Diritti umani nell’era della globalizzazione

INDICE: 1. Introduzione; 2. Nozione della legge dei popoli: John Rawls, giustizia come equità; 3. Giustizia, quale affermazione del diritto; 4. Diritti umani e dignità umana: il concetto di universalità; 5. Definizione di dignità umana nell’epoca della globalizzazione; 6. La dignità e i diritti umani nella visione kantiana; 7. Conclusioni

1.Introduzione

Nell’epoca contemporanea, segnata tra l’altro, dal trionfo della tecnica e da forme sempre più ampie di interdipendenza, i diritti umani si caratterizzano per essere la struttura portante di una moralità, includente l’assunzione di una logica universalistica.

I diritti umani operano come elementi legittimanti l’etica pubblica, partecipando costitutivamente alla affermazione delle organizzazioni gius-politiche.

Essi rappresentano il più rilevante ed accomunante sistema di valori degli ultimi due secoli: tratteggiano, infatti, quegli aspetti costitutivi della dignità umana , rimandando alla dimensione essenziale dello sviluppo della persona, nelle sue esigenze basilari. Sono espressione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre 1948, dalla quale prende avvio quella pratica dei diritti che ha segnato profondamente l’ attuale esperienza giuridica, nazionale ed internazionale.

Possiamo parlare, al riguardo, di un potenziale critico che i diritti umani hanno nei confronti dei modi e delle forme della loro recezione e attuazione. Va ricordato, a questo proposito, che la Dichiarazione non ha una efficacia giuridica diretta. Emerge, quindi, un elemento che contribuisce a definire la dimensione morale dei diritti umani e che si connette a quel senso di validità che li proietta al di là di tutti gli ordinamenti positivi.

I diritti umani sono pretese giustificate, riguardanti tutti gli uomini che richiedono atti di rispetto e di tutela. Una siffatta validità universale, si pone come proprietà che tali diritti condividono con le norme morali, consentendo, inoltre, che il discorso ad essi relativo, esibisca in anticipo «i criteri alla cui luce si possono scoprire e correggere le offese, anche latenti, alla propria pretesa». I diritti umani, così, esprimono una sorta di universale etico, che presenta una tensione tra irrinunciabilità e irrealizzazione.

Una tensione manifestante un paradosso: alla ampia approvazione di cui essi godono, nel panorama etico e politico odierno, corrisponde una loro generalizzata violazione, incrementata da violenze, distruzioni, morte, sfruttamento, ma connessa anche alle strumentalizzazioni, alle applicazioni parziali che ne vengono compiute.

Considerando la società internazionale, i diritti umani, in quanto positivi e riconosciuti ufficialmente, mediante atti giuridici appositi, svolgenti la funzione di essere condizioni necessarie per la legittimità di un regime politico e per l’accettabilità del suo ordinamento, partecipano alla determinazione del criterio normativo-regolativo di una legge dei popoli, che definisce i termini essenziali di una loro equa cooperazione.

2.Nozione della legge dei popoli: John Rawls, giustizia come equità

La nozione di «legge dei popoli» è usata da John Rawls come idea regolativa, connessa al concetto di giustizia, che deve informare i principi e le norme di diritto internazionale e le sue concrete applicazioni, in modo da garantire una base comune per una convivenza a livello planetario tra soggetti liberi ed eguali.

In tal senso impone restrizioni alla sovranità degli Stati e al loro diritto di agire senza condizionamenti esterni nei confronti delle persone che vivono entro i loro confini e nei confronti delle altre organizzazioni statali. Viene individuato un modello di ordine internazionale, che riguarda l’insieme dei principi organizzativi e delle condizioni che assicurano la convivenza, tra diversi soggetti e un certo grado di prevedibilità dei loro comportamenti, mediante la realizzazione di modalità di interazione rispettose di un insieme di regole, la condivisione di certi valori e la collaborazione al funzionamento di determinate istituzioni comuni.

Rawls «costruisce» la legge dei popoli come estensione dei concetti fondamentali della sua concezione della giustizia come equità all’ambito della società internazionale, intesa nel senso di una società politica. La legge dei popoli, infatti, identifica una famiglia di concetti politici informati a principi di giustizia e di bene comune che specificano il contenuto di una concezione del giusto, operante come argomento normativo intorno alla giustificazione e valutazione della sfera pubblica a partire da premesse universalistiche, formulata per poter essere applicata al sistema delle relazioni internazionali.

