Diritto alla separazione se la convivenza diventa intollerabile

Redazione 01/02/13

Anna Costagliola

Deve escludersi l’addebito della separazione in capo al coniuge che ha abbandonato la casa familiare a causa della convivenza divenuta intollerabile. E’ quanto affermato dalla prima sezione civile della Cassazione nella sentenza n. 2183 del 30 gennaio scorso, che ha rigettato il ricorso di un marito che reclamava l’addebito a carico della ex moglie, addebito negato dalla Corte d’appello in riforma della sentenza di primo grado.

Richiamando un precedente della stessa Corte di legittimità del 2007 (sent. 3356/2007), gli Ermellini sostengono che è sufficiente la sussistenza di una disaffezione al matrimonio tale da rendere intollerabile la convivenza, anche da parte di uno solo dei coniugi, perché sorga il diritto del medesimo coniuge a richiedere la separazione senza che questa possa essergli addebitata. Invero, nessuno può essere obbligato a mantenere una convivenza che non è più gradita, anzi, in tale evenienza, il disimpegnarsi costituisce un diritto garantito dalla Costituzione e come tale non può essere fonte della riprovazione giuridica sottesa alla causa di addebito.

All’indomani della riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha svincolato la separazione dei coniugi dal presupposto della colpa di uno di essi per ancorarla alla sopravvenuta intollerabilità della prosecuzione della convivenza, quella stessa Cassazione del 2007 richiamata in sentenza proponeva un ampliamento dell’originaria interpretazione, di stampo prettamente oggettivistico, dell’art. 151 c.c. per valorizzare anche elementi di carattere soggettivo. In tale direzione, il diritto alla separazione non si fonda più esclusivamente su fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendono intollerabile la prosecuzione della vita coniugale, ma la «intolletabilità» viene a configurarsi come un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi. Ciò implica che la frattura può dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco anche di uno solo dei coniugi e il giudice, per pronunciare la separazione, è tenuto a verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, l’esistenza di tale condizione di disaffezione tale da rendere incompatibile la convivenza. Ove sia accertata una situazione di intollerabilità anche da parte di un solo coniuge, per la Corte deve ritenersi che questi abbia il diritto di chiedere la separazione, con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio legittimo di un suo diritto, non può costituire ragione di addebito. Nello stadio attuale della società, infatti, il rapporto coniugale va considerato incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascun coniuge.

E’ alla luce dell’iter argomentativo indicato che la Cassazione giunge a rigettare il ricorso proposto, in tal senso avallando l’operato della Corte di merito che aveva accertato una situazione di disaffezione maturata dalla sola moglie anche desumendola da indicative circostanze quali una risalente separazione poi rientrata, indice di rapporti già affannati, ovvero l’aver abbandonato il marito ad un’età ormai avanzata (70 anni), in cui appare più naturale il bisogno di vicinanza e di solidarietà morale e materiale, segno evidente di come l’infelicità del rapporto coniugale avesse superato il limite della tollerabilità.

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