Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter ordinamento penitenziario: vediamo come

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Corte costituzionale, 25/10/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 22/11/2018), n. 211

E’ illegittimo costituzionalmente l’art. 47-ter, comma 1, lettera b), e 8, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell’art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dall’art. 47-sexies, commi 2 e 4, della suddetta legge n. 354 del 1975, sul presupposto, di cui all’art. 47-quinquies, comma 1, della medesima legge, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

Le argomentazioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

Con ordinanza del 19 settembre 2017, la Corte d’appello di Firenze sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, commi 1, lettera b), e 8, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non limita la punibilità, ai sensi dell’art. 385 del codice penale, del padre di prole di età inferiore ad anni dieci al solo allontanamento dal domicilio che si protragga per più di dodici ore.

Ricordava il giudice rimettente come W. B.R., con sentenza del Tribunale di Firenze del 20 maggio 2013, fosse stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione ai sensi dell’art. 385 cod. pen., poiché – mentre era detenuto nel proprio domicilio «secondo l’art. 47 ter commi 1 bis e 8 L. 26 luglio 1975 n. 374» – aveva violato la prescrizione di non allontanarsi dalla propria abitazione in orario diverso dall’intervallo tra le ore 10,00 e le ore 12,00 di ogni giorno, per il quale era autorizzato.

Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Firenze aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, eccepita dalla difesa di W. B.R., «dell’art. 47 ter commi 1 bis e 8 L. 26 luglio 1975 n. 374 in relazione all’art. 3 comma 2 della Costituzione», ritenendo di non discostarsi dal principio secondo cui l’allontanamento dall’abitazione del condannato ammesso alla detenzione domiciliare è punito ai sensi dell’art. 385 cod. pen. qualunque ne sia la durata, e osservando che la disposizione censurata era già stata oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale con esclusivo riferimento alla situazione della madre di prole di età non superiore a dieci anni.

Nel giudizio di secondo grado, la difesa di W. B.R. aveva eccepito nuovamente la questione di legittimità costituzionale, ma la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 9 dicembre 2015, aveva dichiarato inammissibile il gravame, perché – a suo avviso – esclusivamente preordinato a sollevare la questione.

La Corte di cassazione, sezione sesta penale, adita dalla difesa dell’imputato, con sentenza del 15 febbraio 2017, n. 11955, aveva annullato con rinvio la decisione della Corte d’appello, ribadendo – secondo il proprio costante orientamento – che il ricorso che si sostanzia nella formulazione di una questione di legittimità costituzionale è ammissibile poiché tale motivo di doglianza costituisce denuncia di una violazione di legge.

La Corte d’appello rimettente, innanzi alla quale il giudizio era pendente, ricordava come l’appellante avesse impugnato la sentenza di primo grado sottolineando di essere stato ammesso alla detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1, lettera b), ordin. penit. – e non ai sensi del comma 1-bis del medesimo articolo, come erroneamente ritenuto dal Tribunale di Firenze – per prendersi cura della figlia di sei mesi, data l’impossibilità della madre invalida a dare assistenza alla minore e aveva quindi rinnovato la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Accogliendo l’istanza della parte, la Corte d’appello di Firenze eccepiva dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, commi 1, lettera b), e 8, ordin. penit., per violazione dell’art. 3 Cost.

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo rilevava altresì come la situazione del padre di prole di età inferiore ad anni dieci che sia ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria”, ex art. 47-ter, comma 1, lettera b), ordin. penit., quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non differisse da quella del padre che, ai sensi del successivo art. 47-quinquies, comma 7, sia ammesso alla detenzione domiciliare speciale, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre atteso che in entrambi i casi il padre è ammesso a tali misure per prendersi cura dei figli minori.