L’impegno nella procedura di costruzione della legge dei popoli implica che si esplori con altri lo spazio della condivisione politica, assumendo, responsabilità comuni e individuando, attraverso una considerazione riflessiva degli elementi presenti nel contesto politico-giuridico, i criteri di valutazione delle relazioni tra soggetti della comunità planetaria e delle forme istituzionali storicamente realizzate.

Viene assunta, pertanto, l’idea kantiana del dovere politico di uscire dallo stato di natura sottomettendosi, insieme agli altri, al governo di una legge ragionevole e giusta. Ciò richiede un mutamento delle modalità che hanno finora ispirato i rapporti tra i popoli, al fine di definire uno schema mutuamente accettabile e ragionevolmente non rifiutabile che regoli la cooperazione tra società.

In questa prospettiva l’elaborazione di una legge dei popoli si lega alla maturazione di un comune senso del giusto e dell’ingiusto politico ; si richiede il modellamento di istituzioni e trattamenti che minimizzino la sofferenza socialmente evitabile, massimizzando la tutela dei diritti.

Si tratta allora, di operare per la realizzazione dell’ideale cosmopolitico della pace. Nell’età della tecnica, poi, la peculiarità dei fattori della guerra deve indurre a concepire la pace quale processo mirante non solo a prevenire l’uso delle armi, ma anche a implementare i presupposti reali di una pacifica convivenza tra popoli e gruppi, nella direzione di un impegno volto a far sviluppare forme di comunicazione tra esseri umani che condividono un mondo.

I diritti umani, da questo punto di vista, rappresentano delle risorse normative indispensabili. Oggi, si assiste sempre più alla trasformazione della tecnica da «mezzo» a «fine». La tecnica aumenta quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine e ciò determina un mutamento dello scenario.

Non è più il fine a condizionare la ricerca e l’uso dei mezzi tecnici, ma sarà la sempre maggiore disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio di ogni fine che tramite essi può essere raggiunto.

Allora, se il mezzo tecnico è la condizione necessaria per la realizzazione di qualsiasi fine che non può essere raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico, il conseguimento del mezzo diventa il vero fine che tutto subordina a sé. L’esito di tale processo è la assoluta subordinazione dell’agire al fare.

All’agire, come scelta dei fini su cui tutte le etiche dall’inizio della storia si sono costruite, subentra il fare, come mera produzione di risultati che procedono quale esecuzione di operazioni tecniche. L’autonomizzazione dei mezzi, pertanto, conduce al cambiamento della natura stessa dei fini e ciò non può non incidere pesantemente in ogni riflessione sulla guerra.

3.Giustizia, quale affermazione del diritto

Nell’età della tecnica, insomma, non è ammissibile pensare ad un uso giustificato della guerra, compreso quello che la vede strumento di riparazione dei diritti violati. Altre sono le vie da percorrere. Qui gioca un ruolo fondamentale la presa di posizione etica per la giustizia contro la violenza, per l’affermazione del diritto.

Appurato che le forme di garanzia internazionale dei diritti, oggi più progredite, operano là dove sono più avanzate le garanzie nazionali e che i soggetti che avrebbero più bisogno della protezione internazionale sono i cittadini degli Stati non di diritto, lo scopo è quello di realizzare politiche pubbliche ad hoc , affermando il collegamento tra diritti umani, democrazia e pace.

Il riconoscimento e la tutela dei diritti, infatti, stanno alla base degli Stati costituzionali democratici e la pace è il presupposto necessario per l’effettiva protezione di tali diritti dentro le organizzazioni statali e nel sistema internazionale. Si tratta, allora, di far funzionare le tecniche di condizionamento, di pressione e di intervento non violento al fine di modificare la situazione interna degli Stati «fuorilegge», in una direzione che incrementi la partecipazione democratica, l’indipendenza economica, il rispetto dei diritti, la tolleranza culturale.

In questo quadro, i processi di globalizzazione interessano i diritti umani e richiedono un agire cooperativo, capace di attribuire precipuo significato alla formulazione kantiana secondo cui «la violazione del diritto avvenuta in un punto < /I > della terra è avvertita in tutti i punti». Ai diritti umani è ragionevole guardare come all’ultima manifestazione di un’etica universale, che fa emergere l’esigenza della responsabilità degli individui, in quanto membri di una comunità di linguaggio e di cooperazione di estensione mondiale.

