Il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento, nella recentissima sentenza n. 116 del 2012 ha accolto la domanda della Società Alfa & C. S.A.S. che lamentava l’indebita applicazione da parte della Banca … di interessi anatocistici e delle commissioni di massimo scoperto.
Infatti la suddetta sentenza n. 116/2012 del Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Sorrento recita testualmente:
<< … Con atto di citazione notificato il …, la Società Alfa & C. S.A.S., premesso di aver intrattenuto un contratto di conto corrente (n. …) dal 1993 al 1998 presso la Filiale di … del … conveniva in giudizio tale istituto di credito, dinanzi a questo Tribunale,
lamentando l’indebita applicazione di interessi anatocistici, delle commissioni di
massimo scoperto, competenze spese e onorari applicati nel corso dell’intero rapporto e chiedendo accertarsi l’illegittimità di tali addebiti e condannarsi la convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi debitori a tasso
non dovuto e di interessi anatocistici, capitalizzati trimestralmente in violazione del
disposto dell’art. 1283 c.c. .
Instauratosi il contraddittorio, la banca convenuta si costituiva eccependo la nullità ex art. 164 c.p.c. della domanda e la prescrizione dei diritti fatti valere e, nel merito,
contestando la pretesa attorea; concludeva, pertanto, per il rigetto della stessa con vittoria di spese.
Quindi la causa, all’esito dell’istruttoria nel corso della quale veniva prodotta documentazione e disposta c.t.u., sulle conclusioni precisate dalle parti e concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c, era riservata per la decisione.
La domanda è fondata e va, pertanto, accolta.
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità della domanda per indeterminatezza della stessa, dal momento che nell’ atto di citazione è indicato il conto corrente di riferimento e le voci che si assumono illegittime. Pertanto, la domanda è sufficientemente specificata, consentendo alla convenuta, come del resto avvenuto nel
presente giudizio, la piena esplicazione del diritto di difesa.
Va parimenti respinta l’eccezione di prescrizione dell’ azione di ripetizione dell’ indebito sollevata da parte convenuta, sul presupposto che tale prescrizione decorre dall’ annotazione in conto delle relative poste.
Tale tesi è stata di recente definitivamente confutata, con argomentazioni assolutamente condivisibili, dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24418 del 2.12.2010, secondo cui “l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’ atto della chiusura del conto”.
Né a diverse conclusioni conduce la norma di cui all’art. 2, comma 61, della legge n. 10/11, invocata da parte convenuta.
Tale norma prevede che “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall ‘annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’ annotazione stessa”.
Pur dovendosi ritenere la norma evidentemente di interpretazione autentica e pertanto di immediata applicazione anche ai giudizi pendenti, si rileva come ai fini del decorso della prescrizione della domanda di ripetizione la stessa non comporti alcuna conseguenza, dal momento che, come sopra evidenziato, nessun diritto alla ripetizione discende dall’operazione di mera annotazione.
L’eccezione di prescrizione, così come formulata, deve essere dunque rigettata.
In ogni caso, occorre evidenziare che la prescrizione applicabile è quella regolata con termine decennale previsto dall’art. 2946 c.c., e non quello di prescrizione quinquennale. Non può farsi riferimento, infatti, né alla prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno, trattandosi di obbligazione derivante dalla legge (2033 c.c.) e non da obbligazione ex delicto, né a quella quinquennale di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano annualmente o in termini più brevi, non già la restituzione di parte degli stessi in quanto indebitamente corrisposti.
Deve essere, inoltre, disattesa anche l’eccezione di irripetibilità degli interessi corrisposti ex art. 2034 c.c ..
Il pagamento degli interessi passivi addebitati, infatti, non è idoneo a configurare l’adempimento di un’ obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., con conseguente irripetibilità della prestazione degli interessi, non ravvisandosi i presupposti richiesti dalla disposizione citata, vale a dire la “spontaneità della dazione” e il convincimento di eseguire doveri morali o sociali. Nessun adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale può, infatti, rinvenirsi nel comportamento del correntista che abbia versato somme maggiori in pagamento di interessi anatocistici pattuiti in contratto, quindi in adempimento di un’obbligazione giuridica; ancorché in forma invalida e non già di mero dovere morale o sociale. Come evidenziato dalla più autorevole dottrina, tali addebiti si collocano nel quadro di un rapporto economico e di un meccanismo impositivo che vede almeno la passività come una sorta di sostanziale soggezione del cliente, per cui l’acquiescenza del cliente non può essere qualificata come obbligazione naturale, sia per il difetto della spontaneità che della configurabilità di un obbligo morale e sociale.
