Dimissioni italiane e francesi: analisi comparativa

Sia il diritto del lavoro italiano che francese consentono ad alcuni lavoratori di lasciare il loro posto di lavoro rassegnando le dimissioni.

Axel Wantz 07/01/25

Sia il diritto del lavoro italiano che francese consentono ad alcuni lavoratori di lasciare il loro posto di lavoro rassegnando le dimissioni. Tuttavia, va detto che questa identità di concetto non porta sistematicamente a un’equivalenza dei regimi. Concentriamoci sui punti di convergenza e di divergenza tra l’Italia e la Francia. Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato

Indice

1. Dimissioni italiane e francesi: tra uniformità di fondo e differenziazione di forma


Riservato, sia dal diritto del lavoro francese che dal diritto del lavoro italiano, ai lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, le dimissioni si definiscono come l’atto con il quale un lavoratore manifesta la sua volontà di recedere unilateralmente il contratto che lo vincola al datore di lavoro. 
Affinché questo modo di estinzione del rapporto di lavoro sia efficace, bisogna rispettare diverse esigenze di fondo e di forma
Per quanto riguarda questo primo tipo di esigenze, il diritto del lavoro italiano e francese richiedono che la decisione del lavoratore sia libera e insindacabile. 
Di conseguenza, sono inficiate da nullità le dimissioni date da un lavoratore il cui consenso risulti viziato. L’esempio più evocativo è quello delle dimissioni forzate, estorte (intimidazione, minaccia di licenziamento, molestie). La stessa conclusione s’impone riguardo le dimissioni derivanti da alcune pratiche illecite. I lavoratori italiani, ma soprattutto le lavoratrici italiane in verità, sono stati e lo sono sempre in misura minore, confrontati al fenomeno delle dimissioni in bianco. Questa pratica consiste nel far firmare ai nuovi assunti una lettera di dimissioni che sarà debitamente compilata dal datore di lavoro quando intenderà liberarsene, è questo lo scopo di sottrarsi alle conseguenze legate al licenziamento. 
Ma nonostante tutto, il datore di lavoro può presumere le dimissioni di un lavoratore in caso di assenza ingiustificata? In Francia, il principio secondo cui le dimissioni non possono essere presunte è stato abbandonato da poco. In effetti, dal 19 aprile 2023[1], è entrato in vigore il meccanismo delle  dimissioni presunte[2]. Il suo azionamento è riservato ai lavoratori che hanno abbandonato il loro posto di lavoro. La finalità è chiara: privarli dei loro diritti alle indennità di disoccupazione. Per prendere regolarmente atto di queste dimissioni in forma tacita, il datore di lavoro deve:

  • in primo luogo, invitare il lavoratore a riprendere l’attività lavorativa entro un certo termine;
  • in secondo luogo, constatare che quest’ultimo non sia tornato al suo scadere (dopo almeno 15 giorni).