Riteneva il rimettente come fosse allora contrario ai principi di ragionevolezza ed uguaglianza sanzionare diversamente l’allontanamento dal domicilio del padre che si trovi in detenzione domiciliare “ordinaria” e quello del padre che invece sia stato ammesso alla detenzione domiciliare speciale e, in particolare, a detta del giudice a quo, sarebbe stata irragionevole la previsione di cui al comma 8 dell’art. 47-ter ordin. penit. che, per il padre ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria”, ne sanziona penalmente l’allontanamento dal domicilio, quale ne sia la durata, ex art. 385 cod. pen., mentre l’art. 47-sexies della medesima legge esclude, per il condannato ammesso alla detenzione domiciliare speciale, la rilevanza penale dell’allontanamento del domicilio che non si protragga per più di dodici ore, qualunque sia il motivo.

Ricordava oltre tutta il rimettente come la Corte costituzionale, con sentenza n. 177 del 2009, avesse già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, ordin. penit., che regola la detenzione domiciliare “ordinaria” della madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, «nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell’art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di 12 ore, come stabilito dall’art. 47 sexies, comma 2, della suddetta legge, sul presupposto di cui all’art. 47 quinquies, comma 1, della medesima legge, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti».

Osservava inoltre il giudice a quo come la condizione della madre che si trovi in detenzione domiciliare “ordinaria”, oggetto della pronuncia di incostituzionalità, fosse stata «sostanzialmente identica» a quella in cui versa l’imputato W. B.R. Peraltro, con riferimento a quest’ultimo, il magistrato di sorveglianza aveva escluso, al momento della concessione della detenzione domiciliare, il pericolo di commissione di ulteriori delitti, rilevando che l’effetto deterrente della carcerazione già sofferta apparisse «idoneo ad orientare il futuro comportamento del reo in senso socialmente adeguato».

Quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata, la Corte d’appello di Firenze ricordava come il magistrato di sorveglianza, con provvedimento del 28 novembre 2008, avesse concesso la detenzione domiciliare a W. B.R. ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1, lettera b), ordin. penit., in quanto la pena da espiare era inferiore ai tre anni di reclusione, egli era padre di una bambina nata il 13 agosto 2008 e la madre, a causa delle proprie condizioni di salute, era assolutamente impossibilitata a prendersi cura della minore.

Precisava, inoltre, il rimettente come l’allontanamento dal domicilio di W. B.R. non si fosse protratto per più di dodici ore, essendo stato accertato che egli si trovava fuori dall’abitazione alle ore 21,40 e alle ore 22,10, mentre, in occasione dei controlli successivi, era stato sempre trovato in casa.

Evidenziava, infine, come l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale avrebbe determinato la non rilevanza penale del fatto. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Consulta

La Corte costituzionale reputava la questione sollevata fondata alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si faceva prima di tutto presente come, seppur applicabili sulla base di diversi presupposti, in quanto la detenzione domiciliare “ordinaria” è disposta laddove la pena da espiare non sia superiore a quattro anni, mentre quella speciale riguarda detenuti che debbano scontare una pena maggiore e purché non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, entrambe le misure sono ad ogni modo primariamente indirizzate a consentire la cura dei figli minori, al contempo evitando l’ingresso in carcere dei minori in tenera età (sentenze n. 76 del 2017, n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009).

Si evidenziava però al contempo che, a differenza della prima, solo la detenzione domiciliare speciale (istituto più recente, previsto dalla legge 8 marzo 2001, n. 40, recante «Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori») è interamente ed esclusivamente diretta ai genitori di minori in tenera età, ed è accompagnata da una disciplina più flessibile in caso di ritardo nel rientro nel domicilio, proprio per venire incontro ai contingenti e imprevisti bisogni derivanti dalla cura dei bambini (sentenza n. 177 del 2009) posto che l’art. 47-sexies, comma 2, ordin. penit. dispone che incorre nel reato di evasione, di cui all’art. 385, primo comma, cod. pen., la condannata ammessa al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per più di dodici ore fermo restando che, per assenze di durata inferiore, il comma 1 dello stesso articolo 47-sexies prevede invece che ella possa essere proposta per la revoca della misura.

