La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26919 dell’8 luglio 2024, ha chiarito che, in tema di diffamazione in trasmissione televisiva, la competenza territoriale è quella del luogo ove risiede la persona offesa.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Milano ha rimesso la questione relativa alla competenza territoriale, ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen., per un processo relativo al reato di diffamazione aggravata nei confronti degli imputati, rispettivamente autore e conduttore della trasmissione televisiva “Le Iene”.
Il problema interpretativo era il seguente: “se, in tema di diffamazione commessa con il mezzo della trasmissione televisiva, la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione dell’art. 30, comma 5, della legge n. 223 del 1990, nel foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato di diffamazione, ancorché non si tratta dei soggetti indicati nell’art. 30, comma 1, della medesima legge (ossia del concessionario privato, della concessionaria pubblica o della persona da loro delegata al controllo della trasmissione) oppure la speciale regola di competenza dettata dal comma 5 del citato art. 30 valga solo per i soggetti specificamente indicati nel comma primo della medesima disposizione, sicché, quando questi non siano imputati, si applicano, agli autori della diffamazione, le regole generali di competenza territoriale previste in relazione alla diffamazione punita ex art. 595 cod. pen. e segnatamente l’art. 9, comma 1, cod. proc. pen.“.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Diffamazione in trasmissione televisiva e competenza territoriale: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare ammissibile il ricorso, ha ritenuto che il quesito dovesse risolversi nel senso che la competenza territoriale deve essere determinata dando prevalenza alla disciplina prevista dall’art. 30, comma 5, l. n. 223 del 1990, ed al foro di residenza della persona offesa.
Nonostante i contrasti della giurisprudenza sulla questione, la Suprema Corte è giunta a tale conclusione anche grazie alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte Costituzionale con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223.
Nello specifico, la norma censurata della legge sulla stampa (lex specialis rispetto alle aggravanti stabilite dall’art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma), prevedeva una circostanza aggravante per il delitto di diffamazione, integrata nel caso in cui la condanna fosse commessa col mezzo della stampa e consistesse nell’attribuzione di un fatto determinato; in tal caso la pena prevista era quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore ad euro 258, da applicare in via cumulativa, a meno che non sussistessero, nel caso concreto, circostanze attenuanti generiche prevalenti o, almeno, equivalenti all’aggravante in esame.
Ebbene, l’irrogazione della sanzione detentiva è stata ritenuta ormai in contrasto con l’esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sui pubblici poteri.
Con la statuizione di incostituzionalità, dichiarata “a cascata”, si giunge a ritenere ancora vigente la disposizione di cui all’art. 30, comma 5, cod. pen. che si pone come norma dal contenuto di rinvio “mobile”, “quanto alle indicazioni riferite alla competenza territoriale, per i reati di diffamazione commessi tramite l’attribuzione di un fatto determinato ed a mezzo di strumenti radiofonici o televisivi, permane la possibilità di interpretare la speciale competenza del foro della persona offesa come vigente e riferita a tutti coloro i quali commettano una condotta diffamatoria mediante tali strumenti e l’attribuzione di un fatto determinato“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, dopo un lungo e complesso ragionamento, la Corte di Cassazione ha fornito la seguente soluzione al Tribunale di Milano: “in tema di diffamazione commessa attraverso e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l’art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere alla diffamazione“.
Nel caso di specie, è stata dichiarata la competenza del Tribunale di Milano, con conseguente rinvio alla cancelleria per gli adempimenti di cui al comma 4 del citato art. 24-bis cod. proc. pen.
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