Ma per ora, è necessario mantenere alta la guardia. Al momento, l’uso e la popolarità di questo dispositivo complesso da applicare sono ancora ignoti. Tanto più che un vivace dibattito è attualmente in corso sulla sua coordinazione con il licenziamento disciplinare. Il Ministero del Lavoro francese ha considerato che l’assenza ingiustificata del lavoratore richiedesse necessariamente il ricorso alle dimissioni presunte mentre la legge istituisce solo una semplice alternativa. Non resta che attendere una pronuncia della Corte di Cassazione. Il Consiglio di Stato, in una decisione del 18 dicembre 2024*, non si è espresso su questo punto.
La situazione dell’Esagono merita una menzione nel momento in cui uno strumento simile è stato reintrodotto nell’ordinamento giuridico italiano: le « dimissioni per fatti concludenti[3]: le « dimissioni per fatti concludenti[4] » (cf. DDL Lavoro: una panoramica sulle maggiori novità).
Per quanto attiene il secondo tipo di esigenze, relativo alla forma delle dimissioni, non si può negare che esiste un grande divario tra la Francia e l’Italia. 
Iniziamo il nostro ragionamento con un’escursione nel diritto francese. Possiamo subito constatare che il Codice del lavoro non subordina le dimissioni a nessun requisito speciale in quanto alla forma o alla motivazione[5]. Messo in pratica, questo principio significa che sono ammissibili le dimissioni orali, presentate per esempio nel corso di una conversazione con il datore di lavoro. Al contrario, sono inefficaci le dimissioni rassegnate verbalmente sotto l’impulso della rabbia durante una riunione tesa[6]. Anche se le dimissioni verbali sono ipotizzabili in teoria, si consiglia vivamente al datore di lavoro di chiedere un documento scritto al lavoratore per attuare la propria decisione. A proposito,  è abbastanza comune che un contratto collettivo (primo o secondo livello) o il contratto di lavoro prevedano un requisito formale.
Nel diritto italiano, ad eccezione delle dimissioni per giusta causa su cui torneremo più tardi, le dimissioni non devono essere motivate. Ma a differenza del diritto francese, esse devono rispettare un certo formalismo. 
In effetti, dal 12 marzo 2016[7], le dimissioni devono, per avere efficacia estintiva, essere formalizzate esclusivamente per via telematica, utilizzando appositi moduli resi disponibili sul sito del Ministero del Lavoro. Il lavoratore può, quindi, inviare personalmente il modulo oppure rivolgersi ad uno dei seguenti soggetti autorizzati (p. es.: patronati, organizzazione sindacali, consulente di lavoro, ecc.). Una volta compilati i dati richiesti, il documento sarà trasmesso automaticamente al datore di lavoro e  alla Direzione territoriale del lavoro competente. Va sottolineato che si segue in Francia una procedura analoga ma solo nel contesto delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro[8]. In Italia, al contrario, deve essere seguita anche per le dimissioni. 
Un’altra differenza va evidenziata, è quella dei genitori lavoratori dimissionari. In breve, le loro dimissioni devono essere convalidate dall’Ispettorato del lavoro se sono presentate durante i primi tre anni di vita o di accoglienza del bambino. In Francia, tale protezione non si applica in questo caso. Essa riguarda :

  • altre categorie di lavoratori (p. es: membri eletti del comitato sociale ed economico, i rappresentanti sindacali, ecc.[9]) ;
  • il licenziamento e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Ma torniamo ora a parlare delle conseguenze che generano le dimissioni. Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Dimissioni italiane e francesi: revoca e preavviso


Vi sono due domande che meritano un’attenzione particolare per quanto riguarda gli effetti delle dimissioni francese e italiane: 

  • da un lato: il lavoratore ha la facoltà di revocare le sue dimissioni oppure la sua decisione è definitiva?
  • dall’altro: come stabilire la data di effettiva cessazione del rapporto di lavoro? Il lavoratore deve sempre rispettare un periodo di preavviso? 

Il diritto francese da una prima risposta netta e precisa: una volta presentate, le dimissioni sono  efficaci e irrevocabili[10]. Se per caso il lavoratore volesse fare marcia indietro, il datore di lavoro può opporsi. Il diritto italiano fornisce una risposta altrettanto chiara: il lavoratore può, entro 7 giorni dalla data di trasmissione del modulo, revocare le proprie dimissioni[11]. In tal caso, il datore non può rifiutare la revoca delle dimissioni al lavoratore.
Per quanto riguarda poi la seconda domanda, va detto che il diritto del lavoro francese e italiano stabiliscono, all’unanimità, che il lavoratore dimissionario deve rispettare un preavviso per non esporre il datore di lavoro alle conseguenze di un abbandono improvviso (p. es: disorganizzazione o rallentamento delle attività, sovraccarico di lavoro, ecc.).
La durata del preavviso può essere regolata da diverse fonti del diritto del lavoro. È opportuno osservare che né la legge italiana né quella francese prevedono una durata minima. Dal lato italiano, questa durata è stabilita dagli usi o dai contratti collettivi nazionali di lavoro che possono, poi, permettere al contratto di lavoro di prevedere un termine più ampio. Dal lato francese, il periodo di preavviso può essere fissato dai contratti collettivi nazionali di lavoro ma anche dai contratti collettivi di livello inferiore (aziendale, gruppo, ecc.), dal contratto di lavoro o ancora dagli usi.
Ma in realtà, il preavviso francese e italiano possono essere abbreviati o non onorati mediante un accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro. Nel caso in cui il datore di lavoro rifiuta il preavviso del lavoratore, è tenuto a versare un’indennità sostitutiva del preavviso[12]. Cioè un’indennità equivalente all’importo della retribuzione  che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
La Francia e l’Italia non condividono la stessa posizione, per contro, se il lavoratore dimissionario non vuole rispettare il preavviso. Nel modello italiano, infatti, l’indennità sostitutiva di preavviso può essere trattenuta nell’ultima busta paga. Il modello francese, invece, assimila questa situazione a un accordo tra le parti[4]. Questi ultimi sono quindi sollevati dall’obbligo di erogare l’indennità. 
A questo proposito, esiste un’altra differenza interessante da menzionare. Bisogna partire dall’articolo 2119 del codice civile che stabilisce che la risoluzione del rapporto di lavoro è immediata quando il lavoratore allega una giusta causa. Ossia una causa o una circostanza che « non  consenta  la   prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto [di lavoro] ». Ad esempio: una situazione di mobbing, il non pagamento della retribuzione, una situazione di molestia sessuale, trasferimento unilaterale del lavoratore, ecc. Di fatto, il lavoratore:

