Sentenza Trib. di Modica dell’8.2.04 in materia di diritto del proprietario di accedere al fondo del vicino ex art. 843 c.c.

Redazione 02/04/04
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MODICA– dott.ssa ************** ha emesso la seguente
SENTENZA NON DEFINTIVA
nella causa civile iscritta al n. 451/2002 R.G., promossa
DA
** e **, entrambi residenti in, elettivamente domiciliati in Modica, presso lo studio dell’avv. ************, che li rappresenta e difende giusta procura in atti
attori
CONTRO
**, elettivamente domiciliato in Ispica, via Adua n. 69, preso lo studio dell’avv. ** Rustico, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti
convenuto
All’udienza del 3.11.2003 le parti precisavano le conclusioni come da verbale in atti ed il Giudice, assegnati i termini di cui all’art. 190 c.p.c., poneva la causa in decisione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 2.5.2002, ** ** e M** ** convenivano in giudizio innanzi a questo Tribunale ** ** ed esponevano:
che essi attori erano proprietari di un immobili adibito a civile abitazione sito in Ispica nel prolungamento di via Basilicata s.n.c. (C.da Cugni o *************), composto nell’insieme da un piano terraneo destinato a rimessa, un primo piano destinato ad abitazione ed un secondo piano, ancora allo stato rustico, anch’esso con funzione abitativa, oltre l’area di pertinenza prospiciente e retrostante la casa;
che quest’ultima confinava, tra l’altro, con proprietà dell’odierno convenuto;
che proprio lungo il confine con la proprietà ** era accaduto che, durante il periodo delle piogge, nella parete del piano terra della casa di parte attrice si verificavano infiltrazioni di acqua;
che la proprietà del convenuto, in adiacenza a quella degli attori, era costituita da una striscia di terreno a fondo naturale su parte della quale poggiava, per metà, il muro comune fungente da recinzione dei due lotti, mentre l’altra metà del muro cadeva su proprietà esclusiva dei coniugi **-**, in aderenza alla loro rimessa;
che era assolutamente necessario per gli attori procedere ad un intervento diretto ad eliminare le infiltrazioni causate dalla mancata impermeabilizzazione del muro comune, mediante riparazione e ricostruzione dello stesso, secondo accorgimenti tecnici specificamente indicati in citazione (e descritti nella perizia stragiudiziale giurata alligata in atti);
che, per eseguire detti lavori, di cui essi attori erano pronti a sostenere le spese in via esclusiva, era necessario accedere al fondo di proprietà del convenuto, il quale, più volte richiesto, aveva negato l’accesso;
che il **, ai sensi dell’art. 843 c.c., era tenuto a consentire detto accesso, nonché il passaggio attraverso il fondo di sua proprietà al fine di riparare e ricostruire il muro in questione, ferma restando la disponibilità degli attori a corrispondergli l’adeguata indennità prevista del comma 2 della citata disposizione codicistica, nell’ipotesi in cui si cagionasse qualche danno alla proprietà dello stesso.
Indi, i coniugi **-** chiedevano al Tribunale di:
“ritenere e dichiarare il diritto degli odierni istanti di accedere al fondo di proprietà del convenuto al fine di eseguire i lavori descritti in premessa e, in conseguenza, condannare il convenuto a consentire il detto accesso e i detti lavori, fatta salva la disponibilità degli odierni istanti di corrispondere la dovuta indennità nella non temuta ipotesi in cui si verificassero danni”.
Con vittoria di spese e compensi.
Con ricorso depositato in data 15.5.2002, i predetti attori agivano ex art. 700 c.p.c., chiedendo che il Tribunale ordinasse in via d’urgenza al convenuto-resistente di consentire l’accesso al proprio fondo per l’esecuzione delle opere, il cui differimento avrebbe determinato un pregiudizio imminente ed irreparabile all’immobile di proprietà dei ricorrenti.
