—Seconda puntata—-Dirigenti illegittimi: avvisi di accertamneto e ruoli nulli
D) GLI AVVISI DI ACCERTAMENTO.
L’art. 42, comma 1, D.P.R. n. 600 cit. testualmente dispone:
“Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.
La stessa disposizione si applica anche ai fini IVA (art. 56, comma 1, D.P.R. n. 633 cit., per l’espresso richiamo alle disposizioni in materia di imposte sui redditi), come più volte riconosciuto dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10513 del 23 aprile 2008 della Sezione Quinta Civile – Tributaria).
L’art. 42, comma 3, D.P.R. n. 600 cit. testualmente dispone:
“L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma” (come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 2, D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001).
Di conseguenza, un avviso di accertamento (IVA e ******) non sottoscritto dal capo dell’ufficio, che deve necessariamente essere un dirigente (come da Regolamento di amministrazione, di cui alla lett. B), n. 5, del presente articolo), è nullo se firmato da un non-dirigente a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, perché nominato in base a leggi dichiarate incostituzionali.
Lo stesso discorso vale nel caso di delega, in quanto se la delega è stata rilasciata da un non-dirigente si rientra sempre in una ipotesi di nullità.
In definitiva, se chi ha sottoscritto l’atto non è dirigente perché la sua nomina era illegittima anche l’atto lo sarà e questo vizio di nullità, tassativamente previsto dalla legge, ha effetti meccanici sulla validità degli atti.
E) LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
In merito al succitato art. 42, commi 1 e 3, la Corte di Cassazione ha correttamente stabilito i seguenti principi.
1) “La dizione letterale, inequivocabile, della norma rende manifestamente inaccettabile la tesi, logicamente principale, della P.A. ricorrente secondo la quale “ai fini della validità dell’accertamento tributario è necessario che sia certa la provenienza dell’atto amministrativo all’ufficio competente essendo indifferente che esso sia sottoscritto dal Capo dell’ufficio o da un soggetto (qualsiasi, comunque) da lui delegato.
Al contrario, sulla base, appunto, della lettera della citata disposizione legislativa, e ribadendo un’enunciazione di principio già ricavabile da Cass., Sez. I civile, sent. n. 6836 del 22/07/1994, deve ritenersi, e statuirsi, che gli accertamenti in discorso sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo.
Inoltre, la validità della delega a tale sottoposto conferita può essere contestata e verificata in sede giurisdizionale, implicando l’indagine e l’accertamento sul tema un controllo non sull’organizzazione interna della P.A. ma sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione” (in tal senso, Cass., Sez. Tributaria, sentenza n. 14195 del 27 ottobre 2000, più volte citata e ripresa in altre sentenze della stessa Corte di Cassazione).
2) “Si osserva che, ai sensi dell’art. 42 cit., commi 1 e 3, l’accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Su tale premessa, se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare, per il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 20, comma 1, lett. a) e b) della legge n. 266/1987, richiamato dall’Amministrazione resistente, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (come la stessa resistente riconosce attraverso l’esplicito richiamo agli ordini di servizio), onde, in caso di contestazione, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, incombe all’Amministrazione dimostrare l’esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega” (in tal senso, Cass. Sez. Tributaria, sentenza n. 14626 del 10 novembre 2000).
F) LE SENTENZE DELLA CORTE DI CASSAZIONE CITATE DALLA SENTENZA N. 37/2015 DELLA CORTE COSTITUZIONALE.
La Corte Costituzionale, nella più volte citata sentenza n. 37/2015, nel censurare le leggi che hanno consentito la possibilità di nominare dirigenti senza concorso, ha, giustamente, rilevato che le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate consentivano la possibilità di ricorrere all’istituto della delega anche a funzionari per l’adozione di atti di competenza dirigenziale e, a tal proposito, cita quattro sentenze della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – , che, secondo l’Amministrazione finanziaria, avrebbero sanato l’illegittimità degli avvisi di accertamento.
Questo non corrisponde al vero perché:
- il rilievo della Corte Costituzionale sta a significare che l’operatività funzionale delle Agenzie delle entrate si poteva salvaguardare con la delega a funzionari non dirigenti, sempre concessa però da dirigenti legittimi, peraltro per un periodo provvisorio, ma non come è stato fatto (e giustamente censurato) nominando direttamente ex lege dirigenti senza concorso;
- in secondo luogo, le sentenze citate, come analizzeremo in seguito, non giustificano affatto avvisi di accertamento firmati (o delegati) da non dirigenti.
1) Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 18515 del 10/06/2010, depositata in cancelleria il 10/08/2010.
Secondo la succitata sentenza, “compete al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le funzioni fondamentali, ovvero ad un impiegato della carriera direttiva da lui delegato nell’esercizio dei poteri organizzativi dell’ufficio, la funzione di sottoscrivere gli avvisi, con i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti, indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto, la cui appartenenza esaurisce i propri effetti nell’ambito del rapporto di servizio con l’Amministrazione”.
Della lettura della suddetta sentenza si rileva che:
- è sempre previsto un ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto;
- in ogni caso, il capo dell’ufficio può anche non rivestire la qualifica dirigenziale ma, come più volte precisato, questo deve essere un caso eccezionale e provvisorio la cui nomina deve avvenire in base all’istituto della delega (come chiarito dalla Corte Costituzionale) e non in base ad una nomina ex lege senza concorso, come nelle ipotesi che stiamo analizzando.
Infatti, è bene più volte precisare e sottolineare che i dirigenti dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale:
- sono stati nominati in base alla legge n. 44/2012, con decorrenza dal 29/04/2012, censurata dalla Corte Costituzionale;
- non c’entra assolutamente il particolare e provvisorio istituto della delega che il capo dell’ufficio, che deve sempre essere un dirigente, può assegnare ad altri dirigenti o funzionari (come previsto dall’art. 5, comma 6, del Regolamento di amministrazione del 27/12/2012, citato in precedenza, peraltro aggiornato proprio il 27/12/2012, dopo la succitata sentenza n. 18515/10, depositata in cancelleria il 10 agosto 2010).
Oltretutto, la succitata sentenza si è limitata a citare soltanto gli artt. 66, 67 e 68 D.Lgs. n. 300/99, già citato, non tenendo conto dello Statuto del 13/12/2000, peraltro aggiornato il 21 marzo 2011 (vedi lett. B, n. 4, del presente articolo), cioè dopo il deposito della sentenza avvenuto il 10 agosto 2010).
2) Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – T – sentenza n. 17400 del 27/09/2012, depositata in cancelleria l’11/10/2012.
La succitata sentenza, correttamente, ha stabilito il seguente principio:
“Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. *****, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui all’art. 20, comma primo, lett. a) e b), del D.P.R. 08 maggio 1987, n. 266, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzare essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio” (in tal senso, Cassazione, Sez. 5 – sentenza n. 14626 del 10/11/2000; Sez. 5 – sentenza n. 14195 del 27/10/2000, in precedenza già citate e commentate).
Tutte le succitate sentenze distinguono correttamente:
- la figura del capo dell’ufficio, che deve sempre essere un dirigente, come più volte dimostrato nel presente scritto;
- la figura del personale appartenente alla nona qualifica funzionale, istituita dall’art. 2 D.L. n. 9 del 28 gennaio 1986, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 78 del 24 marzo 1986, che soltanto in casi eccezionali e ben documentati può espletare le seguenti funzioni (art. 20 D.P.R. n. 266/1987):
a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento;
b) reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare (per un caso analogo si rinvia a Cassazione, sentenza n. 8166 del 06/06/2002).
Di conseguenza, è ulteriormente confermato il principio che il capo dell’ufficio deve sempre essere un dirigente, mentre il funzionario della nona qualifica può provvisoriamente sostituire il dirigente solo in caso di assenza o impedimento del dirigente o può reggere l’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare e, logicamente, tutte queste situazioni eccezionali e temporanee devono essere preventivamente documentate dall’Agenzia delle entrate.
E’ facile, quindi, notare che, al di fuori dei casi di sostituzione e reggenza, gli avvisi di accertamento firmati da non dirigenti, illegittimamente nominati ex lege, sono totalmente nulli.
3) Corte di Cassazione, Sezione Quinta civile, sentenza n. 17044 del 27 aprile 2013, depositata in cancelleria il 10 luglio 2013.
