Diffamazione: la Cassazione sull’applicabilità dell’esimente ex art. 598 c.p.

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20520 del 23 maggio 2024, in tema di diffamazione, ha affermato che, ai fini dell’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 598 cod. pen., non rileva la cancellazione delle espressioni diffamatorie disposta dal giudice civile ai sensi dell’art. 89, comma secondo, cod. proc. civ., essendo distinti sia i canoni valutativi cui devono conformarsi quest’ultimo e il giudice penale nell’applicazione delle diverse disposizioni, sia la portata delle stesse, atteso che per offese non riguardanti l’oggetto della causa, di cui all’art. 89 cod. proc. civ., devono intendersi quelle “non necessarie alla difesa”, pur se ad essa non estranee, mentre per “offese che concernono l’oggetto della causa”, di cui all’art. 598 cod. pen., devono intendersi quelle che, benché non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa.

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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 20520 del 23/05/2024

Cass-20520-2024.pdf 12 MB

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Indice

1. I fatti

La Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado che avceva assolto i due imputati dal reato di diffamazione, aggravato ai sensi dell’art. 595, secondo comma, cod. pen.
Nello specifico, gli imputati (entrambi avvocati) con atto di citazione in revocatoria ordinaria nei confronti di un notaio, offendevano la reputazione di quest’ultimo con espressioni che lo accusavano di essere causa diretta della morte della propria madre, deceduta, invece, a causa di un’emorragia cerebrale in seguito a un’accidentale caduta.
Nell’interesse della pare civile, è stato proposto ricorso per Cassazione affidato ai seguenti motivi: 1) violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 598 cod. pen. (offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative), non ricorrendo, nel caso di specie, le due condizioni richieste dall’esimente in parola. Il ricorrente osserva che ai fini dell’azione revocatoria sarebbe stato sufficiente far riferimento al procedimento risarcitorio in corso, senza dilungarsi in altri discorsi; 2) e 3) vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’esimente di cui all’art. 598 cod. pen.. La mancanza di nesso funzionale tra l’espressione incriminata e l’azione giudiziale, illogicamente trascurata dalla Corte d’appello, risulta evidente anche ove si consideri che a quell’espressione è stata data massima visibilità attraverso la pubblicazione nei Registri Immobiliari e delle imprese e, in particolare, con la trascrizione della revocatoria presso la Conservatoria, sede storica dello studio notarile del ricorrente.
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2. Diffamazione e applicabilità dell’esimente ex art. 598 c.p.

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, premette che la ratio legis sottesa all’art. 598 cod. pen. è quella di consentire la massima libertà nella esplicazione del diritto di difesa. La causa di non punibilità ivi prevista, costituendo applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51 cod. pen. copre, potenzialmente, tutti gli atti funzionali all’esercizio del diritto di difesa, che devono esser ricondotti al principio della immunità giudiziale.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 598 cod. pen. sono necessarie due condizioni: che le offese concernano l’oggetto della causa o del ricorso pendente dinanzi alla autorità giudiziaria o a quella amministrativa; che le stesse abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta.
Tuttavia, la Suprema Corte osserva che “deve escludersi la necessità che le offese abbiano un contenuto minimo di verità, o che la verità sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa, a prescindere dalla fondatezza o meno dell’argomentazione“.
Inoltre, la Corte sottolinea come si è ritenuta sussistenza la causa di non punibilità in parola anche nei casi in cui le espressioni ingiuriose non siano né necessarie né decisive ai fini dell’economia generale dell’argomentazione, purché inserite nel contesto difensivo.

3. La decisione della Cassazione

Da quanto finora esposto, la Corte di Cassazione afferma che deriva la mancata decisività dell’assunto difensivo che insiste sulla falsità dell’affermazione relativa alla causa scatenante il decesso della madre del ricorrente e sull’essenza diffamatoria dell’espressione indicata nel capo d’imputazione, in quanto non funzionale rispetto a quanto sostenuto nell’atto di citazione in revocatoria ordinaria.
Ad avviso della Corte, tale assunto non riesce a scardinare la ragionevole obiezione opposta dai giudici di merito, coerente con i principi giurisprudenziali sopra esposti.
In particolare, è irrilevante l’eccezione secondo cui l’espressione offensiva fosse contenuta in un’azione revocatoria, anziché risarcitoria, posta la relazione tra due azioni.
Inoltre, collegandosi all’art. 89 cod. proc. civ. (espressioni sconvenienti od offensive), la Suprema Corte afferma che “il riferimento alle offese che non riguardano l’oggetto della causa, contenuto nell’art. 89 c.p.c., va inteso come riferibile alle offese non necessarie alla difesa, sebbene a essa non estranee, il riferimento alle offese che concernono l’oggetto della causa, contenuto nell’art. 598 c.p., va inteso come riferibile a quelle offese che, pur non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa. Sicché il nesso, pur non necessario con l’oggetto della causa, esclude comunque la punibilità del fatto“.
Ne discende che le offese non necessarie, pur non essendo giustificate nell’ambito processual-civilistico, rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 598 cod. pen., sempre che concernano l’oggetto della controversia.
Per questi motivi, la Cassazione ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

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