Fissata –ex art. 669sexies c.p.c. – l’udienza di comparizione innanzi al giudice della cautela per il giorno 20.5.2002, si costituiva in detta udienza ** **, depositando apposita meroria, e rilevava:
che, innanzitutto, non ricorreva alcuno dei presupposti per la concessione del provvedimento di cui all’art. 700 c.p.c.;
che, invero, il muro comune di delimitazione dei due fondi, di proprietà rispettivamente delle parti in causa, era stato costruito circa quarant’anni addietro e che alla sommità di esso gli attori avevano “attaccato” i fogli di catrame a tutela del muro della loro costruzione;
che, pertanto, avendo i coniugi **-** addossato la loro costruzione a detto muro di confine, era onere degli stessi adottare gli accorgimenti tecnici idonei ad evitare eventuali infiltrazioni di acqua nell’immobile di loro proprietà;
che, dato lo stato dei luoghi, nessuna infiltrazione poteva provenire dalla proprietà **, ma era sicuramente da ricondurre alla proprietà degli stessi attori;
che l’opposizione, da parte del **, all’accesso al proprio fondo era essenzialemte motivata dal fatto che i lavori che gli attori intendevano eseguire avrebbero comportato, del tutto inammissibilmente, la rimozione del muro comune, sicchè la domanda attorea avrebbe dovuto, più correttamente, essere ricondotta al disposto dell’art. 882 c.c., previo accertamento della necessità delle riparazioni e della ricostruzione del muro comune;
che, soprattutto, detto accesso non poteva consentirsi al fine di permettere, ad opera degli attori, come dagli stessi preannunciato, “l’esecuzione dello scavo di una porzione della striscia di terreno, a fondo naturale (di proprietà esclusiva del **)”, comportando ciò un illegittimo asservimento della proprietà **.
Indi, ** ** chiedeva il rigetto della domanda cautelare d’urgenza proposta dai coniugi **-** nei suoi confronti.
Espletata consulenza tecnica d’ufficio nella fase cautelare, in data 10.11.2002 veniva adottato il richiesto provvedimento d’urgenza, con il quale si ordinava a ** ** “di permettere l’accesso e il passaggio sul suo fondo da parte degli attori e delle maestranze incaricate di eseguire i lavori di rifacimento del muro comune meglio descritti nella relazione di c.t.u., previo conseguimento delle necessarie autorizzazioni di legge, per tutto il tempo necessario al diligente svolgimento dei suddetti lavori e, comunque, non oltre il termine fissato dal provvedimento amministrativo di concessione/autorizzazione edilizia, fatto in ogni caso salvo il diritto all’indennità di cui all’art. 843 c.c. qualora l’accesso provochi dei danni”.
Tale provvedimento veniva successivamente revocato dal Collegio in sede di reclamo, con ordinanza del 10.2.2003.
Nell’ambito del giudizio di merito, la cui prima udienza di trattazione si teneva in data 31.3.2003, il ** contestava ancora le pretese attoree e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna degli attori alla eliminazione delle infiltrazioni cagionate al vano garage di sua proprietà, sito alla fine della propria strabella, dall’acqua utilizzata dai coniugi **-** per l’irrigazione del loro giardino, appoggiato al muro comune.
Con vittoria di spese e compensi.
All’udienza del 3.11.2003 le parti precisavano le conclusioni come da verbale in atti ed il Giudice, assegnati i termini di cui all’art. 190 c.p.c., poneva la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai fini della decisione della presente controversia, giova innanzitutto precisare che questo giudice, chiamato ad esaminare nel merito, con i mezzi della cognizione ordinaria piena, la fondatezza della domanda proposta dagli attori in via cautelare ex art. 700 c.p.c., non è di certo vincolato dalla pronuncia del Collegio che, con ordinanza del 10.2.2003, in sede di reclamo, revocava il provvedimento cautelare concesso dal giudice monocratico in data 10.11.2002.
