personalità, è da tempo al centro del dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
Il diritto all’oblio appartiene a quella sfera dei “nuovi diritti” che trovano origine nella continua e
inarrestabile crescita delle esigenze di tutela dell’individuo e della propria sfera di personalità. Non
a caso, il contatto con il mondo della rete internet, nonché la necessità di utilizzare strumenti
informatici per ovviare a esigenze di carattere pratico e della vita di relazione hanno comportato
una circolazione necessaria di dati personali, che quotidianamente si immettono in rete per
usufruire dei servizi offerti dai provider.
Internet, del resto, ha completamente rivoluzionato il modo di informare e di essere informati,
nonché le stesse modalità di esercizio della libertà di cui all’art. 21 Cost., mettendo in crisi quel
delicato equilibrio tra tutela della libertà di informazione e garanzia della riservatezza che da sempre
ha rappresentato un difficile banco di prova per gli interpreti. Oggi, infatti, le notizie pur lecitamente
pubblicate all’epoca dei fatti sui quotidiani on line, sono ancora facilmente reperibili tramite l’opera
di indicizzazione eseguita dai motori di ricerca. In altre parole una qualunque notizia, che sarebbe
facilmente caduta nel dimenticatoio o conservata nella memoria storica di qualcuno, può molto più
facilmente essere riletta digitando nell’area del motore di ricerca il nome del soggetto cui la notizia
è legata.
Sul punto, è intervenuta la Corte di Giustizia, CGUE 131/2014, per chiarire se l’attività di
indicizzazione automatica, memorizzazione temporanea e messa a disposizione degli utenti fosse
inquadrabile nel “trattamento dei dati personali” e se i diritti di cancellazione e congelamento dei
dati e il diritto di opposizione al loro trattamento, artt. 12 e 14 Direttiva CE 95/46, implicassero la
possibilità per il danneggiato di rivolgersi ai responsabili dei motori di ricerca per impedire
l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la propria persona.
La Corte di Giustizia, a tal proposito, ha affermato che il motore di ricerca può ritenersi un
“responsabile del trattamento dei dati personali” considerato che il fornitore del servizio in
questione raccoglie e organizza i dati nell’ambito dei suoi programmi di indicizzazione e li conserva.
In altri termini, la Corte, sulla scorta di un ragionamento di stampo pratico, basato sulle modalità di
svolgimento dell’attività in oggetto, ha attribuito al motore di ricerca la qualifica di responsabile del
trattamento dei dati, imponendogli, altresì, il rispetto di diversi obblighi comunitari in materia di
privacy, compresi, implicitamente quelli di informativa e preventivo consenso. Del resto accanto
all’art. 12 della Direttiva, l’art. 14 attribuisce al soggetto di cui si tratta il diritto di opporsi in
qualunque momento, per motivi preminenti e legittimi derivanti dalla sua situazione particolare, al
trattamento di dati che lo riguardano. Dunque, tali articoli devono essere interpretati nel senso che
il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a
seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web
pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale
nome o tali informazioni non vengano previamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò
eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.
Il diritto all’oblio, dunque, non si sostanzia in un diritto ad nutum. Esso, infatti, va ponderato in
ragione delle caratteristiche dei dati, del ruolo pubblico che il soggetto riveste e dell’adeguatezza e
della pertinenza del trattamento dei dati rispetto alle finalità. In altri termini, può essere definito
come il diritto a non restare esposti a tempo indeterminato alle conseguenze dannose che
possono derivare alla propria reputazione da fatti commessi in passato o da vicende nelle quali si è
rimasti in qualche modo coinvolti e che sono divenuti oggetto di cronaca. Il presupposto di questo
diritto, che va raccordato con il diritto di cronaca, va ravvisato nel fatto che un
determinato accadimento può tornare ad essere privato quando perde di qualsiasi utilità per
l’interesse pubblico, essendo stato già conosciuto e assimilato dalla comunità. Quindi, nel momento
in cui l’interesse pubblico alla conoscenza di un determinato fatto viene meno, il nostro
ordinamento deve tornare a garantire pienamente il diritto alla riservatezza e la reputazione dei
soggetti che ne sono stati coinvolti. Tuttavia, ancora oggi il diritto all’oblio non conosce un’espressa
regolamentazione nel nostro ordinamento interno, restando di matrice esclusivamente
giurisprudenziale. Di recente, infatti, è intervenuta la Suprema Corte che, con la sentenza n.
13161/16, ha statuito: “l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la
cancellazione dei dati personali che lo riguardano, senza ingiustificato ritardo. Conseguentemente,
il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare, senza ingiustificato ritardo, i dati personali
quando, per esempio, gli stessi non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati
raccolti o trattati.” (Sulla stessa scorta, anche Cass. Sez. V Pen. 03/08/2017 n° 38747) In definitiva,
è bene ricordare che in caso di violazione del diritto alla riservatezza, è ben possibile richiederne il
risarcimento del danno subito, sia patrimoniale che non, ai sensi dell’art. 15 D.lgs 196/2003 e 2050
c.c.
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