Per quanto concerne la doglianza relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi – comportante il calcolo degli interessi sugli interessi scaduti – va osservato che la capitalizzazione infrannuale (per solito trimestrale) degli interessi costituisce una forma di anatocismo praticata dalle banche per decenni, sulla base normativa offerta dall’art. 1283 cc. Tale disposizione, invero, prevede che “in mancanza di usi contrari” gli interessi che siano già scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti, però, di interessi dovuti almeno per sei mesi. E la suindicata prassi bancaria aveva più volte superato il vaglio della Suprema Corte, che aveva riconosciuto in essa un vero e
proprio uso normativo, rientrante, pertanto, appieno nel disposto dell’art. 1283 cc. Tuttavia, il suesposto, consolidato, indirizzo giurisprudenziale è stato posto in discussione nel 1999 – in un contesto socio-culturale più attento alla tutela del consumatore – affermandosi, da parte della Suprema Corte, che la prassi bancaria della capitalizzazione periodica degli interessi è riconducibile ad un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.), e non ad un uso normativo (artt. 1 e 8 disp. prel. c.c.), ed è, pertanto, in insanabile contrasto con l’art. 1283 cc (Cass. 1999, n. 2374, Cass. 1999, n. 3096, Cass. 1999, n.12508). Questo indirizzo è stato, poi, successivamente più volte ribadito dalla stessa Corte di Cassazione, tanto da potersi ormai ritenere consolidato ex plurimis, Cass. 2001, n. 6263, Cass. 2002, n. 1281, Cass. 2003, n.12222, Cass. 2003, n.13739).
Il legislatore è intervenuto, quindi, con il d.lg. n. 342/99, il cui art. 25, co. 2° ha inserito nell’art. 120 del t.u. n. 385/93 un nuovo co. 2°, in forza del quale il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) è chiamato a stabilire le modalità ed i criteri per la produzione degli interessi anatocistici, maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria. In particolare, il predetto CICR deve prevedere “in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori”.
L’art. 25, co. 3°, del d.lg. n. 342/99 aveva, altresì, fatta salva – fino all’entrata in vigore della delibera CICR, di cui al co. 2° della stessa norma – la validità e l’efficacia delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, nulle per violazione dell’art. 1283 cc; ma la disposizione in parola è stata, poi, dichiarata illegittima da C. Cost. n. 425/00.
Il CICR ha, intanto, provveduto, con la delibera del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000, ad eseguire le direttive di cui all’art. 25, co. 2° d.lg. 342/99, stabilendo, in particolare, che: l) in tutti i rapporti deve essere indicata la periodicità di capitalizzazione degli interessi; 2) le clausole di capitalizzazione degli interessi devono
essere approvate specificamente per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 cc; 3) nei rapporti di conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi creditori e debitori. Ne consegue che, nel rispetto di tali previsioni contrattuali, dall’1.7.00 – data indicata nella stessa delibera del CICR – la clausola anatocistica deve ritenersi valida.
La nullità delle clausole anatocistiche stipulate prima dell’1.7.2000, per violazione dell’art. 1283 cc, è stata, infine, nuovamente confermata da Cass. S.U. 2004, n. 21095. Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, deve ritenersi, riguardo al caso concreto, che la clausola del contratto n. 7 che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sia affetta da nullità per violazione dell’art. 1283 cc, in adesione alla citata giurisprudenza di legittimità, atteso che il rapporto di conto corrente bancario si è svolto negli anni 1993 -1998 (quindi anteriormente all’1.7.2000).
Né si può sostenere che la sottoscrizione del contratto e la mancata contestazione degli estratti conto precludano la domanda di declaratoria della nullità delle clausole anatocistiche atteso che la sottoscrizione del contratto non supera l’invalidità radicale delle clausole che si pongono contra legem e che la mancata contestazione degli estratti conto non pregiudica l’impugnazione a monte in ordine alla validità ed efficacia dei
rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti nel conto corrente (cfr. Casso 2007, n. 2871).