Com’è noto, il reclamo ai sensi dell’art. 669terdecies c.p.c. si inscrive comunque nel processo cautelare, introducendovi una sorta di doppio grado (sebbene se ne sostenga la natura devolutiva-rescindente), sicchè la pronuncia su di esso non può che rivestire – pur sempre – i caratteri della provvisorietà e della non decisorietà tipici di ogni provvedimento cautelare (v. Cass. 647/2000; Cass. 2942/1999), come tale inidoneo a pregiudicare la valutazione sul merito della controversia, tanto che se ne esclude pacificamente la ricorribilità in Cassazione ex art. 111 Cost..
Ciò posto, la risoluzione della causa implica la definizione della portata interpretativa ed applicativa dell’art. 843 c.c., dovendosi in particolare stabilire se detta norma consenta l’accesso (ove necessario) nel fondo del vicino per demolire e ricostruire, nello stesso sito e a regola d’arte, il muro di confine, fonte di pregiudizio per l’immobile di proprietà esclusiva del richiedente l’accesso, con correlative opere di scavo nel fondo medesimo.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che le condizioni alle quali il codice subordina l’accesso (il cui obbligo di concessione in capo al proprietario vicino si qualifica come obligatio propter rem e non costituisce, invece, oggetto di un correlativo diritto di servitù: v. Cass. 3059/69; Cass. 3909/74; Cass. 3494/75; Cass. 2274/95; Cass. 8544/98; Cass. 10474/98) sono : a) il fine di costruire o riparare un muro od altra opera propria del vicino o comune; b)la necessità dell’accesso per eseguire i lavori.
I giudici di legittimità sono, poi, chiari nell’affermare che “la necessità, di cui all’art. 843 c.c., che subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all’opera da compiere ma all’accesso ed al passaggio” (in termini, Cass. 2274/95 cit.).
Il giudice è in sostanza chiamato a valutare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi motivazionali logico-giuridici, se effettivamente l’accesso al fondo del vicino ed il passaggio attraverso lo stesso costituiscano l’unica soluzione possibile, o comunque quella che consente il raggiungimento dello scopo con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio e sia del proprietario del fondo che deve subirlo.
Appurata l’esistenza di tale requisito, non si richiede che i lavori da eseguire presentino anch’essi il carattere della necessità.
Si discute, tuttavia, sulla tipologia degli stessi e sulla misura in cui essi possano eventualmente comportare una modifica dello stato dei luoghi sul fondo di proprietà del vicino.
Al riguardo, bisogna dare atto che la recente giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla considerazione secondo cui l’art. 843 c.c., in quanto introduce una limitazione legale al diritto di proprietà, è “norma di stretta interpretazione”, come tale non suscettibile di applicazione analogica (art. 14 delle preleggi), ritiene che essa consenta l’accesso al fondo del vicino solo al fine di “riparare” il muro (proprio o, come nelle fattispecie sottoposte all’esame della Suprema Corte,) comune, sicchè sarebbe preclusa la possibilità di “effettuare scavi nel fondo stesso nonché opere concernenti la parte del muro che è al di sotto del piano di campagna” (Cass. 28.8.1998 n. 8544, nonché, nello stesso senso, Cass. 10474/1998 e Cass. 2274/1995). Allo stesso modo parte della giurisprudenza di merito ha escluso che, accedendo al fondo vicino ex art. 843 c.c., possano compiersi in esso lavori di sbancamento (v. Trib. Udine 12.7.1994, in Giur. It. 1995, 828).
Il Collegio, nell’accogliere il reclamo avverso l’ordinanza cautelare del primo giudice, si è uniformato a tale orientamento, atteso che i lavori da eseguire nel fondo di parte convenuta, siccome suggeriti dal c.t.u. ed ordinati da detto giudice, avrebbero comportato, al fine di rimuovere le cause delle infiltrazioni nell’immobile di proprietà attorea, la necess** demolizione del muro di confine e la ricostruzione dello stesso con adeguata impermeabilizzazione, con conseguenti (inevitabili) opere di scavo per realizzare le fondamenta dell’erigendo muro.