Tale, è la condizione di pensabilità di tutte le istituzioni e dei sistemi sociali, costituendo una sorta di meta istituzione primaria, posta alla base di tutte le altre ipotizzabili e che, per molti versi, trova espressione normativa nella «legge dei popoli», poiché schema dei principi giustificativi dell’ordine internazionale, specificanti i termini equi dei rapporti tra soggetti individuali e collettivi, governando i comportamenti reciproci.

4. Diritti umani e dignità umana: il concetto di universalità

Uno dei fenomeni che nelle odierne società, può essere considerato manifestazione della ricerca di una siffatta meta istituzione è la pratica dei diritti umani. Essa, nella propria irrinunciabilità, si sviluppa mediante forme di positivizzazione giuridica , basate sul metodo del bilanciamento dei valori, giustificate dall’esigenza di connettere l’istanza universalistica propria dei diritti, con le particolari situazioni e gli specifici contesti pubblici. Ma, la pratica dei diritti umani è di continuo messa in discussione e si mostra largamente irrealizzata in un processo spesso interrotto da imbarbarimenti, silenzi, sconfitte.

Richiede dunque impegno, vigilanza, capacità progettuale, nella consapevolezza che entro questo orizzonte vanno cercate le risposte relative al modo di vivere nello spazio che il pianeta concede nella stessa misura agli esseri umani.

La dignità umana ed i diritti umani hanno tra loro una relazione indissolubile ed intima, considerato che la dignità dell’uomo costituisce il fondamento dei diritti umani. Infatti, i diritti umani derivano da questa dignità congenita all’uomo, che gli è connaturata in quanto essere umano, che è inviolabile, indivisibile e inalienabile: è il concetto dei diritti che spettano a ciascuno; e che gli spettano per il solo fatto di essere uomo. E’ proprio questo, che rende i diritti umani universali.

Presupposto essenziale ne è lo stato di diritto, poiché i diritti dell’uomo riescono a prosperare soltanto in un contesto di democrazia. Inoltre, possono essere fatti valere soltanto quando sussistono le relative condizioni di base. Lo sviluppo di un ordinamento giuridico efficiente, l’impegno per la separazione dei poteri e la creazione di un sistema giudiziario riconosciuto ed indipendente rappresentano altrettanti compiti politici per tutto il mondo.

Non bisogna però dimenticare, che la libertà dell’uomo è collegata con la responsabilità, ed il principio di solidarietà va di pari passo con il diritto alla compartecipazione : i diritti sociali fondamentali acquistano una nuova dimensione alla luce della globalizzazione. La povertà estrema non è conciliabile con la dignità umana, e ricordare questo fatto appare più attuale che mai in questi tempi, in cui il mercato sembra sciogliersi da ogni sua responsabilità per svilupparsi in maniera del tutto autonoma. In molte nazioni, intere fasce della popolazione sono escluse dal progresso e spinte verso i margini della società, mentre si perde di vista il bene comune. In tempi di globalizzazione, la rivendicazione dei diritti sociali elementari dell’individuo deve più che mai far parte di una politica economica orientata all’uomo.

5.Definizione di dignità umana nell’epoca della globalizzazione

Nel contesto della globalizzazione, il termine responsabilità acquista un significato nuovo e più ampio, nel senso di una responsabilità per il mondo nel suo insieme. La globalizzazione è una sfida per il fondamento di valori. Affinché questa abbia un successo sostenibile, è necessario plasmarla, non soltanto gestirla. Le sue dinamiche hanno bisogno di una cornice etica.

Dignità umana e diritti umani, allora possono servire da bussola. La risposta alla domanda se i diritti umani siano o meno universali, dipende dal punto di vista che si preferisce assumere. Nel momento in cui si assume un punto di vista rigorosamente giuridico, e solo un tale punto di vista, allora la risposta non potrà che essere negativa. Nella sua General Theory of Law and State, Hans Kelsen, il Maestro del positivismo giuridico, prendendo in esame i diritti innati, scriveva così: «Solo in quanto diritto positivo, il diritto naturale è rilevante dal punto di vista giuridico». Questo vuol dire, mettere in evidenza un dato di fatto, e cioè che le valutazioni di ciascun ordinamento giuridico possono differire dalle valutazioni di un altro ordinamento giuridico, anche in materia di diritti umani.

