e il ricovero del paziente presso la struttura sanitaria.
Per quanto concerne, invece, l’inadempimento dei medici e quindi il nesso causale tra la condotta di questi e la causazione del danno, i CTU hanno accertato che vi è stata una condotta omissiva dei sanitari al momento dell’ingresso del paziente al pronto soccorso, sotto un duplice profilo. In primo luogo, non è stato provato che l’Ospedale abbia adottato i necessari accertamenti diagnostici, ma solo una rilevazione dei parametri vitali. Invece, secondo il collegio peritale, tenuto conto dell’età del paziente, sarebbe stato necessario eseguire una TAC celebrale al fine di escludere cause neurogene della sincope e, in particolare, la presenza di un eventuale ematoma subdurale. In secondo luogo, è emersa la mancata adozione da parte dell’Ospedale di presidi di contenzione, nonostante il paziente fosse stato correttamente classificato come soggetto a rischio caduta, nonché la mancata impartizione al paziente di specifiche disposizioni affinché non eseguisse spostamenti in autonomia ma chiedesse assistenza.
Sul punto, il Tribunale ha ritenuto di rigettare l’eccezione dell’Ospedale secondo cui il paziente era stato informato, in quanto il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate idonee a fornire piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative. Mentre, il fatto che nel modulo informativo fosse stata contrassegnata la voce “educazione al paziente sui fattori di rischio e sui comportamenti di prevenzione” non può ritenersi esplicativa del reale contenuto e delle modalità dell’informazione fornita al paziente.

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3. La decisione del Tribunale


In considerazione di quanto emerso dalla CTU (che ha accertato la sussistenza del nesso causale tra la caduta a terra del paziente e conseguente lesione cranico-encefalica con il suo decesso), il giudice ha ritenuto integrato e provato il nesso di causalità tra la condotta negligente dei sanitari e il danno subito dal paziente e dagli attori.
Conseguentemente, la domanda formulata dai congiunti del paziente deceduto è stata accolta dal Tribunale di Ferrara.
Per quanto concerne i danni subiti, il giudice ha ritenuto sussistente il danno biologico terminale invocato, in quanto lo stesso è configurabile allorquando intercorra una apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte del paziente causata dalle lesioni; mentre è irrilevante che durante detto periodo di tempo, il paziente sia stato lucido o meno (infatti, la lucida coscienza rileva solo per il riconoscimento del diverso ed ulteriore danno morale terminale).
In secondo luogo, il Tribunale ha riconosciuto agli attori anche il danno per la perdita del rapporto parentale.
Infatti, detta tipologia di danno, che deve essere allegata dall’attore, può essere provata anche tramite presunzioni semplici e massime di comune esperienza. Ciò in quanto l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite. Mentre resta ferma la possibilità per la controparte di dimostrare l’assenza di un legame affettivo.
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che la prova fornita dagli attori circa l’esistenza di un legame familiare con la vittima sia sufficiente per presumere la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale. Tuttavia, nella sua quantificazione concreta, il giudice ha tenuto conto del fatto che gli attori non hanno fornito prova della specifica intensità della relazione affettiva con il de cuius.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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