Ciò posto, è necessario accertare l’entità della somma indebitamente ricevuta dalla Banca che dovrà essere restituita al correnti sta o senza alcuna capitalizzazione degli interessi o secondo un meccanismo di capitalizzazione annuale.
Ritiene questo giudice che la soluzione della capitalizzazione annuale sia (in conformità ad un orientamento giurisprudenziale di merito allo stato prevalente: Trib. Milano 4.7.02, Trib. Roma 8.11.02 e Trib. Torino 14.11.02, in G.Me, 2003, 242; Trib. Roma 28.11.2002 e Trib. Reggio Calabria 28.6.02, G. Me 1003, 901; Trib. Torino 16.12.02,
G.I. 2003, 501) quella preferibile per i seguenti motivi: 1) corrisponde al criterio di capitalizzazione applicato dalla Banca a favore della clientela; 2) tale cadenza di capitalizzazione degli interessi appare conforme alla cadenza temporale “ex lege” degli interessi, ricavabile dal disposto dell’art. 1284 cc 1° comma (il saggio degli interessi
legali è determinato… in ragione di anno); 3) ritenuta nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale per i conti anche saltuariamente a debito, resta comunque operante la clausola uniforme generale, riportata nei contratti bancari, di chiusura al 31 dicembre di ogni anno; 4) l’anatocismo annuale è contemplato anche dalla delibera
ClCR.
Analogo discorso va fatto con riferimento alla commissione di massimo scoperto, dovendosi convenire con quell’indirizzo giurisprudenziale (cfr. Trib. Milano 2002, n. 8896) secondo il quale la clausola relativa va considerata nulla per mancanza di causa nonché per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c., atteso che, nel caso di specie, non è possibile desumere dal contratto di conto corrente le modalità di calcolo della commissione in parola prevedendo il medesimo contratto solo l’aliquota applicata.
Alla luce dei rilievi effettuati deve ritenersi del tutto corretta la capitalizzazione annuale della commissione di massimo scoperto, operata dal c.t.u., allo stesso modo degli interessi passivi.
Pertanto, rilevato che dalla CTU espletata è emerso che, applicando la capitalizzazione annuale, risulta un saldo a credito dell’attrice di euro …, l’istituto di credito convenuto deve essere condannato, ai sensi dell’art. 2033 cc, alla restituzione di tale somma, oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda giudiziale, in difetto di prova della mala fede della banca convenuta.
Le spese processuali e di c.t.u. seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo …>>.
Nel corso del giudizio, la società attrice ha tra l’altro osservato che sulla eccezione di prescrizione sollevata da controparte, con richiamo all’art. 2 comma 61 L. n° 10/11, va precisato che:
A- Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, hanno affermato il principio di diritto per cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta da un correntista contro un intermediario bancario che lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi maturati, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiamo avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Pertanto, soltanto al momento della chiusura del conto sorge il diritto di ripetere ciò che è stato pagato ed inizia a decorrere il termine prescrizionale, con conseguente irrilevanza giuridica della previsione dettata dall’art. 2, comma 61 del Decreto Milleproroghe poi convertito nella Legge 10/2011 facendo riferimento ai diritti nascenti dall’annotazione (tra cui non rientra il diritto alla ripetizione degli interessi indebitamente pagati).
B- La disposizione contenuta nel suddetto art. 2, comma 61, “in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge” ha natura dispositiva e non interpretativa per cui la stessa non può aver effetto che per l’avvenire (coerentemente alla regola generale di cui all’art. 12 delle preleggi del codice civile), con conseguente applicabilità alle sole cause instaurate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, non potendo disporre retroattivamente l’estinzione di un diritto già azionato in giudizio.
In tal senso indichiamo, di seguito, un breve elenco alla data del 07/09/2011 di alcune sentenze di condanna alle banche per anatocismo nonostante il decreto c.d. Milleproroghe, entrato in vigore lo scorso 27/02/2011 e rimesso alla Consulta della Corte Costituzionale da vari Tribunali d’Italia in merito alla norma relativa alla prescrizione sulla capitalizzazione degli interessi.