Prendendo ad esempio la pena di morte, la quale va a colpire il fondamentale diritto alla vita. In teoria essa è bandita da tutti i maggiori Protocolli internazionali. In pratica, invece, la pena di morte continua ad essere prevista ed applicata non soltanto all’interno di Stati che danno esecuzione a regole ancestrali di natura religiosa, o di Stati i cui governi non aderiscono a nessuno degli accordi internazionali in materia di diritti umani, ma è prevista ed applicata anche all’interno di una grande democrazia liberale come gli Stati Uniti, un Paese che pure ha inventato la forma più avanzata di costituzionalismo. La conclusione di tutto ciò, tratta da un punto di vista rigorosamente giuridico, è che il confine di ciascuno Stato si pone in mezzo tra i diritti umani come ideale morale, e i diritti umani come diritti nel senso tecnico della parola. La loro universalità resta al di fuori del confine; la loro positività relativa si pone all’interno del confine.

Diversamente, la risposta non potrà che essere affermativa, se si assume il punto di vista prescrittivo. I diritti umani come ideale morale, possiedono infatti un potenziale energetico straordinario. A partire dalla Dichiarazione della Virginia del 1776 e dalla Dichiarazione francese dei Diritti dell’Uomo del 1789 , i diritti umani hanno funzionato come un potente «ideale in marcia» che ha conquistato nel corso del tempo, aree sempre più vaste sul terreno del diritto positivo.

La storia del costituzionalismo non è stata altro, in effetti, che una serie di tentativi rispondere alla sfida dei diritti umani. In secondo luogo, dire «diritti umani» equivale semplicemente a contestare regimi dispotici e violenti che operano nel più assoluto disprezzo della vita, della libertà e della dignità degli individui. Qui, i diritti umani vanno a premere come fattore di indebolimento di quei regimi. In ultimo, l’ideale dei diritti umani «lavora» incessantemente all’interno di ogni sistema democratico.

Il mondo reale è sempre una pallida approssimazione dei nostri ideali. L’atteggiamento di chi sostiene i diritti umani, nel loro valore assoluto, è di operare affinché il dover essere si converta in essere, e dunque affinché anche i confini degli Stati, diventino sempre più permeabili, in attesa di un futuro nel quale possa nascere il «villaggio globale», antico sogno di

Immanuel Kant. Ma quel giorno sembra ancora disperatamente lontano.

6.La dignità e i diritti umani nella visione kantiana

Come afferma lo stesso Kant, nella Metafisica dei costumi, l’uomo non nasce come essere morale, ma possiede la disposizione a diventarlo. La ragione pratica e la sua attitudine normativa non possono perciò essere concepite se non entro le coordinate socio-storiche nelle quali, il soggetto morale tende a formarsi, nel senso di un soggetto aperto ad una esperienza del mondo, nelle cui specifiche condizioni culturali e collettive anche i valori modificano il loro impatto e la loro portata.

La realtà morale si forma dunque, in un processo che è certamente razionale, ma non solo: in quel processo la coscienza umana libera, filtra e rielabora l’insieme dei fattori di condizionamento fattuale e ne trae convincimenti di valore e normativi.

Per questa via, la persona diventa centro di iniziative, di finalità e di determinazione della volontà. E’ innegabile che la riflessione morale kantiana abbia consentito di fare importanti passi avanti. Nonostante la crisi del modello moderno di razionalità, rispetto alle idee di verità e fondazione, molti pensatori vedono in Kant una fonte da cui trarre sempre nuovi sviluppi, a partire sia dal suo principio formale di fondazione della norma, sia delle idee regolative, capaci di offrire la possibilità di misurare alcuni concreti contenuti sul piano etico, giuridico e politico e, di rivalutare l’utilità del disporre di un a priori gnoseologico, come ripreso da Habermas nel programma di una fondazione razionale dei principi e di una norma procedurale discorsiva.