Tal che ne deriva che, escluso ogni automatismo, viene lasciato al giudice il compito di esaminare caso per caso, attribuendo il giusto peso all’interesse del minore, l’opportunità di sanzionare con la revoca comportamenti della condannata non giustificabili dal punto di vista della doverosa osservanza delle prescrizioni che accompagnano il regime della detenzione domiciliare.

Infine, si metteva in risalto come il legislatore avesse avuto cura di escludere in radice qualunque disparità di trattamento tra madre e padre in ordine al regime dell’allontanamento senza giustificato motivo dal domicilio, prevedendo esplicitamente (art. 47-sexies, comma 4, ordin. penit.) che il regime più tollerante si applica anche al padre detenuto, qualora la detenzione domiciliare speciale sia stata concessa a questo in luogo della madre mentre l’art. 47-ter, comma 8, ordin. penit., con disposizione dettata per tutte le categorie di detenuti ammessi alla detenzione domiciliare “ordinaria”, stabilisce semplicemente che il condannato che si allontana dalla propria abitazione è punito ai sensi dell’art. 385 cod. pen. e per questi casi, quindi, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare “ordinaria” – e quale che sia la ragione di esso – integra il reato di evasione.

Posto ciò, il giudice delle leggi rilevava come, investita di una questione relativa alla ragionevolezza di tale più severo trattamento sanzionatorio dell’allontanamento dal domicilio, con riferimento ad una madre in detenzione domiciliare “ordinaria”, la Consulta, con la sentenza n. 177 del 2009, avesse innanzitutto affermato che costituisce un tertium comparationis, omogeneo e pertinente la corrispondente, ma più flessibile, disciplina degli allontanamenti dal domicilio applicabile alla madre che si trovi in detenzione domiciliare speciale e, di conseguenza, da un lato riconosciuta l’identica finalità perseguita dal legislatore attraverso le norme che regolano le due forme di detenzione domiciliare, dall’altro sottolineato il paradosso che il trattamento più severo riguardasse madri che hanno da scontare pene inferiori, i giudici di legittimità costituzionale avevano conseguentemente affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lettera a), ordin. penit. nella parte in cui non prevedeva l’applicazione del trattamento più flessibile anche agli allontanamenti della madre in detenzione domiciliare “ordinaria”.

Si osservava al contempo come il medesimo ragionamento non potesse che essere esteso al raffronto del trattamento penale degli allontanamenti dal domicilio dei detenuti padri in quanto – a prescindere da ulteriori differenze in ordine ai presupposti per la concessione al padre della detenzione domiciliare “ordinaria” ovvero di quella speciale (sulle quali, in particolare, ordinanza n. 211 del 2009) – una volta che questi sia ammesso ad una di tali misure, non può che essergli applicato il medesimo regime previsto per la madre.

Tal che se ne faceva conseguire, stante l’identica finalità dei due istituti relativi alla detenzione domiciliare, in quanto applicati a genitori con figli minori di dieci anni, come non potesse che ripetersi come fosse priva di giustificazione, anche in relazione al padre che si trovi in detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenze di cura della prole, la maggior severità del regime sanzionatorio previsto dalle disposizioni censurate atteso che, alla luce di quanto previsto da queste norme giuridiche, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare, e quale che sia la ragione di esso, integra il reato di evasione.

Pertanto, ad avviso della Corte, la loro manifesta irragionevolezza emergeva proprio al cospetto della duttilità della disciplina disegnata invece dal legislatore in riferimento alle assenze ingiustificate dei genitori ammessi alla detenzione domiciliare speciale, ai cui sensi solo l’assenza protratta oltre le dodici ore integra il reato di cui all’art. 385, primo comma, cod. pen. osservandosi al contempo che, nel caso di specie, il verificarsi di un vero e proprio paradosso nel senso che il trattamento più severo dell’allontanamento dal domicilio si applica al genitore in detenzione domiciliare “ordinaria” sebbene costui ha da scontare una pena inferiore rispetto a quella inflitta a un padre ammesso alla detenzione domiciliare speciale.

