La disciplina sui permessi retribuiti per il diritto allo studio trova la sua fonte normativa di diritto positivo nella Legge Quadro sul pubblico impiego del 29 marzo 1983, n. 93, il cui art. 12 rimanda ad appositi Accordi sindacali intercompartimentali.
Questi ultimi sono stati recepiti dal D.P.R. 23 agosto 1988, n. 395, il cui art. 3, rubricato “diritto allo studio”, detta i principi generali in merito a tale istituto, demandando espressamente alla contrattazione decentrata e di comparto, “ove necessario, ulteriori modalità applicative e/o particolari per la partecipazione e la frequenza ai corsi di cui al presente articolo ed ulteriori discipline per rispondere alle esigenze specifiche dei singoli comparti”.
Per il personale della Polizia di Stato, la normativa speciale di riferimento è riconducibile all’art. 78 del D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782, recante il Regolamento di Servizio dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, il quale contempla, tra l’altro, la previsione di “un periodo annuale complessivo di 150 ore da dedicare alla frequenza dei corsi”.
Conseguentemente il D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 (Recepimento dell’Accordo sindacale per le Forze di Polizia 1998-2001) chiarisce, all’art. 20, che “…ove i corsi richiamati nel predetto articolo non siano attivati nella sede di servizio, il diritto alle 150 ore da dedicare alla frequenza compete anche per i medesimi corsi svolti in altra località. In tal caso i giorni eventualmente necessari per il raggiungimento di tale località ed il rientro in sede sono conteggiati, in ragione di 6 ore per ogni giorno impiegato, nelle 150 ore medesime. Non si applicano i commi 1 e 2 nel caso di iscrizione a corsi universitari o postuniversitari fuori dalla sede di servizio e laddove nella sede di appartenenza siano attivati analoghi corsi, e pertanto il tempo necessario al raggiungimento di tali località ed il rientro in sede non può essere computato nelle 150 ore”.
In merito, la successiva Circolare n. 333.A/9802.B.B.5.5 del 7 aprile 2000 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, esplicativa del predetto D.P.R. 254/99, nel confermare quanto disposto dall’art. 20 citato, chiarisce come “nel caso di iscrizione a corsi universitari o post-universitari fuori dalla sede di servizio e laddove nella sede di appartenenza siano attivati analoghi corsi … il tempo necessario al raggiungimento di tali località ed il rientro in sede non può essere computato nelle 150 ore. In presenza dei presupposti indicati dalla norma, dunque, all’interessato potranno essere concessi soltanto i permessi strettamente correlati alla frequenza del corso, mentre non potrà essere conteggiato nelle 150 ore il tempo impiegato per il raggiungimento della località ove il corso medesimo si svolge ed il rientro in sede: peraltro, per l’effettuazione di tale tragitto, ove necessario, il dipendente potrà eventualmente ricorrere alla disciplina dei permessi brevi di cui all’art. 17 del D.P.R. n. 395/1995, ove sussistano le condizioni di tale istituto; diversamente si dovrà fare ricorso all’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di congedo ordinario”.
Detto orientamento è stato altresì pedissequamente confermato dalla successiva Circolare n. 333-A/9807.F.10 del 2008 del predetto Dipartimento.
Con l’entrata in vigore dell’ultimo Accordo sindacale per le Forze di Polizia 2006-2009, recepito con D.P.R. 16 aprile 2009, n. 51 ed esplicitato con la Circolare n. 333.A/9807.B.7/10079 del 31 dicembre 2009 emanata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza, è stato previsto – innovativamente – all’art. 19, che le 150 ore fruibili tanto per la frequenza dei corsi in argomento, quanto per il tempo necessario al raggiungimento di tali località ed il rientro in sede, possono essere parimenti fruite qualora la sede di frequenza sia ubicata in un comune diverso da quello in cui il dipendente presta servizio, anche se in quest’ultimo siano comunque attivati analoghi corsi.