Importanti sono le riflessioni kantiane ampiamente sviluppate, scaturite dal ruolo svolto dal principio di libertà. Un’ampiezza che riporta immediatamente all’antinomia della doppia lettura dell’uomo, che è, per un verso, soggetto appartenente all’ordine della natura, alla necessità e alla causalità cui tutti gli enti di natura sono assoggettati, ma che, per altro verso, è soggetto appartenente all’ordine della libertà, ovvero della moralità. Lo stesso principio di libertà, assunto a fondamento della politica che consente a Kant di giungere alla formulazione di una concezione della cittadinanza, connotante la modernità, e presente tutt’ora nel dibattito su quale forma di cittadinanza risulti più adeguata alla sfida del tempo odierno.

La morale, procede a costruire un ordine razionale che non solo non evade dalla storia né dalla società politica, ma che diventa termine di riferimento e confronto per gli istituti storici del diritto. L’idea kantiana del diritto, pervasa di dover essere, e quindi legata alla tradizione e alla conservazione di tutto quello rintracciabile al suo interno, è tuttavia percorsa dalla volontà di prospettare orizzonti nuovi. Ed’ è proprio la concezione della storia, nel senso di un progresso nel diritto, nella fissazione di norme giuridiche universalmente valide, che attribuisce un senso di avanzamento alla storia stessa. Ma venendo a guardare più da vicino lo sviluppo dell’idea di libertà, nella prima Critica, era stata conferita una definizione trascendentale della libertà, quale idea pura che non contiene nulla di derivato dall’esperienza, come indipendenza del volere del meccanismo causale naturale e capacità di determinarsi per via esclusivamente razionale, si accinge nella seconda Critica verso una congiunzione della libertà trascendentale con la libertà pratica assicurata dalla legge morale.

Il concetto della libertà pratica identifica un puro concetto razionale che non vale come principio costitutivo, bensì solo come principio regolativo, di cui il soggetto conosce a priori la possibilità.

Kant si sforza, allora di esplicitare il rapporto che intercorre fra libertà e legge morale: la prima viene definita ratio essendi della legge morale e questa, a sua volta, ratio cognoscendi della libertà. Successivamente viene approfondito il principio di autonomia del soggetto, quale strumento affinché la libertà sia in grado di autodeterminare la sua volontà. La legge morale è dunque un imperativo che comanda categoricamente, proprio in forza della propria incondizionatezza, e questo comando che la ragione esercita sulla volontà, è il dovere.

Dal dovere morale si passa al piano giuridico attraverso la definizione della responsabilità intesa nel senso di una divergenza fra l’azione e un dato schema legale, nella consapevolezza che l’uomo quale essere libero, può scegliere di compiere anche il male, decidendo cioè in base ad una massima valida solo per sé e no in base alla propria responsabilità universale, ma in questo caso, il suo comportamento dal punto di vista giuridico, sarà punibile. E passando a guardare più da vicino il contesto politico, il principio di libertà, come essenza della morale e del diritto, viene assunto come unico imprescindibile ausilio per consentire agli uomini il passaggio dalla condizione di minorità a quella di soggetto adulto, capace di servirsi in autonomia della propria capacità di orientamento.

Libertà che si esercita operando secondo i propri concetti nella ricerca del proprio bene e non diventando mai mezzo per l’arbitrio di un altro. Proprio l’esercizio del libero arbitrio contro la legge morale, respingendola e agendo in modo antimorale, attesta che l’uomo è un essere giuridicamente responsabile delle proprie azione, e quindi soggetto ad imputazione. Allora, al fine di arginare l’arbitrio illimitato di ciascuno, Kant procede all’elaborazione della dottrina del diritto, analizzando la libertà politica, ovvero la libertà dell’individuo di ricercare la propria idea di felicità, senza però ostacolare l’analoga ricerca da parte degli altri, secondo una legge universale. La libertà politica è quindi contenuta in positivo nella reciprocità giuridica, garantita a tutti membri di una comunità da un sistema pubblico e formale di norme, di ricercare la propria autorealizzazione; e in negativo nella eguale limitazione alle pretese di ciascuno, cosa che solo il diritto può realizzare attraverso la costituzione civile.

Il diritto, svolge infatti, il peculiare carattere di regolatore della universale libertà umana, nonché di base obbligante della convivenza. Ma esso fornisce anche a ciascuno la suprema garanzia e tutela sulla base di un’altra idea regolativa, quella del contratto sociale, vincolante tutti membri che entrano a costituire una comunità e sottoponendoli in misura eguale alla cogenza delle leggi che essi stessi decidono di darsi, dichiarandoli per questo cittadini.