  • non ha l’obbligo di rispettare un periodo di preavviso;
  • ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso;
  • ha diritto, se del caso, all’indennità di disoccupazione NASpI. 

Le dimissioni per giusta causa sono efficaci indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro. Sebbene non possa rifiutarle, è comunque in grado di contestare la giusta causa in giudizio.
Il concetto italiano delle dimissioni per giusta causa, recepito nel diritto francese, ricorda il concetto della « prise d’acte de la rupture du contrat du travail ». Istituita dalla giurisprudenza[13] e riservata anche qui ai soli lavoratori a tempo indeterminato, la « prise d’acte de la rupture » permette di:

  • recedere dal rapporto di lavoro senza preavviso;
  • e imputare questa risoluzione al datore di lavoro colpevole di un grave inadempimento.

Una volta avviata questa prima fase, il lavoratore deve adire il giudice del lavoro. Quest’ultimo determinerà gli effetti della risoluzione del rapporto di lavoro. Si possono distinguere due situazioni. Se il giudice dichiara la «prise d’acte » legittima, produrrà gli effetti del licenziamento illegittimo o addirittura nullo secondo i casi. Se, al contrario, il giudice la dichiara illegittima, produrrà gli effetti delle dimissioni. Inoltre, il lavoratore dovrà, per eccezione, versare un’indennità sostitutiva di preavviso al datore di lavoro.
Concludiamo quest’articolo facendo un breve esercizio di trasposizione. Cosa succederebbe se un italiano che lavora in Francia, mal informato sul diritto francese, ricorresse alle dimissioni per giusta causa? La risposta è semplicissima: le dimissioni, in questo caso, verrebbe riqualificata in una « prise d’acte de la rupture ».

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Note


[1] Loi n° 2022-1598 du 21 décembre 2022 portant mesures d’urgence relatives au fonctionnement du marché du travail en vue du plein emploi, article 4 e Décret n° 2023-275 du 17 avril 2023 sur la mise en œuvre de la présomption de démission en cas d’abandon de poste volontaire du salarié
[2] Articolo L. 1237-1-1 del codice del lavoro francese
[3] Conseil d’Etat, 18 décembre 2024, décision n° 47364
[4] Legge 13/12/2024, n. 203, art. 19 »
[5] Cour de cassation, chambre sociale, 28 septembre 2024, n° 02-43.299
[6] Cour de cassation, chambre sociale, 7 avril 1999, n° 97-40.689
[7] D.lgs n. 151/2015, articolo 26
[8] Articolo D. 1237-3-1 del codice del lavoro francese
[9] Articolo L. 2411-1 del codice del lavoro francese
[10] Cour de cassation chambre sociale, 21 septembre 2005, n° 03-43.937
[11] D.lgs n. 151/2015, articolo 26, comma 2
[12] Articolo 2118 del codice civile italiano
[13] Cour de cassation, chambre sociale, 15 avril 1992, n° 89-40.850
[14] Cour de cassation, chambre sociale, 26 mars 2014, n° 12-23.634

Axel Wantz

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