La succitata sentenza prevede due ipotesi.
a) La nullità dell’avviso di accertamento non legittimamente firmato dal capo dell’ufficio e, ovviamente “in caso di contestazione……..incombe all’amministrazione provare l’esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega (Cass., ****., 10 novembre 2000 n. 14626)”. Oltretutto, la citata sentenza richiama la sentenza della Cass. n. 18515/2010, già in precedenza commentata (si rinvia al precedente n. 1).
b) “La legittimazione processuale” dell’ente impositore, poi, non va verificata in base all’art. 42 D.P.R. n. 600 del 1973 ma sulla scorta del (diverso) disposto dettato dall’art. 11 D.Lgs. n. 546 del 1992, sul controllo della cui esatta osservanza non esercita nessuna influenza (l’accertamento della) eventuale carenza di delega del sottoscrittore dell’atto impositivo”. Infatti, le ipotesi di illegittimità dell’avviso di accertamento, per i casi in questione, si devono, logicamente, tenere distinte dalle ipotesi di “legittimazione processuale”, di cui si accennerà in seguito.
4) Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, sentenza n. 220 del 29 ottobre 2013, depositata in cancelleria il 09 gennaio 2014.
La suddetta sentenza:
- richiama l’art. 5 del Regolamento di amministrazione (vedi lett. B, n. 5, del presente scritto), nel senso che gli avvisi di accertamento non devono necessariamente essere firmati dal Direttore Generale ma dai dirigenti delle Direzioni Provinciali (art. 5, comma 5, più volte citato);
- sbaglia quando scrive “l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia, approvato con Delibera del Comitato direttivo 13 dicembre 2000 n. 6, attribuisce al Direttore Generale potere di delega (senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato)” sia perché non tiene conto degli aggiornamenti fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21 marzo 2011 sia perché il citato art. 6 testualmente dispone alla lett. d):
“provvede, nei limiti e con le modalità previsti dalle norme e dai contratti collettivi, alle nomine dei dirigenti sottoponendo quelle relative alle strutture di vertice alla valutazione preventiva del comitato di gestione” (vedi lett. B, n. 4 del presente articolo); quindi, non è vero che lo Statuto dell’Agenzia attribuisce al Direttore Generale potere di delega senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato;
- ammette la possibilità della delega all’interno degli uffici finanziari (Cass., sent. ,. 14815/11);
- ritiene che la provenienza dell’atto dell’ufficio e la sua idoneità ad esprimere la volontà si presume, finchè non sia provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o, comunque, l’usurpazione dei relativi poteri (Cass., sentenza n. 874/09), come nel caso di firma illeggibile.
Infatti, è un’ipotesi totalmente diversa da quella oggetto del presente articolo, quella della firma illeggibile, che la Corte di Cassazione ha ritenuto valida in quanto riferita all’ufficio di provenienza, a meno che non si contesti la riferibilità all’ufficio.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che, quando la firma del sottoscrittore risulta indecifrabile o incompleta, si deve ritenere l’atto emesso da funzionario legittimato ad esprimere la volontà dell’organo, a meno che non si dimostri la non autenticità della sottoscrizione o la insussistenza della legittimazione del sottoscrittore; in tal senso, Cassazione con le seguenti sentenze:
– n. 874/09;
– n. 9673/04;
– n. 10773/06;
– n. 12768/06;
– n. 9600/07.
Pertanto, la citata sentenza della Corte di Cassazione n. 220/14, che peraltro si riferisce al diniego di un condono, non ha assolutamente legittimato la firma di un non dirigente ma ha soltanto ribadito che il Direttore Generale può nominare un delegato ed inoltre la illeggibilità della firma è sempre riferibile all’ufficio di provenienza, a meno che non si contesti la riferibilità stessa.
Per questi motivi, non sono d’accordo con quanto scritto dal dott. ************* (in Il Sole 24 Ore di martedì’ 07 aprile 2015).
G) ONERE DELLA PROVA.
Nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza dell’art. 42 D.P.R. n. 600/73 citato, incombe sempre all’Agenzia delle entrate (e delle altre Agenzie) l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega, legittimamente conferita.
Tale conclusione è effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento.
In tal senso, correttamente, la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, con le seguenti sentenze:
- n. 17400/12, citata;
- n. 14626/00, citata;
- n. 14195/00, citata;
- n. 14942 del 21/12/2012, depositata in cancelleria il 14 giugno 2013.