Orbene, ritiene questo giudice di non poter condividere tale indirizzo e di dover piuttosto aderire all’opinione formatasi in materia presso la stessa Corte di Cassazione negli anni precedenti alle citate pronunce degli anni ’90.
Con la sentenza 24.11.1974 n. 3909 (in Foro It. 1975, I, 2584), i giudici di legittimità reputavano consentito l’accesso ed il passaggio ex art. 843 c.c. ai fini della “rimozione temporanea d’un muro a secco che, situato nel terreno contiguo, impediva il compimento di opere necessarie a eliminare l’umidità del proprio edificio”.
Tale pronuncia appare estremamente interessante in relazione al caso che ci occupa, non solo e non tanto perché considera ammissibile la demolizione di un muro (che ben può essere il muro di confine, già ammessa da Cass. 4.3.1968 n. 693, in Giust. civ. 1968, I, 1227), quanto soprattutto per il principio da essa espresso.
Si legge, invero, nel corpo motivazionale della sentenza: “(…) il vicino, se non deve trarre alcun utile dall’accesso o dal passaggio (che debbono essere forniti gratuitamente) non deve neppure subire alcun pregiudizio patrimoniale e l’indennizzo deve corrispondere appunto al ristabilimento della situazione precedente l’accesso.
Ma se questa è la finalità dell’indennizzo essa può essere utilmente conseguita anche se colui che entra nel fondo altrui e cagiona un inevitabile danno, ristabilisce con le necessarie opere la situazione esistente prima del suo ingresso.
Non si ha in tal caso un’indebita disposizione di cosa altrui ma l’adempimento di un obbligo di legge e se il ristabilimento della situazione preesistente non sarà completo, ugualmente sarà dovuto un indennizzo”.
Concordando con la decritta conclusione, questo decidente non ravvisa alcun ostacolo giuridico a che parte attrice acceda al fondo del vicino convenuto, una volta che risulti dalla c.t.u. espletata la necessità di tale accesso, al fine di procedere alla demolizione del muro comune ed alla ricostruzione dello stesso dalle fondamenta con idonea impermeabilizzazione, così da arrestare le infiltrazioni d’acqua nell’immobile di proprietà attorea.
Del resto, non ritiene questo giudice che in tal modo si effettui una inammissibile interpretazione analogica di norma eccezionale, da dover giustificare in base ad una lettura in chiave costituzionale della stessa (funzione sociale della proprietà, ex art. 42 Cost.), trattandosi, semmai, di un’interpretazione ‘estensiva’, ammessa anche per le norme eccezionali, dal momento che l’art. 843 c.c., contemplando la possibilità di accesso per “costruire” il muro (proprio o comune), ingloba per ciò stesso la previsione dell’ipotesi del “ricostruire” il muro medesimo: come chiarisce parte autorevole della dottrina, tanto l’opera di costruzione ex novo, quanto quella di ricostruzione importa necess**mente lavori di scavo per la realizzazione delle fondamenta del muro, né può ostare il fatto che la ricostruzione, come tale, presuppone la demolizione, posto che i lavori sono diretti a ripristinare lo stato originario, apportandovi anzi miglioramenti, salva la tutela delle ragioni del proprietario del fondo vicino mediante l’indennità normativamente contemplata.
Alla stregua delle superiori considerazioni, può affermarsi (e confermarsi) la fondatezza nel merito della domanda di parte attrice, attese le risultanze della c.t.u. che, seppure compiuta in fase cautelare, è utilizzabile anche nel giudizio di merito, essendo stata espletata nel rispetto dei requisiti a tal fine prescritti (essenzialmente, compimento della stessa nel contraddittorio delle parti ed esame non meramente sommario della fattispecie).