Attraverso il contratto sociale nasce una nuova sovranità testimoniata dalla trasformazione da sudditi del sovrano a cittadini ovvero a sudditi di

una legge uguale per tutti che promana dai cittadini stessi, nasce cioè da un potere legittimato in modo diverso, legittimato dalla procedura che registra almeno in via tendenziale, il consenso di tutti e che diventa più stringente nella formulazione data nelle pagine della Pace perpetua, con il consenso richiesto a tutti, superando la distinzione tra membri attivi e passivi della collettività. In stretta analogia con questo primo passo del diritto statuale interno, Kant delinea i passi successivi: il diritto internazionale e cosmopolitico. In questa ascesa del diritto, la concezione della cittadinanza tende a divenire universale. Essa, è quindi, ordinata a seguire lo sviluppo e le più ampie applicazioni dell’idea del diritto sul piano internazionale e su quello cosmopolitico, ma anche a seguire il dovere che appartiene ai soggetti morali, individui e stati, di operare attivamente per giungere a queste forme più alte del diritto. Kant, tuttavia si rende conto che uno Stato universale avrebbe messo a rischio il pluralismo delle libertà.

L’uomo, la persona libera, deve anzitutto poter convivere con altri soggetti liberi. Ed’ è qui che interviene il sentimento morale del rispetto, che ciascuno in forza della propria dignità di fine in sé esige dagli altri.

L’impostazione moderno-kantiana è confluita nelle società liberali, nelle quali la struttura plurietnica del demos è ormai acquisita una certa flessibilità. Non mancano, comunque, posizioni che rimarcano una incompatibilità crescenti fra diritti di cittadinanza e i cosiddetti diritti cosmopolitici riportabile alla difficoltà di far convivere lo statutus di cittadino con una istanza egualitaria anche moderata. Del resto, è ormai chiaro a tutti quello che Kant scriveva due secoli fa nel progetto relativo alla pace perpetua, ovvero che si è pervenuti a tal segno, che la violazione del diritto avvenuto in punto della terra è avvertita in tutti punti, così, l’idea di una cittadinanza cosmopolitica sembra meno lontana. Si tratta soltanto di non ritenerla impossibile e di lavorare nella sua direzione.

7. Conclusioni

Questa riflessione muove dal convincimento dello stretto e imprescindibile rapporto che lega l’agire dell’uomo nella società-storia e la formazione della norma vincolante quell’agire. La norma, il vincolo etico, sorgono, infatti, anzitutto nei modelli di comportamento che si formano in una comunità, in ordine ai fini della comunità stessa; nel convenire da parte di individui e di gruppi sociali su consuetudini, costumi, usi e in seguito alla loro interiorizzazione in forma di principi; nel riconoscerli come guide per l’agire nella vita associata, nell’assumerli e praticarli come insieme delle regole, delle rappresentazioni dei valori condivisi, che s’intendono porre al centro della vita individuale e sociale; come convincimenti che hanno acquisito validità dall’esperienza storica della persona della sua dignità, dei suoi diritti. Una validità capace di indirizzarsi verso il compimento di quel fine inscritto nella stessa natura dell’uomo, mai raggiunto interamente, seppure conseguito parzialmente, rappresentato dalla sua stessa umanità, i cui contorni sono delineati esclusivamente dalla storia.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

PASTORE, Diritti umani e legge dei popoli in Centro studi per la pace, Ferrara, 26 Maggio 1999.

HABERMAS, Legittimazione tramite diritti umani, in Id., L’inclusione dell’altro. Studi di teorici, politica, Milano, 1988, p. 223.

GALIMBERTI, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Milano, 1999, p. 40.

BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1992, p. 38

KANT, Per la Pace perpetua, in Id. Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, cit., p. 35.

ABMEIER. M. BORCHARD, A. KLEIN, Dignità e diritti dell’uomo nell’era della globalizzazione, in Fondazione Konrad Adenauer, Roma, 13 Febbraio, 2009.

PATRONO, Sono davvero universali i diritti «universali»? (a proposito di migrazioni di massa, fili spinati e transumanze), in Diritti Comparati, Comparare i diritti fondamentali in Europa, Novembre 2015.

Silvia Cortellessa

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