Peraltro, lo stesso Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nel riscontrare un quesito sulla specifica questione, con provvedimento del 25.02.2008 ha ribadito che “nell’ipotesi di corsi che rientrino nelle fattispecie previste dalla normativa in esame, non attivati nella sede di servizio del dipendente, il tempo occorrente per raggiungere la località ove gli stessi si svolgono, va computato nelle 150 ore, in misura di sei ore per ogni giorno di viaggio. … Non potranno, invece, trovare applicazione le suddette disposizioni nell’ipotesi di partecipazione a corsi fuori sede, laddove corsi analoghi siano attivati nella stessa sede di servizio. In tal caso, per le esigenze di viaggio, si potrà ricorrere alla disciplina dei permessi brevi di cui all’art. 17 del D.P.R. 395/1995, ovvero al congedo ordinario”.
Detto orientamento va adesso coordinato con la novella introdotta dal citato art. 19 del D.P.R. 51/2009, nei termini ut supra esplicitati.
A corollario di ciò, si richiama altresì la recente sentenza del T.A.R. Lombardia – Brescia, Sezione I, n. 97 del 18.02.2008, ove il Collegio rileva che “già il dato testuale dell’art. 20 citato suggerisce un’univoca opzione interpretativa della norma, in quanto il comma 1 afferma chiaramente che il diritto al beneficio spetta altresì ove i corsi non siano attivi presso la sede di servizio, e consente al dipendente di avvalersene anche a copertura delle ore spese per compiere i viaggi di andata e di ritorno dall’ateneo prescelto. Il successivo comma 3, viceversa, regola la diversa ipotesi di corsi attivi anche presso la sede di servizio, ed esclude l’applicazione del comma 1 nella sua ultima parte, statuendo che le “150 ore” non possono essere utilizzate per i tempi di spostamento, ossia per il raggiungimento della facoltà ed il rientro al luogo di lavoro. Ciò si desume chiaramente dalla modalità di costruzione del comma 3 ed in particolare dal collegamento della prima parte della disposizione con la seconda per mezzo della locuzione “e pertanto”…” (conforme, T.A.R. Lazio – Roma, Sezione Prima Ter, n. 8338 del 08.10.2012).
Alla luce di quanto sopra, appare chiaro come le disposizioni surrichiamate e l’orientamento giurisprudenziale non lascino dubbi interpretativi sulle tipologie e modalità che consentono la fruibilità delle 150 ore in argomento, le quali possono essere richieste, oltre che per frequenza dei corsi, anche per il tempo occorrente per raggiungere la sede degli stessi e per ritornare nella propria sede di servizio, ma ciò solamente nel caso in cui dette sedi siano ubicate in comuni diversi, e non già nello stesso comune in cui il dipendente presta servizio. In tale ultima ipotesi, difatti, le disposizioni vigenti facultano il dipendente di avvalersi, per effettuare detto tragitto, dei permessi brevi o del congedo ordinario, ma non delle 150 ore ex art. 78 D.P.R. 782/1985.
Esigenze di ordine pratico, tuttavia, suggerirebbero l’utilizzo delle 150 ore anche per il tempo del viaggio nel caso in cui la sede dei corsi e quella di servizio siano ubicate nello stesso comune, atteso che, specie nelle grandi città, la distanza tra i luogo di lavoro e quello di studio nella stessa città/sede, potrebbe essere maggiore, o temporalmente più elevata in termini di raggiungimento, rispetto alla dislocazione del luogo di studio in sede/città diversa dal luogo di lavoro. In tal caso, però, il carattere vincolante delle disposizioni testé citate non lascia margine alcuno di diversa interpretazione e conseguente applicazione; detta questione, pertanto, andrebbe affrontata de iure condendo e risolta in specifiche sedi, mediante un revirement della contrattazione di comparto e/o della prassi ministeriale.
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