Inoltre, la Corte di Cassazione, con giurisprudenza costante e consolidata, ha precisato che:
“A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, soltanto per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte” (Cass., ******************************** -, sentenza n. 10513 del 22/02/2008, depositata in cancelleria il 23 aprile 2008).
Si citano, inoltre, le seguenti sentenze della Cassazione sul medesimo principio:
- Sez. 5 – n. 10267 del 16/05/2005;
- Sez. 5 – n. 12262 del 25/05/2007;
- Sez. 5 – n. 2487 del 06/02/2006.
Infine, si ribadisce ancora una volta che tutti i principi esposti nel presente articolo si applicano non solo agli avvisi di accertamento delle imposte dirette ma anche agli avvisi di rettifica e di accertamento dell’IVA, perché l’art. 56 D.P.R. n. 633/72 citato, nel riferirsi al comma 1 ai modi stabiliti per le imposte dirette, richiama implicitamente il D.P.R. n. 600/73 citato e, quindi, anche il più volte citato art. 42 sulla nullità dell’avviso di accertamento, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
In tal senso, si citano le seguenti sentenze della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile:
- n. 10513/08;
- n. 18514/10;
- n. 19379/12;
- n. 14942/13, già citata.
H) IL C.D. “FUNZIONARIO DI FATTO”.
Sulla validità degli avvisi di accertamento sino ad oggi firmati dai non dirigenti la parola d’ordine in Agenzia è quella che i provvedimenti pre sentenza della Corte Costituzionale sono salvi attraverso la figura del c.d. “funzionario di fatto” (articolo di *****************, in Italia Oggi di venerdì 27 marzo 2015).
Ciò non è assolutamente esatto.
L’espressione “funzionario di fatto” viene utilizzata con riferimento a quelle ipotesi in cui l’atto di investitura del titolare dell’organo sia viziato o manchi del tutto (per un utile approfondimento sul tema, si rinvia all’insegnamento di Diritto Amministrativo della Prof.ssa ***********, Università Telematica Pegaso).
E’ costante l’orientamento giurisprudenziale che vede nella tutela della buona fede del privato destinatario il fondamento di salvaguardia dell’atto.
Infatti, occorre precisare che le soluzioni prospettate investono soltanto i casi in cui gli atti adottati dal funzionario di fatto siano favorevoli ai terzi destinatari, e non certo quando siano sfavorevoli, come nel caso in questione.
Infatti, la notifica di un avviso di accertamento firmato da un non dirigente è un atto sfavorevole al contribuente, che ha quindi interesse a contestarlo per farlo dichiarare illegittimo.
Inoltre, ove l’atto di nomina sia stato annullato in sede amministrativa o giurisdizionale, il suo effetto invalidante si ripercuoterà negativamente anche su quello adottato sul suo presupposto, consentendo l’impugnabilità all’interessato senza preclusione.
Sull’argomento, il Consiglio di Stato ha stabilito i seguenti principi.
1) “Il fondamento del principio del funzionario di fatto risiede nell’esigenza di non turbare le posizioni giuridiche acquisite da tutti coloro che in buona fede sono entrati in rapporto con il funzionario e di evitare ai privati continue e difficoltose indagini sulla regolarità della posizione dei pubblici funzionari: pertanto, il fatto in sé dell’avvenuto esercizio del potere non è opponibile con effetto preclusivo al privato che intenda contestarlo” (sentenza n. 6 del 22 maggio 1993).
2) “La teoria che riconosce legittimi gli atti compiuti dal funzionario di fatto si fonda sull’esigenza di garantire i diritti dei terzi che vengono a contatto col funzionario medesimo e si sostanzia, dunque, nella tutela della buona fede del privato; ed in questa prospettiva gli effetti presi in considerazione dalla teoria in esame sono solo quelli favorevoli al privato (Cons. Giust. Reg. Sic. n. 170 del 24/03/1960; C. di S., Sez. V, n. 1160 del 15/12/1962; Sez. IV, n. 145 del 13/04/1949).
3) “Ritiene il Collegio al riguardo che la teoria del funzionario di fatto trova due ordini di limiti:
- l’uno derivante proprio dal fatto che l’interessato insorga negando il potere di chi ha emesso gli atti;
- l’altro proprio dalla tutela della buona fede del terzo, nel senso che detta teoria può essere invocata a vantaggio del terzo, ma non a danno del terzo” (Consiglio di Stato – Sezione 4 -sentenza n. 853 del 20 maggio 1999).
