Diritto all’alimentazione sana del detenuto: chiarimenti della Cassazione

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23731 del 13 giugno 2024, ha tracciato i confini del diritto all’alimentazione sana del detenuto.

Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 23731 del 13/06/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva respinto il reclamo proposto dal D.A.P. avverso l’ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza, accogliendo il reclamo del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., aveva disposto che l’istituto penitenziario gli consentisse l’acquisto di lievito e farina.
Il D.A.P. aveva giustificato il divieto, esteso a tutti i detenuti, con la potenziale pericolosità della farina che, dispersa nell’aria, a seguito di innesco, può dare vita ad una nube incendiaria o esplosiva, ma il magistrato aveva ritenuto tale affermazione non provata né giustificata in concreto.
Il Tribunale ha comunque giudicato corretto il reclamo del detenuto attenendo esso al diritto dello stesso ad un’alimentazione sana.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso la Casa circondariale di Sassari, il D.A.P. e il Ministero della giustizia affidato a tre motivi: con il primo si deduceva che il Tribunale di sorveglianza ha provveduto in una materia in cui non ha il potere, trattandosi di questione non giurisdizionale ma amministrativa; con il secondo si deduceva la falsa applicazione del principio di non discriminazione, in quanto il divieto in questione è applicato anche ai detenuti comuni; con il terzo motivo, infine, si deduceva la violazione dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. a) e c) ord. pen., in quanto il Tribunale ha erroneamente escluso che il divieto sia fondato su ragioni di sicurezza.

2. Diritto all’alimentazione sana del detenuto: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare fondato il ricorso, premette che il reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b), ord. pen., ammette la tutela delle posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di diritto, incise da condotte dell’amministrazione che violino disposizioni previste dalla legge penitenziaria, e dal relativo regolamento, dalle quali “derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio“.
Viene osservato che il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui è garantita protezione, non va confuso con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione; soltanto la negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell’Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria.
Nello specifico, “il diritto all’alimentazione sana del detenuto rientra in quella posizione giuridica attiva, non riconducibile per effetto della carcerazione e direttamente meritevole di protezione, che è azionabile attraverso lo strumento dell’art. 35-bis ord. pen., ma esso è garantito dalla varietà dei prodotti alimentari acquistabili e dalla loro idoneità a corrispondere ai bisogni nutritivi di un individuo sano, mentre la individuazione dei singoli alimenti attraverso cui deve essere perseguito il diritto all’alimentazione sana costruisce mera modalità dell’esercizio di tale diritto“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel caso in esame, né la farina né il lievito sono assolutamente indispensabili per un’alimentazione sana, che può essere coltivata anche attraverso altri prodotti facenti parte del catalogo approvato dall’istituto penitenziario.
Ad avviso della Corte, “le questioni che attengono alla individuazione dei generi alimentari acquistabili, pertanto, attengono alle modalità di esercizio del diritto alla salute non giustiziabile in sede giurisdizionale e non a quel nucleo intangibile del diritto in sé che permette l’utilizzazione dello strumento dell’art. 35-bis ord. pen.“.
Per questi motivi, la Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata.

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Riccardo Polito

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