Ciò ad ulteriore dimostrazione del fatto che i rilievi di incostituzionalità mossi alla controversa norma sono fondati: nell’attesa dei tempi tecnici e burocratici della pronuncia della Corte Costituzionale, correntisti ed imprese vessate dagli interessi illegittimi continuano ad ottenere risultati contro le banche.
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Tribunale di Taranto, Dott. Enrica Di Tursi, Sentenza n. 445 del 03 marzo 2011;
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Tribunale di Palmi, Dott. Dionisio Pantano, Sentenza n. 110 del 04 marzo 2011;
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Corte d’Appello di Ancona, Ordinanza del 03 marzo 2011;
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Tribunale di Treviso, Sezione di Conegliano Veneto Sentenza 1/3/2011;
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Tribunale di Torino, Ordinanza del 18 marzo 2011;
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Tribunale di Viterbo, Sentenza n. 308 del 9 marzo 2011;
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Corte d’Appello Milano Ordinanza 21 marzo 2011;
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Tribunale di Brescia Sent. n. 1010 del 16 marzo 2011;
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Tribunale di Sala Consilina, Sez. SAPRI, Sent. n. 20 del 18 marzo 2011;
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Tribunale di IVREA, marzo 2011;
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Tribunale di Marsala, marzo 2011;
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Tribunale di Napoli, Sez. Frattamaggiore, Sent. del 31 marzo 2011;
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Tribunale di Bari, Sent. 991 del 15 marzo 2011;
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Tribunale di Francavilla Fontana, Dott.ssa Laura Liguori, Ordinanza del 24 marzo 2011;
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Tribunale di Roma, Ordinanza 13 aprile 2011;
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Tribunale di Modena, Sezione Carpi, Sentenza n. 4046 del 28 aprile 2011;
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Tribunale di Taranto, Sez. Grottaglie, Sent. 38 del 2 marzo 2011;
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Tribunale di Teramo, Sent. n. 474 del 20 aprile 2011;
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Tribunale di Palermo, Sez. Bagheria, Dott. M. Ruvolo, Ord. 19 maggio 2011;
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Tribunale di Lucera, Sez. Apricena, Sent. 422/2011;
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Tribunale Busto Arsizio, Sent. 08 aprile 2011, Dott. Passafiume;
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Tribunale di Forlì, Sez. distaccata di Cesena, Ord. 12 maggio 2011, Dott. Vicini;
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Tribunale di Arezzo, Ord. 09 giugno 2011, Dott. Cosimo Crolla;
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Tribunale di Foggia, Ord. 24 maggio 2011, Dott. Paolo Rizzi;
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Tribunale di Castrovillari, Sent. n. 252 del 3 giugno 2011, Dott. Maria Francesca Di Maio;
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Tribunale di Padova, Dott. Zambotto, Sent. 1363 del 10 giugno 2011;
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Appello Bologna, Pres. Pilati, Ord. 28 giugno 2011;
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Tribunale di Catanzaro 6 giugno 2011;
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Corte d’Appello di Venezia, Cons. Daniela Bruni, Ord. 25 luglio 2011, RG 303/2011;
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Tribunale di Latina, Dott. Nocella, Sent. 2019 del 5 luglio 2011;
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Tribunale di Tempio Pausania, Dott. Di Carlo, Sent. 225/2011 del 04 agosto 2011;
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Tribunale di Fabriano, Sent. 228/2011 del 07 settembre 2011;
Vanno ricordate anche alcune delle importanti ordinanze di rimessione alla consulta della Corte Costituzionale:
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Ordinanza del 10 marzo 2011 – Tribunale di Benevento – G.U. Dott. Andrea Loffredo;
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Ordinanza del 10 marzo 2011 – Tribunale di Brindisi, Sezione dist. di OSTUNI – G.U. Dott. Antonio Ivan Natali;
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Ordinanza dell’8 aprile 2011 – Tribunale di Lecce, Sez. distaccata di MAGLIE – G.U. Dott. Angelo Rizzo;
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Ordinanza del 16 maggio 2011 – Tribunale di BARI – G.U. Dott. Valentino Lenoci.