4) “E’ vero che la dichiarazione di ineleggibilità può avere effetto retroattivo, ma ciò non rende ipso facto invalidi gli atti compiuti nel frattempo; si deve, infatti, applicare il principio del “funzionario di fatto” grazie al quale, in linea di massima, gli atti compiuti restano validi, a meno che non siano stati impugnati nelle forme e nei termini dovuti, facendo valere proprio il vizio del difetto di titolo di chi ha agito come funzionario” (Consiglio di Stato, Sezione 3, sentenza n. 6534 del 19 dicembre 2012).
5) In definitiva, l’eventuale eccezione del c.d. “funzionario di fatto” non ha ragion d’essere se il contribuente impugna tempestivamente l’avviso di accertamento illegittimo, facendo rilevare che l’atto è stato emesso a suo danno e non certo a suo vantaggio.
Infatti, la giurisprudenza ha elaborato la regola non scritta secondo la quale gli atti medio tempore posti in essere dal funzionario di fatto vengono comunque imputati all’Amministrazione in virtù del rapporto organico, e si presumono legittimamente assunti. La suddetta regola vale, però, per gli atti favorevoli al privato, per quelli sfavorevoli occorre distinguere tra diverse ipotesi.
Nel caso in cui l’atto sia stato adottato da un soggetto la cui rivestitura risulti viziata ab origine, lo stesso sarà sicuramente invalido (difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies Legge 241/1990).
All’ipotesi del titolo nullo o inefficace va assimilato il caso in cui la nomina sia già stata annullata dall’autorità giudiziaria o dall’amministrazione stessa al momento dell’adozione del provvedimento, posto che anche in questo caso il titolo ha perduto retroattivamente efficacia, per effetto dell’annullamento giurisdizionale, al momento dell’adozione dell’atto lesivo. Anche in questo caso, quindi, non può che applicarsi la soluzione della nullità del provvedimento sfavorevole adottato da un soggetto privo di legittimazione.
In definitiva, quindi, tutti gli avvisi di accertamento firmati da non dirigenti, logicamente se nominati in base alle specifiche norme dichiarate incostituzionali (vedi lett. A del presente articolo), devono essere tempestivamente impugnati alle competenti Commissioni Tributarie per tutti i motivi di diritto esposti nel presente articolo, ribadendo che:
- il capo ufficio deve sempre essere un dirigente , ed in quanto tale deve firmare gli avvisi di accertamento o rilasciare le deleghe (lett. B del presente articolo);
- nella fattispecie, non si può eccepire la tesi del c.d. “funzionario di fatto” perché l’avviso di accertamento è stato emesso e notificato a danno del contribuente, e non certo a suo vantaggio, come dimostrato con le succitate sentenze del Consiglio di Stato.
La sentenza della Corte Costituzionale colpisce la normativa denunziata di incostituzionalità, non anche, direttamente, gli atti amministrativi che formano oggetto del giudizio tuttora pendente davanti al Consiglio di Stato, Sezione Quarta, che, con l’ordinanza del 26 novembre 2013, aveva sollevato la questione di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
In ogni caso, l’esito del giudizio davanti al massimo organo della giurisdizione amministrativa appare, sinceramente, scontato, a meno che il legislatore non intervenga, medio termine, per sanare il passato (come, purtroppo, è abituato a fare, soprattutto nella materia fiscale; basta ricordare la vicenda delle firme delle cartelle esattoriali), anche se, in questo caso, a forte rischio di rinnovata illegittimità (basta leggere i resoconti dei giornali di questi giorni).
E’ apprezzabile e condivisibile, pertanto, l’esortazione del Prof. *************, secondo il quale “i difensori faranno bene a sollevare ogni eccezione ed a formulare i rilievi del caso, facendo richiamo alla pronuncia della Consulta, attivando, quindi, un fermento contestativo, problematico, come sempre, ma seriamente coltivabile e comunque doveroso, sul piano professionale” (articolo pubblicato su Ipsoa Quotidiano del 26 marzo 2015).
Pertanto, non si tratta assolutamente di una lite temeraria, contrariamente a quanto scritto dal dott. ************* (in Il Sole 24 Ore di martedì 07 aprile c.a.).
—–la terza e ultima puntata sarà pubblicata il 16 aprile—-
AVV. ****************
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