Il diritto ad essere dimenticati su internet: diritto all’oblio e come invocarlo

Introduzione

Nell’era digitale, ciascun utente della rete può facilmente pubblicare notizie, foto, video, audio e, in generale, contenuti digitali che si riferiscono sia all’utente stesso che a terzi soggetti. Può capitare che tali contenuti vengano successivamente ritenuti pregiudizievoli per la reputazione del diretto interessato, oltre che lesivi della sua privacy. A titolo esemplificativo, qualcuno (generalmente un giornale online) può aver pubblicato su un sito internet un articolo nel quale si riferisce di una condanna penale comminata ad una persona, ovvero di una condanna civile di risarcimento danni, o un pignoramento iniziato nei confronti di qualche soggetto. Inoltre, può verificarsi che vengano pubblicati online contenuti multimediali (video, foto etc) suscettibili di dare un’immagine distorta o non più attuale del soggetto cui si riferiscono. Tali dati e notizie, una volta pubblicati online, possono diventare facilmente reperibili da chiunque acceda alla rete, nella misura in cui i predetti contenuti siano rintracciabili e raggiungibili attraverso i classici motori di ricerca (es. “Google”). Ebbene, in queste ipotesi il diretto interessato, onde evitare che notizie ritenute pregiudizievoli ed offensive continuino ad essere di pubblico dominio, può ottenere la rimozione dai motori di ricerca di tutti i link e riferimenti che rimandano ai contenuti online in questione, invocando il cd. “diritto all’oblio”.

Il diritto all’oblio

Il diritto all’oblio è il diritto di ciascun soggetto ad essere “dimenticato”. Esso si attua, in concreto, mediante la rimozione di tutti quei link e riferimenti che rimandano ad un contenuto online ritenuto lesivo. Come accennato, infatti, una notizia o contenuto multimediale presente online diventa facilmente raggiungibile da chiunque acceda ad internet, nel momento in cui tali contenuti risultino visibili mediante i link che compaiono a seguito di una ricerca effettuata online (sempre a titolo esemplificativo, ricerca tramite “Google”). Siffatto meccanismo, in informatica, è chiamato “indicizzazione”, e consente il facile reperimento e raggiungimento di pagine o siti internet presenti nelle banche dati dei motori di ricerca online: è sufficiente inserire alcune parole chiave nell’apposito canale di ricerca affinché tra i risultati compaiano i “link” (= collegamenti) a siti internet e, di conseguenza, ad articoli o contenuti multimediali. Viceversa, il meccanismo che consente la rimozione di tali link dai motori di ricerca e, di conseguenza, l’impossibilità di trovare agevolmente certi contenuti presenti in rete, è definito “deindicizzazione”. Tecnicamente, pertanto, è la cd “deindicizzazione” che consente l’attuazione del diritto all’oblio. E’ bene sottolineare, tuttavia, che la deindicizzazione non equivale ad eliminazione della notizia, dato o contenuto multimediale pregiudizievole dell’interessato a cui quelle informazioni si riferiscono: per eliminare definitivamente un contenuto ritenuto lesivo della propria persona, occorrerà rivolgersi direttamente al titolare del trattamento ovvero al responsabile del trattamento di quel dato e chiederne la cancellazione dal proprio sito internet.

Fonte

Il diritto all’oblio è un diritto di creazione prettamente giurisprudenziale. Esso ha avuto notevole impatto a seguito della nota Sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2014 (v. Corte Giustizia Europea, C-131/12 del 13 maggio 2014), con la quale la Corte ha condannato Google alla deindicizzazione di alcuni siti internet che riportavano notizie lesive della sfera privata e della dignità di un cittadino europeo di origine spagnola. In Italia vi sono state negli ultimi anni diverse sentenze (cfr. Trib. Roma, n. 23771/2015), anche della Suprema Corte (cfr per tutte Cass. Civ., n. 13161/16), che hanno espressamente riconosciuto tale diritto, nonché diverse pronunce favorevoli dello stesso Garante della Privacy italiano. Di particolare interesse una delle ultime pronunce dell’Autorità (v. Provvedimento del 21 dicembre 2017 n. 557 del Garante Privacy), con la quale è stato condannato Google a deindicizzare link non soltanto europei ma anche extra UE, riconoscendo così all’interessato tutela effettiva anche al di fuori dei confini UE.

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Il diritto all’oblio è stato successivamente disciplinato dall’art. 17 del GDPR (Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali), che introduce espressamente il “diritto alla cancellazione (<diritto all’oblio>)”; il citato Regolamento Europeo sarà operativo per tutti gli Stati UE a partire dal 25 maggio 2018.

Come attivarlo

La richiesta di deindicizzazione va rivolta direttamente a Google o ad altro titolare del motore di ricerca da cui si vogliono eliminare i link in questione. Google ha messo a disposizione un modulo online attraverso cui indicare in particolare un indirizzo mail di contatto, il link che s’intende eliminare, la motivazione, e la copia di un documento d’identità del richiedente. Ricevuta la richiesta di deindicizzazione, Google deve obbligatoriamente “lavorarla” ed in tempi brevi.

Per quanto riguarda l’oggetto della richiesta, la giurisprudenza unanime ammette che ciò che tutela il diritto all’oblio è la reputazione e riservatezza dell’interessato (cfr per tutte Cass. Civ., n. 13161/16). Di conseguenza, ogni contenuto lesivo dei predetti diritti può comportare la rimozione tanto di link che rimandano ad una notizia in cui si segnala che a carico dell’interessato alla cancellazione vi sono precedenti giudiziari sia civili che penali (condanne per reato, pignoramenti, vendite all’asta etc.); quanto di link che rimandano a notizie o contenuti multimediali ritenuti offensivi della propria reputazione. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, devono sussistere alcune condizioni affinché il destinatario della richiesta di deindicizzazione possa procedere:

  1. a) bilanciamento tra il diritto (privato) alla reputazione e riservatezza con il diritto di cronaca e l’interesse (pubblico) alla conoscenza di certe informazioni, connesse in special modo con il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica (cfr. Corte Giustizia Europea, C-131/12 del 13 maggio 2014);
  2. b) il o i link di cui si chiede la rimozione devono avere ad oggetto notizie o contenuti risalenti nel tempo. La giurisprudenza non indica un margine di tempo affinché un dato possa definirsi risalente nel tempo, per cui il rispetto di tale condizione appare rimessa alla discrezionalità della società che gestisce i motori di ricerca, e, in caso di attivazione del rimedio giurisdizionale, all’interpretazione del giudice.

Nel caso in cui il destinatario della richiesta di cancellazione rimanga inadempiente, l’interessato può rivolgersi direttamente al Garante della Privacy o all’Autorità Giudiziaria (conf. ancora Trib. Roma, n. 23771/2015).

Avvocato Manuel Mattia

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