Infatti, ad esempio, il Tribunale di Benevento, nella persona del Dott. Loffredo, con ordinanza del 10/03/2011 nella causa iscritta al n. 2102/2007 R.G.A.C. ha precisato :
“ Invero nella prima parte della impugnata norma il legislatore manifesta apertamente l’intento di attribuire alla stessa natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 2935 codice civile
( “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” ) aggiungendo che ” In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa “.
E’ evidente l’intento e la finalità di consentire l’applicazione retroattiva, e quindi anche ai giudizi pendenti, della norma, alla stregua di ogni vera ed autentica legge di interpretazione autentica.
Orbene le norme interpretative, che il legislatore può adottare quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario di una norma, non possono violare i limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento.
Tra detti principi spiccano il rispetto del principio generale di ragionevolezza, il principio del divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, il principio della tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti per l’effetto nomofilattico delle pronunce della Corte di Cassazione, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto e la non invasione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Nel caso dell’impugnata norma tali limiti risultano platealmente superati, atteso che:
1) non vi era alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente, atteso che sul punto vi era costante ed uniforme giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale ultima peraltro, recentemente, con sentenza a Sezioni Unite n. 24418/10 del 2/12/2010, aveva ribadito quanto sostenuto da anni e cioè che ” Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati “. Relativamente a tale recente decisione, giova precisare che la Suprema corte ebbe a pronunciarsi a Sezioni Unite non per difformità di orientamenti tra diverse Sezioni della stessa, ma unicamente “per la particolare importanza delle questioni sollevate”;
2) da decenni gli esperti di diritto bancario e la stessa giurisprudenza hanno chiarito come sia corretto distinguere gli atti giuridici da cui sorgono diritti di credito dalle semplici operazioni contabili di accreditamento ed addebitamento, le quali si effettuano secondo la tecnica delle scritture e delle registrazioni, per cui l’operazione contabile di accredito o di addebito non corrisponde alla costituzione di crediti o di debiti, ma è semplicemente un modo di rappresentare le modificazioni oggettive e quantitative che subisce un unico rapporto obbligatorio nel corso del suo svolgimento. Ne consegue che durante il corso del rapporto non si attribuisce a nessuno dei due contraenti la veste di debitore o di creditore ma si lascia ciascuna delle parti, fino a completa estinzione del rapporto, nella sua rispettiva posizione originaria. Per tali motivi sia la dottrina che la giurisprudenza hanno sempre ritenuto che i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi che la serie di versamenti, prelievi ed accreditamenti determina solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto. Per cui solo con il conto finale si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti fra di loro e se ne determina l’esigibilità. Ne deriva l’irragionevolezza della norma impugnata, in quanto sotto forma malcelatamente interpretativa, di fatto innova e si scontra non solo con la disciplina normativa e la natura giuridica propria delle operazioni bancarie in conto corrente di cui agli artt. 1852-1857 c.c. ma anche con il principio generale affermato dall’art. 2935 c.c. in tema di decorrenza della prescrizione;
3) le norme sulla prescrizione, pur avendo una natura sostanziale, producono i loro effetti sul piano processuale, atteso che invocando l’effetto estintivo delle stesse è possibile impedire ai titolari di diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria. Ne consegue che, ove l’impugnata norma si applicasse anche per il passato e ai giudizi in corso, si avrebbe non solo una violazione del principio di uguaglianza e un’ingiustificata disparità di trattamento, ma anche una frustrazione dell’articolo 24 della Costituzione, oltre che un’invasione ingiustificata delle prerogative proprie della Magistratura Ordinaria con violazione dell’art. 102 della Costituzione;
4) l’impugnata norma realizza, infine, un’eclatante violazione dei principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese, delle quali ultime intacca la libera iniziativa economica, così violando gli artt. 41 e 47 della Costituzione. La norma in parola, infatti, paradossalmente contenuta in una legge titolata “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie” più che sostenere famiglie ed imprese incide, invece, negativamente sulle legittime aspettative di esse di ottenere in restituzione ingenti somme indebitamente contabilizzate dalla controparte durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e percepite in violazione di norme di ordine pubblico quale il divieto dell’anatocismo e del decorso della prescrizione dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, favorendo così anche condotte dagli effetti tendenzialmente usurari. D’altra parte la norma, di iniziativa governativa ed inserita con un maxi emendamento nel testo di un ennesimo decreto legge c.d. Milleproroghe a pochi giorni dalla scadenza dello stesso e sottoposto a voto di fiducia con consequenziale sostanziale frustrazione del potere del Parlamento di apportarvi delle modifiche ( è noto che molti dei deputati e dei senatori sono avvocati che ben conoscono il contenzioso civile in atto tra banche e correntisti ), pur se definita dai primi commentatori come “legge salva banche”, rischia di pregiudicare irrimediabilmente anche il diritto delle banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo finale di chiusura del conto.
