Diritto all’oblio: deindicizzazione di notizie datate

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Il Garante per la protezione dei dati personali ha sancito che la persona condannata per fatti commessi 9 anni prima ha diritto alla deindicizzazione delle pagine web che riportano tale notizia nel rispetto del diritto all’oblio.

Per approfondimenti si consiglia: Formulario commentato della privacy

Garante per la protezione dei dati personali – Provvedimento n. 296 del 06/07/2023

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Indice

1. I fatti

Una persona che era stata condannata per alcuni fatti commessi nel 2014 aveva chiesto al Garante per la protezione dei dati personali la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome di 5 URL di siti web che contenevano degli articoli di stampa relativi alle vicende che lo avevano riguardato.
In particolare, detti articoli di stampa riportavano la notizia dell’arresto del reclamante in flagranza di reato per truffa ed estorsione, in quanto aveva sottratto mille uro tramite diversi account falsi creati sulla piattaforma Facebook, nonché per tentata corruzione, in quanto aveva tentato di corrompere il personale di polizia che stava procedendo al suo arresto.
Il reclamante riferiva che detta vicenda aveva avuto luogo nel 2014 ed egli aveva già espiato la pena che gli era stata inflitta all’esito del procedimento penale nei suoi confronti.
Pertanto, secondo il reclamante, non vi era più alcun interesse pubblico alla conoscenza della notizia.
Inoltre, aggiungeva il reclamante, la continua diffusione di tale notizia era per lui fonte di grave danno con riferimento alla sua vita privata, in quanto – proprio in considerazione della reperibilità e della conseguente consultazione sul web delle pagine contenenti le richiamate notizie di stampa – egli aveva subito numerosi rifiuti alle domande di apertura di conti correnti da parte di banche “etiche” nonché alle richieste di prendere in locazione degli immobili.
In considerazione di quanto riferito nel reclamo, il Garante aveva chiesto a Google, quale titolare del trattamento dei dati oggetto di reclamo, di prendere posizione su quanto dedotto dal reclamante e di manifestare la propria disponibilità ad adeguarsi alla richiesta.
Tuttavia, Google riferiva che, con riferimento ai primi 3 URL indicati dal reclamante, le relative pagine web non erano visualizzate tra i risultati di ricerca di Google associati al nome del reclamante e per tale ragione la piattaforma non intendeva aderire alla richiesta di rimozione formulata dal reclamante.
Con riferimento agli altri due URL indicati dal reclamante, Google riteneva di non aderire alla richiesta di rimozione per due ragioni: in primo luogo, in quanto il reclamante non aveva documentato alcunchè in ordine alla cessazione della vicenda giudiziaria che lo aveva riguardato e per tale ragione Google non poteva procedere con il bilanciamento degli interessi in gioco; in secondo luogo, in quanto riteneva ancora sussistente un interesse generale alla reperibilità delle notizie riportate nelle pagine web in questione.
A tale ultimo proposito, Google riferiva che lo stesso Garante privacy, in altri precedenti casi simili, aveva affermato che devono considerarsi recenti e di pubblico interesse notizie risalenti a meno di dieci anni fa (mentre nel caso di specie l’arresto era avvenuto nel 2014) e che nelle linee guida del 2014 del WP29 è consigliato di favorire la deindicizzazione di risultati contenenti notizie relative a reati minori commessi in periodi molto risalenti, ma di valutare con meno favore la deindicizzazione di risultati relativi a reati più gravi commessi in epoca più recente.
A fronte della richiesta del Garante, il reclamante comunicava ulteriori elementi in merito alla sua vicenda processuale e precisamente depositava l’ordinanza di scarcerazione da parte della Procura della Repubblica, avvenuta il 30 aprile 2020.
Nonostante l’integrazione di cui sopra, però, Google confermava la propria decisione di non rimuovere gli URL, in quanto il reclamante era stato condannato nel 2015 (a tre anni di reclusione) e aveva espiato la sua pena soltanto nel 2020.

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2. Diritto all’oblio: le valutazioni del Garante

Preliminarmente, il Garante ha ricordato che il Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (GDPR) trova applicazione anche nei confronti dei trattamenti effettuati da Google, in ragione delle attività svolte dalla medesima in ambito europeo; inoltre, poichè i trattamenti vengono gestiti anche per il territorio UE direttamente da Google (che ha sede negli USA), ciò determina la competenza del Garante italiano a decidere i reclamo proposti con riferimento al proprio territorio nazionale.
Ciò premesso, il Garante ha confermato la legittimità del rifiuto di Google con riferimento ai primi tre URL, in quanto gli stessi non risultano visibili in associazione al nominativo del reclamante.
Invece, con riferimento agli altri due URL, il Garante ha esaminato la sussistenza dei presupposti per esercitare il diritto all’oblio.
In particolare, secondo il Garante, per valutare il suddetto diritto occorre tenere conto non solo del passare del tempo, ma anche di quanto indicato dall’ EDPB nelle recenti linee guida del 2019.
Nel caso di specie, gli URL rinviano a notizie di stampa relative a fatti avvenuti nel 2014, per reati di truffa, estorsione e tentata corruzione, rispetto ai quali il reclamante è stato condannato ed ha espiato la pena nel maggio 2020.
Pertanto, la persistente associazione di tali notizie al nome del reclamante, senza dare conto dell’espiazione della pena, comporta un pregiudizio sulla vita e sull’attività professionale del reclamante, senza che ciò sia giustificato da ragioni di interesse pubblico.

3. La decisione del Garante

In considerazione di quanto sopra, il Garante ha ritenuto fondato il reclamo del reclamante per quanto riguarda la richiesta di rimozione dei due URL dai risultati di ricerca restituiti dal motore di ricerca in associazione al nominativo del reclamante medesimo e conseguentemente ha ingiunto a Google di rimuovere, entro 20 giorni, detti URL dai risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato.
Inoltre, il Garante ha ritenuto che sussistano altresì i presupposti per annotare nel registro interno dell’autorità le misure di cui sopra adottate nei confronti di Google nel caso di specie. Tuttavia, poiché dette misure sono state applicate in considerazione di una valutazione del Garante effettuata sulla base della specificità del caso singolo concreto, il Garante ha ritenuto che dette misure non potranno costituire un precedente nei confronti di Google.
Infine, l’Autorità ha disposto che, in caso di inosservanza da parte di Google all’ingiunzione di cui sopra, potranno trovare applicazione le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal Regolamento europeo per la protezione dei dati personali.

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A cura di Giuseppe Cassano, Enzo Maria Tripodi, Cristian Ercolano | Maggioli Editore 2022

Avv. Muia’ Pier Paolo

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