Differenze tra “sottrazione” e “impossessamento” nella rapina impropria: chiarimenti della Cassazione

Allegati

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20491 del 23 maggio 2024, ha chiarito i concetti di “sottrazione” e “impossessamento” nella rapina impropria.

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Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 20491 del 23/05/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza la quale il Tribunale di Parma aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato in relazione ai reati di cui agli artt. 81 e 628 cod. pen. e di cui agli artt. 110 e 624 cod. pen.
Avverso tale pronuncia è stato presentato ricorso per Cassazione deducendo, con un unico motivo, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 56, 628 cod. pen. per avere i giudici erroneamente qualificato i fatti quali rapine improprie consumate anziché tentate.
Nello specifico, la difesa argomenta che, occultando sotto i propri indumenti i beni (bevande alcoliche) esposti sui banchi di vendita di un supermercato, avrebbe compiuto una mera “asportazione” e non una “sottrazione” dei beni stessi, dato che vi era costante vigilanza da parte degli incaricati dell’esercizio commerciale ed è stato, poi, bloccato prima di varcare l’uscita dello stesso.

2. Differenze tra “sottrazione” e “impossessamento” nella rapina impropria: l’analisi della Cassazione

La corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, si concentra sulla questione posta dalla difesa riguardo alla disamina del rapporto tra i concetti di sottrazione” e di “impossessamento e sulla loro rilevanza ai fini di valutare se il reato di rapina (impropria) possa ritenersi consumato o sia rimasto al livello di mero tentativo.
La Corte, riprendendo consolidati principi di diritto, osserva che “poiché il comma secondo dell’art. 628 cod. pen. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, deve ritenersi che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per breve tempo, della disponibilità autonoma dello stesso. È configurabile, invece il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità“.
In altri termini, per il perfezionamento della rapina impropria è sufficiente l’apprensione del bene altrui e non è necessario l’impossessamento che, invece, postula l’acquisto del possesso della cosa sottratta ad altri.
La Suprema Corte sottolinea che il controllo del personale di vigilanza, nel caso di specie, non rileva al fine della sussistenza della sottrazione del bene, ma incide soltanto sul conseguente momento dell’impossessamento, atteso che sotto la sorveglianza altrui ciò che viene ad essere impedita non è l’apprensione del bene ma l’acquisizione di un’autonoma disponibilità del bene.
E questo sulla base di una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 52117 del 17/07/2014) secondo cui, “l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postula il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente. Sicché, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, l’incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo“.
La parte ricorrente, invero, non pone in dubbio che non vi sia stato impossessamento, ma sostiene che, per effetto della continua vigilanza degli addetti all’esercizio commerciale, non si sia neppure verificata la sottrazione, il che consentirebbe solo di configurare il tentativo nelle azioni dell’imputato.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che non può porsi in dubbio che la sottrazione dei beni di cui al capo di imputazione si è concretamente realizzata in quanto al mero prelievo delle bottiglie di liquore dagli scaffali del supermercato (azione fino a quel punto assolutamente legittima) l’imputato ha fatto seguire azioni che hanno comportato una rottura del momento detentivo da parte dei titolari dell’esercizio commerciale e ciò mediante l’occultamento dei beni sotto i propri capi di abbigliamento, attraverso il superamento delle casse per il pagamento della merce e, in almeno uno dei due casi, anche attraverso l’uscita dall’esercizio commerciale.
Ad avviso della Corte, dunque, la qualificazione giuridica dei fatti operata dai giudici di merito è stata corretta e, per questi motivi, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

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Riccardo Polito

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