La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17326 del 26 aprile 2024, ha chiarito che, in tema di diffamazione, il diritto di critica politica deve basarsi su fatti reali, in caso contrario non potrà applicarsi l’esimente ex art. 51 cod. pen.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Salerno aveva assolto l’imputato dal delitto di diffamazione aggravata in danno di un Comune. L’imputazione era stata disposta poiché, in un modulo predisposto per le osservazioni dei cittadini, l’imputato aveva sostenuto che la delibera del consiglio comunale di adesione ad una società in house providing del predetto Comune, avente ad oggetto sociale la gestione del ciclo di rifiuti, costituisse “presumibilmente un’associazione a delinquere organizzata” da un clan.
Avverso tale sentenza, è stato proposto ricorso immediato per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Salerno deducendo violazione dell’art. 51 cod. pen. quanto all’esercizio del diritto di critica politica atteso che le espressioni utilizzate dall’imputato non avrebbero potuto, secondo quanto ritenuto dal Tribunale di Salerno, essere ricondotte ad una legittima critica politica, ma si sarebbero tradotte nell’immotivata equiparazione, avulsa dalla realtà dei fatti, di una scelta politica all’affiliazione ad un clan camorristico.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Diffamazione e diritto di critica politica: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, premette che, in materia di diffamazione, questa “può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, a vagliare la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato“.
La Corte riprende ciò che l’imputato avrebbe scritto nel modulo sopracitato: “questa adesione è presumibilmente un’associazione a delinquere organizzata dal clan […].
La società in house verrà segnalata al Presidente dell’Autorità Anticorruzione Sig. […]”.
Viene ribadito che gli scritti contenenti espressioni lesive dell’altrui reputazione integrano il reato di diffamazione anche quando gli stessi siano diretti ad un solo soggetto, quando, avendo riguardo all’indirizzo istituzionale presso il quale gli stessi sono indirizzati, il messaggio è in concreto prevedibile sia accessibile a terzi diversi dal destinatario.
Ad avviso della Corte, questo è ciò che è avvenuto nella fattispecie in esame, essendo ben prevedibile dal ricorrente che la comunicazione, “di assoluta gravità”, non riservata al Sindaco, sarebbe stata letta anche dai collaboratori del diretto destinatario.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione propende per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, il Collegio ricorda che, “in tema di delitti contro l’onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti al pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale“. In questo caso, non può assumersi integrata l’esimente di cui all’art. 51 cod. pen. poiché quella dell’imputato si sarebbe sostanziata in una dura critica di carattere politico, attribuendo al Comune “una condotta criminosa di assoluta gravità, facendo riferimento all’origine della delibera nell’adesione ad un clan capeggiato, a dire dell’imputato, da un noto politico locale, senza indicare alcun elemento specifico dal quale potesse assumersi che il fatto fosse vero, almeno sul piano putativo, e trascendendo, comunque, ogni limite di continenza espressiva, anche ove si voglia riguardare lo stesso nei più ampi connotati consentiti dal diritto di critica politica“.
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