La nascita del concetto di privacy si fa comunemente risalire al 1890 e alla formulazione, nel “diritto moderno”, del c.d. the right to privacy ad opera dei giuristi Warren e Brandeis.
Per approfondimenti sul tema si consiglia: Compendio breve sulla privacy
Indice
1. La privacy dalla società dell’Antica Grecia alla società feudale
In realtà, la sua creazione ha radici molto più antiche che affondano nell’Antica Grecia. Sergio Niger nell’opera Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla protezione dei dati personali analizza il diritto alla privacy e la sua evoluzione storica partendo proprio dalle consuetudini in uso nella società dell’Antica Grecia in cui i cittadini maschi ritenevano un dovere contribuire alla vita pubblica e allo stesso tempo riconoscevano l’esigenza di costruirsi un luogo privato – una casa – limitatamente alle proprie necessità e ai propri bisogni perché «senza una casa un uomo non poteva partecipare agli affari della città, perchè in essa non aveva un luogo che fosse propriamente suo»[1].
Si passa per il Medioevo, in cui la società era fortemente incardinata attorno al sentimento di fiducia che legava i membri di un gruppo privato: ecco che il significato di privato combacia con quello di familiare, poiché la “vita familiare viene intesa in senso conviviale, ove non vi era spazio per l’individualità”[2]. Almeno fino a che non si generò un senso di intimità: «Questo infatti significava la possibilità di appartarsi a volontà dalla vita e dalle occupazioni in comune con i propri associati. Intimità durante il sonno; intimità durante i pasti; intimità nel rituale religioso e sociale; finalmente, intimità nel pensiero.. questo fatto segna la fine delle reciproche relazioni sociali fra i ranghi superiori e quelli inferiori del regime feudale: relazioni che avevano mitigato la sua oppressione»[3].
Infine fu con il dissolversi della società feudale che si impose in maniera prepotente quel concetto di privacy che più si avvicina al nostro concetto di diritto alla riservatezza; e ciò fu dovuto da un lato all’alfabetizzazione e dall’altro all’affermarsi dello Stato moderno.
2. The right to privacy: “il diritto ad essere lasciati soli”
Era il 1890 quando l’Harvard Law Review pubblicava un saggio intitolato “The Right to Privacy. The Implicit Made Explicit”[4] ad opera di due giovani giuristi statunitensi: Samuel Warren e Louis Brandeis. Ciò che spronò i due giuristi a creare il right to privacy fu il progresso tecnologico: nella seconda metà dell’Ottocento infatti venne perfezionata la stampa a rotativa, che permetteva di stampare numerose copie del giornale in poco tempo e proprio la Evening Gazette di Boston fu una delle prime gazette ad utilizzare la stampa a rotativa con cui pubblicava – come un moderno giornale di gossip – fotografie, scattate a delle feste private della borghesia, unitamente a dettagli riguardanti la vita privata, dando così luogo a delle violazioni della privacy dell’individuo. Tra questi vi era la Signora Warren.
Così dalle indiscrezioni riguardanti la sua vita coniugale, Warren e Brandeis si ritrovarono a ragionare sulla sua intimità violata, sul desiderio di preservarla, sulle informazioni personale che con un semplice scatto diventavano di dominio comune.
Nacque così il “the right to be let alone”: ossia letteralmente il diritto ad essere lasciati soli nella propria sfera privata, a non subire ingerenze nella propria sfera domestica; “nell’esigenza di riservatezza di quei «thoughts, emotions, sentiments and sensations» che già nel 1890 Samuel Warren e Louis Brandeis posero alla base della prima teorizzazione sistematica del right to privacy. Secondo i due autori, la divulgazione indesiderata dei pensieri, degli stati d’animo e dei sentimenti degli individui è suscettibile di provocare a essi notevoli importi di sofferenza ed è perciò «wrongful in itself», ossia indipendentemente dalle conseguenze sulle loro relazioni sociali, sul loro patrimonio o sui loro affari”[5].
3. L’estensione del diritto alla privacy al di fuori del suo campo primigenio
Fu così che la giurisprudenza anglosassone estese la stessa tutela che l’ordinamento apprestava in caso di violazione del domicilio o dei luoghi privati alla tutela della privacy. Il punto di forza del pensiero di Warren e Brandeis fu quello di aver elevato le tutele previste in caso di violazione della proprietà alla tutela del singolo, mettendo al centro l’essere umano e il suo diritto alla tutela della sfera privata da ingerenze esterne.
È solo, però, negli anni Sessanta del secolo scorso che quella privacy plasmata dai due giuristi si affermerà pienamente: una simile sfumatura di privacy, infatti, veniva visto come un’aggressione ai valori fondanti la società americana della fine dell’Ottocento. Nonostante infatti il right to privacy venne riconosciuto da subito in diverse pronunce delle corti americane, veniva data prevalenza alla “tutela dello sfruttamento economico degli attributi della personalità, in maniera coerente proprio con quella concezioneproprietaria oggetto di critica da parte di Warren e Brandeis”[6].
Il profondo cambiamento che investì la società americana, che iniziò negli Trenta e che si concluse negli anni Sessanta, permise finalmente di accogliere il seme impiantato da Warren e Brandeis quasi settant’anni prima. Ciò anche grazie al continuo progresso tecnologico e lo sviluppo degli strumenti di comunicazione di massa porterà a una crescita delle cause relative alla public disclosure of private facts[7].
I motivi, invece, della contrarietà manifestata inizialmente dalla Corte Suprema tra gli anni Trenta e gli inizi degli anni Sessanta erano dovuti alla lotta alla criminalità organizzata, derivante dagli anni del proibizionismo. Cedere spazio all’autonomia individuale e una maggiore affermazione della privacy (con conseguente limitazione di mezzi quali le intercettazioni e le perquisizioni) avrebbe significato un più complesso e difficoltoso controllo sull’ordine pubblico. Superate tali difficoltà, si arriverà solo nel 1965 con il caso Griwold v. Connecticut ad una affermazione delle norme costituzionali teorizzata da Brandeis[8] fino ad arrivare ad una definizione di right to privacy che coprirà tematiche come l’aborto, l’orientamento sessuale, le convinzioni politiche e filosofiche, l’orientamento religioso e rapporti di lavoro.
Note
- [1]
S. Niger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza alla protezione dei dati personali, Padova, 2006, cit., p. 2.
- [2]
F. Fabris, Il diritto alla privacy tra passato, presente e futuro, in Tigor: rivista di scienze della comunicazione, n.2 (luglio-dicembre), 2009, p. 95.
- [3]
L. Mumford, La cultura delle città, trad. it. Di E. e M. Labò, Milano, 1967, p. 53.
- [4]
S. D. WARREN, L. D. BRANDEIS, The Right to Privacy, in Harward Law Review, IV, 1890.
- [5]
G. GOMETZ, La privacy della mente: alcune riflessioni sul rapporto tra protezione dei dati personali e libertà di pensiero, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2020, p.119.
- [6]
A. MANTELERO, Privacy, Contratto e impresa, Vol. 3, 2008, p. 759.
- [7]
Cfr. W.L. PROSSER, Privacy, in California Law Rewiev, vol. 48, 1960, cit., p. 392.
- [8]
Brandeis, infatti divenne giudice della Corte Suprema, e in questa nuova veste offrirà una nuova lettura del right to be let alone, elaborato nel 1890, orientata ai rapporti tra cittadino e pubblici poteri, nel senso di assicurare il diritto ad essere lasciati soli “as against the Government”; cfr. dissenting opinion in Olmstead v. United States, 277 U.S. 438,1928.
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