Indice
- La vicenda
- La regola probatoria
- La necessità di dimostrare la verosimiglianza dei fatti
- L’operatività dell’articolo 2697 c.c.
- La fonte dei fatti nel caso di specie.
1. La vicenda
Un uomo aveva convenuto in giudizio il direttore responsabile di un quotidiano, al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti la pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio, assumendo che il medesimo riportava fatti non corrispondenti al vero.
2. La regola probatoria
Nella vicenda esaminata la Corte territoriale, errando, aveva posto a carico del diffamato l’onere di provare che i fatti narrati non rispondevano al vero, in tal modo invertendo la regola probatoria secondo cui “la responsabilità del giornalista per lesione dell’altrui onore o reputazione è esclusa dal legittimo esercizio del diritto di cronaca e tale esercizio è legittimo sia quando il giornalista riferisce fatti veri, sia quando riferisce fatti che apparivano veri al momento in cui furono riferiti (in virtù del principio della cd. verità putativa)”.
3. La necessità di dimostrare la verosimiglianza dei fatti
Consegue che al giornalista, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno da diffamazione, per andare esente da responsabilità basta dimostrare non la verità storica dei fatti narrati, ma anche soltanto la loro verosimiglianza. Fornita tale prova, è onere di chi afferma di essere stato diffamato dimostrare che la fonte da cui il giornalista ha tratto la notizia, al momento in cui questa venne diffusa, non poteva ritenersi attendibile (Cassazione, n. 9458/2013).
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4. L’operatività dell’articolo 2697 c.c.
Il collegio di legittimità ha ribadito che, in punto di verità della notizia, deve ritenersi che, vertendosi in ambito di responsabilità aquiliana, la distribuzione degli oneri probatori resti disciplinata dall’art. 2697 c.c., pertanto l’attore che assume di essere stato leso da una notizia di stampa deve provare il fatto della pubblicazione di una notizia di natura diffamatoria e, a fronte di ciò, spetta al convenuto dimostrare, a fondamento dell’eccezione di esercizio del diritto di cronaca (e della sussistenza della relativa esimente), la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa, laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione all’attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all’attore l’eventuale dimostrazione della non attendibilità della fonte medesima.
5. La fonte dei fatti nel caso di specie
Nel caso esaminato dalla Cassazione, a fronte di una pubblicazione di contenuto idoneo a ledere la reputazione dell’attore ricorrente, il giornalista avrebbe dovuto dimostrare almeno la verità putativa dei fatti riferiti, sulla base dell’attendibilità della fonte: rispetto a ciò, la sentenza impugnata si limitava a indicare come fonte un comunicato della polizia giudiziaria, senza dare conto dell’esatto contenuto di tale documento al fine di consentire di apprezzare se sussistesse il requisito della verità (assoluta o putativa) in relazione ad ogni profilo della notizia. Il giudice territoriale, al contrario, aveva ritenuto sufficiente a provare la verità del fatto storico la circostanza che lo stesso non fosse stato contestato dall’uomo, incorrendo in un duplice errore:
- aveva ritenuto non contestati i fatti pur a fronte dell’espresso rilievo che l’attore aveva contestato l’articolo;
- aveva applicato impropriamente all’attore il meccanismo probatorio della non contestazione, che (per come delineato dall’art. 115, I° c. c.p.c.) è strutturalmente riferito alla posizione assunta dal convenuto ed è finalizzato ad individuare “i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”, che non abbisognano di ulteriore prova da parte dell’attore.
La pronuncia, pertanto, è stata cassata con rinvio alla Corte territoriale che dovrà accertare se sia stata fornita, in relazione all’intero contenuto della notizia di stampa, la prova della verità dei fatti, ancorché putativa ove basata su fonte attendibile.
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