Le considerazioni sopra sviluppate valgono a maggior ragione riguardo alla seconda parte dell’impugnata norma, vale a dire a quella sorta di norma transitoria la quale dispone che “…In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”. Trattasi di norma del tutto assurda ed incomprensibile, la quale, senza null’altro aggiungere e precisare, determina che chi ( anche una banca ) per sua sventura si trovi ad aver versato alla data del 27/2/2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10/2011 ) degli importi a credito in un rapporto regolato in conto corrente non può ottenerli “in ogni caso” in restituzione dal suo debitore.
Da ultimo si ricorda la recente sentenza della S.C. di Cassazione n° 9695 del 3 Maggio 2011 secondo la quale :
“ E’ illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente,se prevista da clausole anatocistiche stipulate prima del d.lg.n° 342/99 e della delibera del CICR prevista dall’art.25 comma 2 di tale decreto, in quanto siffatte clausole,secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e,quindi,sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art.1283 c.c., perché basate su un uso negoziale anziché su di un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba far parte dell’ordinamento giuridico”.
C- In ordine, poi, alla consulenza espletata, va precisato che dopo il deposito della stessa ctu,la convenuta banca ha chiesto al sig.Giudice di richiamare il CTU al fine di esaminare le stesse obiezioni che sono state sollevate nella comparsa conclusionale che qui si impugna e si contesta. Il Ctu richiamato con ordinanza del … , nel dare i chiarimenti, ha, ancora una volta, precisato che ha effettuato la capitalizzazione della commissione di massimo scoperto con cadenza annuale,allo stesso modo degli interessi passivi, in quanto la prima per natura e modalita di calcolo, è da considerarsi assimilabile agli ultimi e ciò in ossequio alle direttive della S.C. di Cassazione come indicato in numerose decisioni.
Del resto che i chiarimenti siano stati esaustivi, precisi e soddisfacenti è confermato dal fatto che il giudizio è proseguito per la precisazione delle conclusioni.
Quindi, se il Giudice avesse accolto le eccezioni di controparte, avrebbe richiamato il CTU indicandogli un altro criterio di calcolo da seguire, ma non l’ha fatto.
In conclusione, il giudizio tra la Società Alfa & C. S.A.S. e la Banca …, avente per oggetto la restituzione di somme indebitamente percepite dalla Banca … a titolo di interessi anatocistici e di commissioni di massimo scoperto, si è concluso con la vittoria dell’attrice Società Alfa & C. S.A.S. e quindi con l’affermazione del principio di diritto, secondo il quale la norma di cui all’art. 2, comma 61 della legge n. 10/2011, ai fini del decorso della prescrizione della domanda di ripetizione, non comporta alcuna conseguenza, dal momento che nessun diritto alla ripetizione discende dall’operazione di mera annotazione in conto.
Di conseguenza, l’eccezione di prescrizione quinquennale deve essere rigettata, atteso che la prescrizione applicabile è quella regolata con termine decennale ex art. 2946 c.c. .
Infatti non si può fare riferimento né alla prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno, trattandosi di obbligazione derivante dalla legge ex art. 2033 c.c. e non da obbligazione ex delicto, né a quella quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c., che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gl’interessi che maturano annualmente o in termini più brevi, non già la restituzione di parte degli stessi, in quanto indebitamente corrisposti.
Inoltre deve essere disattesa anche l’eccezione di irrepetibilità degl’interessi corrisposti ex art. 2034 c.c., atteso che il pagamento degl’interessi passivi addebitati non è idoneo a configurare l’adempimento di un’obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., con conseguente irripetibilità della prestazione degl’interessi, non ravvisandosi i presupposti richiesti dalla disposizione citata, cioè la “spontaneità della dazione” ed il convincimento di eseguire doveri morali o sociali.
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