Dall’elaborato peritale, le cui conclusioni si condividono per precisione e sistematicità, emerge, infatti, sia la necessità dell’accesso al fondo ** (“… la struttura fondale del fabbricato **-**, in cemento armato, ammette definitivi interventi di isolamento termico solo dall’esterno per il motivo che le infiltrazioni umide a piano di garage discendono dalla lenta penetrazione delle acque meteoriche sul viottolo ** e battenti sugli strati esterni e contigui al piano di posa dell’edificio contiguo”, pagg. 6 e 7), sia la necessità delle opere da eseguire sul muro di confine, essendo il cattivo stato di esso causa delle lamentate infiltrazioni, come pure emerge l’esclusione, con ragionevole grado di probabilità, di pregiudizi alla proprietà convenuta (“…l’intervento da eseguire incide soltanto sul muro comune di cinta (…), procedendo prima alla sua demolizione e quindi alla ricostruzione, nonché alla realizzazione di un basamento di fondazione sottomur** (in calcestruzzo e pareggiando l’ingombro con materiale di drenaggio), e preservando in definitiva la viella nella sua naturale morfologia”, pag. 7).
Resta da esaminare la domanda, denominata riconvenzionale da parte convenuta, e volta ad ottenere la condanna degli attori alla eliminazione delle infiltrazioni cagionate al vano garage di sua proprietà, sito alla fine della propria strabella, dall’acqua utilizzata dai coniugi **-** per l’irrigazione del loro giardino, appoggiato al muro comune.
A ben guardare, non sembra di essere di fronte ad una domanda riconvenzionale in senso tecnico, ossia, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., “dipendente dal titolo dedotto in giudizio” con la domanda principale “o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”: essa appare, piuttosto, come una domanda che semplicemente riguarda gli stessi soggetti e presenta contenuto analogo (eliminazione di infiltrazioni) a quello della domanda attorea.
Trattandosi, pertanto, di domanda autonoma, che avrebbe potuto costituire oggetto di un distinto giudizio e che, d’altro canto, non è stata neppure istruita (nessun mandato al riguardo è stato conferito al nominato c.t.u. e, d’altro canto, nell’elaborato peritale – pag. 5 – si riferisce soltanto dell’esistenza di “evidenti larghe chiazze umide causate da adescamento idrico proveniente dalla opposta aiuola **” “sul muro comune, dalla corrispondente parte **”, mentre nulla si dice in ordine all’esistenza di infiltrazioni nel vano garage, pure di seguito menzionato, sebbene solo per la descrizione dei luoghi), ne va dichiarata l’inammissibilità in seno al presente processo.
Per quanto concerne le spese processuali, queste seguono la soccombenza e vanno, pertanto, poste a carico di ** ** nella misura liquidata in dispositivo; a carico del convenuto soccombente vanno poste anche le spese di c.t.u., siccome liquidate in atti.
P.Q.M.
Definitivamente decidendo nella causa civile iscritta al n. 451/2002 R.G.,
ACCOGLIE la domanda proposta da ** ** e ** M** nei confronti di ** ** con citazione notificata in data 2.5.2002 e, per l’effetto, CONDANNA ** ** a permettere l’accesso ed il passaggio sul suo fondo da parte degli attori e delle maestranze incaricate di eseguire i lavori di rifacimento del muro comune meglio descritti nella relazione di c.t.u. in atti, previo conseguimento delle necessarie autorizzazioni di legge, per il tempo strettamente necessario al diligente svolgimento dei suddetti lavori e, comunque, non oltre il termine fissato da provvedimento amministrativo di concessione/autorizzazione edilizia, fatto in ogni caso salvo il diritto all’indennità di cui all’art. 843 c.c. qualora l’accesso provochi danni.
DICHIARA INAMMISSIBILE la domanda proposta da ** ** nei confronti di ******* ** e ** M**.
CONDANNA ** ** alla rifusione, in favore degli attori, delle spese processuali, che liquida in complessivi € 3.694,48, di cui € 2.000,00 per onorari di avvocato, € 1.200,00 per diritti di procuratore, € 340,44 per spese vive ed € 154,04 per rimborso spese generali.
PONE a carico dello stesso ** le spese di consulenza tecnica d’ufficio, siccome liquidate in atti.
Così deciso in Modica in data 8 febbraio 2004.
Il Giudice Unico
dott.ssa **************

Redazione

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