Invece, secondo quanto rilevato dalla Consulta in questa decisione, devono valere, per il padre ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria” al fine di prendersi cura della prole in tenera età, le stesse esigenze naturalmente connesse alle attività rese indispensabili dalla cura dei bambini, come per il padre in detenzione domiciliare speciale le quali, a loro volta, possono, allo stesso modo, imporre l’allontanamento dal domicilio e risentono anch’esse, inevitabilmente, delle contingenze e degli imprevisti derivanti dal soddisfacimento dei bisogni dei minori (come per esempio la frequenza scolastica, le cure mediche, le attività ludiche e socializzanti: sentenza n. 177 del 2009).

Da ciò se ne inferiva come fosse manifestamente irragionevole che anche agli allontanamenti dal domicilio del padre in tale condizione non si applichi il più flessibile regime previsto dall’art. 47-sexies, commi 2 e 4, ordin. penit..

Posto ciò, a questo punto della disamina, il giudice delle leggi faceva presente come l’art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit. preveda, tra i requisiti per la concessione della detenzione domiciliare speciale, la verifica che non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e pertanto, accanto alla maggiore comprensione per le esigenze inerenti al rapporto tra genitori e figli in tenera età, che si manifesta nel più duttile trattamento penale degli allontanamenti dal domicilio, la legge dispone, prima della concessione del beneficio, la formulazione di una ragionevole prognosi di non recidiva.

Di talchè la Corte perveniva alla conclusione secondo la quale tale punto di equilibrio tra esigenze di difesa sociale, da una parte, e considerazione dei bisogni dei minori e delle attività genitoriali destinate a soddisfarli, dall’altra, costituisse un aspetto essenziale di un istituto, quale la detenzione domiciliare speciale disegnata dagli artt. 47-quinquies e 47-sexies ordin. penit., che obbedisce ad una «logica unitaria e indivisibile» (sentenza n. 177 del 2009) e di conseguenza, proprio alla luce di tale logica, nella sentenza n. 177 del 2009, estendendo alla madre in detenzione domiciliare “ordinaria” la più favorevole disciplina dettata per gli allontanamenti ingiustificati di quella in detenzione domiciliare speciale, la Consulta ritenne indispensabile abbinare a tale estensione anche l’esplicita previsione della prognosi che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

Orbene, alla luce di tale pronuncia del 2009, i giudici di legittimità costituzionale, nella decisione qui in commento, postulavano come non vi fossero ragioni per non ribadire tale necessità anche in occasione della estensione del regime di maggior favore al padre in detenzione domiciliare “ordinaria” e dunque, alla luce di ciò, si giungeva a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lettera b), e 8 ordin. penit., nella parte in cui non limita la punibilità, ai sensi dell’art. 385 cod. pen., al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dall’art. 47-sexies, commi 2 e 4, della medesima legge, sul presupposto, di cui al precedente art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

Conclusioni

La sentenza in argomento è sicuramente condivisibile in quanto, attraverso questa pronuncia, si prevede per il padre – a prescindere che questi, con prole di età inferiore ad anni dieci, sia ammesso alla detenzione domiciliare “ordinaria”, ex art. 47-ter, comma 1, lettera b), ordin. penit., quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole ovvero, ai sensi del successivo art. 47-quinquies, comma 7, sia ammesso alla detenzione domiciliare speciale, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri – ove si allontani senza giustificazione dal luogo in cui si trova in regime di detenzione domiciliare, la sua non punibilità, a norma dell’art. 385 c.p., se l’allontanamento non si protrae per più di 12 ore e sempreché non ricorra un concreto pericolo di recidivanza.

Infatti, non si vedono le ragioni, tali da giustificare un diverso trattamento, per differenziare la posizione del padre a seconda se ricorra l’una o l’altra condizione e, di conseguenza, l’intervento operato dalla Consulta, nella fattispecie in esame, come appena scritto, è senza ombra di dubbio condivisibile.

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