Le dimissioni volontarie: le evidenti problematicità dell’art. 19 DDL lavoro

Il DDL Lavoro è legge. Tra le varie disposizioni, merita un approfondimento l’art. 19, dove si riportano novità sulla risoluzione del rapporto di lavoro.

Il DDL Lavoro è legge. Tra le varie disposizioni contenute nel testo, merita un approfondimento l’art. 19, dove si riportano importanti novità in tema di risoluzione del rapporto di lavoro. L’elaborato analizza l’art. 19 DDL, facendo luce sulle evidenti lacune procedurali e sostanziali della norma. All’approvazione del DDL abbiamo dedicato l’articolo: “Politiche per il lavoro e previdenziali, ok dalla Camera”Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti

Indice

1. Le novità del DDL Lavoro


La summenzionata norma modifica l’art. 26 D.lgs. n. 151/2015, rubricato “dimissioni volontarie e risoluzione consensuale”, ampliando le prospettive in tema di recesso unilaterale del lavoratore e, in particolare, aggiungendo un comma, il 7 bis, ai sensi del quale:
In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro (di seguito, per brevità, INL), che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.
La novità è evidente, atteso che, ad oggi, si presumono e si presumeranno le dimissioni del lavoratore nei casi di una sua assenza ingiustificata protratta per un certo arco temporale individuato dai CCNL di settore o, in mancanza di specifica disposizione di quest’ultimi, per un periodo pari a giorni 15. Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Le problematicità


L’art. 19 non è esente da critiche, poiché la norma in questione, al di là del precipuo obbligo di parte datoriale di dover comunicare alla sede territoriale dell’INL le avvenute dimissioni, nulla dice in merito:

  • alle modalità attraverso le quali il datore di lavoro dovrà interfacciarsi con la sede territoriale competente; se, in particolare, a mezzo dei moduli di cui al co.1 art. 26 D.gls. n. 151/2015, in virtù del quale “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli”;
  • al “diritto di difesa del lavoratore”, ossia all’esatto momento in cui è data la possibilità al soggetto interessato di giustificarsi, evitando la risoluzione del rapporto.

Di certo non è risolutivo l’inciso “non si applica la disciplina prevista dal presente articolo” contenuto nel comma in questione, soprattutto se non è chiaro il momento in cui è data la possibilità al lavoratore di giustificarsi, autorizzando, tra l’altro, l’applicazione dell’art. 26 D.lgs.. 151/2015  (cfr. co. 7 bis, secondo periodo: Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza).
Ad ogni modo, sarebbe comunque irragionevole che il datore di lavoro, in assenza di giustificazione del lavoratore, possa limitarsi, come accade per il lavoro domestico in cui proprio l’art. 26 non trova applicazione, a comunicare le dimissioni con una semplice lettera sottoscritta dal dipendente interessato. Ciò, infatti, si tradurrebbe in una illegittima traslazione di una norma, quella che esclude l’applicazione dell’art. 26 per il lavoro domestico, da speciale a generale, in quanto applicabile a tutte le categorie di lavoratori.
Quanto sopra non è una mera questione di “forma”, in quanto nel silenzio della legge, le possibili interpretazioni prospettabili potrebbero autorizzare o meno l’applicazione dell’art. 26 e, in particolare, la sanzione di cui al co.5 ivi si legge che il datore di lavoro, qualora “alteri i moduli di cui al comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000”.
È ovvio che l’eventuale non applicabilità della norma gioverebbe al datore di lavoro, ma l’evidente incertezza del testo non lo esenterebbe da azioni nelle sedi competenti, esponendosi di conseguenza a gravi rischi.

3. Reviviscenza art. 4 comma 17 e ss. Legge n. 92/2012: necessaria convalida della dimissione


Ebbene, chiarito che l’incertezza della norma svantaggia ciascuna delle parti contrattuali, una soluzione diviene ad oggi necessaria. In tal senso, dirimente sarebbe una reviviscenza di quanto prescritto dal comma 17 della legge n. 92/2012, ai sensi del quale:
al di fuori dell’ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, come sostituito dal comma 16 del presente articolo, l’efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto è sospensivamente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.
In sostanza, la norma, al di là della procedura prescritta nei casi di cui all’articolo 55 co.4 D.lgs. n. 51/2001, ovvero nei casi di dimissioni di lavoratrici madri e/o lavoratori padri durante i primi tre anni di vita del bambino, detta uno specifico procedimento, applicabile a qualsivoglia categoria di lavoratori dimissionari, in cui la convalida delle dimissioni o risoluzioni consensuali viene considerata una “conditio sine qua non” per rendere efficace la risoluzione del rapporto di lavoro.

4. La procedura


Più nel dettaglio la normativa in questione imporrebbe sia al datore sia al lavoratore l’osservanza di specifichi obblighi, quali:

  • la convocazione del lavoratore da parte del datore a mezzo di invito contenente la ricevuta attestante l’avvenuta trasmissione della comunicazione di cessazione al centro per l’impiego, pena l’inefficacia delle dimissioni;
  • l’obbligo per il lavoratore, entro 7 giorni di tempo dalla ricezione dell’invito, di recarsi presso il proprio datore o altro soggetto abilitato alla convalida, pena la risoluzione del rapporto.

5. Conclusione


L’applicazione della procedura di cui sopra garantirebbe una certezza procedurale che gioverebbe ad entrambi le parti del rapporto, atteso che il datore di lavoro, qualora giustificasse le dimissioni nelle modalità sopra descritte, eviterebbe di incorrere in gravi sanzioni, mentre il lavoratore, qualora avesse chiaro il “momento giustificativo”, avrebbe la possibilità di evitare delle dimissioni eventualmente ingiuste.  
Ad ogni modo, una chiarezza procedurale garantirebbe l’osservanza dei generici principi costituzionali, giacché, come già ampiamente ribadito, il fatto che non sia chiaro il momento in cui è permesso al lavoratore di giustificarsi, impedendo di conseguenza il recesso dal rapporto di lavoro, costituisce una palese violazione del diritto di difesa e del generico principio del contradditorio. Di conseguenza, onde evitare profili di illegittimità costituzionale di un meccanismo, che non è di base “ingiusto”, sarebbe opportuno fare luce su tali aspetti procedurali.
Infine, sembrerebbe come l’incertezza della norma abbia dei risvolti anche sostanziali, atteso che, ad oggi, la non applicabilità dell’art. 26 D.lgs. n. 151/2015 non è più un’ipotesi speciale, in quanto prescritta per alcune tipi di lavoro come quello domestico, ma generale, poiché applicabile a tutte le categorie di lavoratori.

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Edoardo Vizzaccaro

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