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Il caso
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza della legittimazione[1] e dell’interesse all’accesso di atti della Società Italiana Autori ed Editori (SIAE) da parte dei suoi associati, dell’Associazione per la Tutela degli Utenti, dell’Informazione, della Stampa e del Diritto d’autore e del Codacons.
Nel caso di specie, era stato opposto il diniego, a tali soggetti, all’istanza di accesso agli atti di talune delibere assembleari relative ai procedimenti con cui il consiglio di amministrazione della SIAE aveva disposto di investire importi di notevole entità nell’acquisto di obbligazioni emesse da una società, la “Lehman Brothers”, successivamente sottoposta a procedura concorsuale.
La S.I.A.E., avendo effettuato ingenti investimenti in obbligazioni emesse dalla società Lehman Brothers, subisce un grave danno patrimoniale in conseguenza del fallimento di detta società. Per tutelare le proprie ragioni, Codacons, Associazione degli Utenti ed alcuni associati S.I.A.E., fecero istanza di accesso[2] a delibere assembleari ed altri atti della S.I.A.E. afferenti al crack[3], ma si videro opporsi un diniego[4].
Il diniego de quo era stato impugnato con ricorso dinanzi al T.A.R. Lazio dall’Associazione per la Tutela degli Utenti, dell’Informazione, della Stampa e del Diritto d’autore, da suoi associati, e dal Codacons. Il ricorso era stato dichiarato in parte inammissibile[5] e in parte respinto per carenza di legittimazione attiva ed interesse a ricorrere[6].
I ricorrenti propongono, quindi, appello.
Sulla prima questione la VI Sezione del Consiglio di Stato[7] ha emesso sentenza parziale[8], accogliendo l’impugnazione della statuizione con la quale i primi giudici avevano dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di notifica ai controinteressati.
Per la risoluzione della seconda questione, la Sezione ha contestualmente emesso ordinanza di rimessione della causa all’esame dell’Adunanza Plenaria, n. 677 in data 8 febbraio 2012, per le questioni relative alla “…sussistenza della legittimazione e dell’interesse degli appellanti a proporre il ricorso di primo grado…” e alle “…conseguenze della eventuale riconosciuta ammissibilità della pretesa degli appellanti (qualora l’Adunanza Plenaria ritenga ammissibile anche sotto tale profilo il ricorso di primo grado), poiché essi mirano dichiaratamente ad ottenere copia degli atti posti in essere dalla Siae…ovvero quanto meno per conoscerne gli estremi…”[9].
L’Adunanza è stata, quindi, chiamata a pronunciarsi, nello specifico, sulla legittimazione ad accedere ad atti della SIAE da parte dei suoi associati e da parte del Codacons e dall’Associazione per la Tutela degli Utenti, dell’Informazione, della Stampa e del Diritto d’autore.
Per la risoluzione del quesito la Plenaria conduce un esame preliminare sui requisiti legittimanti la pretesa d’accesso, sottoponendo ad attento vaglio l’ubi consistam delle situazioni soggettive delle due categorie di soggetti istanti (associati S.I.A.E. da un lato, associazioni di categoria dall’altro), per giungere a riconoscere la legittimazione all’accesso nel primo caso ed escluderla nell’altro e, per conseguenza, statuire in punto di ammissibilità del ricorso con riguardo alla sussistenza delle condizioni dell’azione[10].
La chiave di volta del ragionamento portato avanti dal Collegio è costituita dal proprium dell’interesse all’accesso, che la normativa esige “diretto, concreto e attuale” e corrispondente “ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.[11]
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L’istituto del diritto di accesso
L’art. 22 della legge 241/90 definisce l’accesso come “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione di assicurare imparzialità”[12].
Il diritto di accesso è la traduzione più diretta del principio di pubblicità dell’azione amministrativa[13], ribadito come principio fondamentale dell’art. 1 della legge e ormai elevato al rango di principio costituzionale dell’Unione Europea secondo l’articolo 41 Carta dei diritti U.E. Il diritto ad una buona amministrazione comprende infatti il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi, della riservatezza e del segreto professionale.
L’art. 22 designa come interessati ad accedere, “tutti soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi[14], che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale[15], corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Rispetto al testo originario[16], la nuova norma (come modificata dalla legge 15/2005) appare un po’ più restrittiva e fedele agli orientamenti della giurisprudenza, la quale ha più volte affermato che l’interesse giuridicamente rilevante tale da legittimare la richiesta di accesso debba essere “concreto e personale, e cioè immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti nonché direttamente inerente alla situazione da tutelare”[17].
Con detta novella, si è proceduto, di fatto, a modificare i requisiti di legittimazione all’accesso, puntualizzare i connotati dell’interesse dell’istante ed a tradurre in diritto positivo la preclusione di pretese ostensive strumentali al mero controllo del buon andamento dell’attività amministrativa [18].
L’interesse all’accesso, deve pertanto essere valutato in astratto, prescindendo, inoltre, da qualsiasi valutazione della P.A., circa la fondatezza o meritevolezza in merito all’ammissibilità di un’eventuale domanda giudiziale.
Sulla base di tale principio di diritto, la giurisprudenza più di recente ha chiarito come l’interesse ad accedere agli atti è autonomo[19] e indipendente rispetto alla sorte del processo[20], e dell’eventuale infondatezza[21] o inammissibilità del ricorso, una volta conosciuti gli atti oggetto dell’istanza.
Ciò posto, giova soffermarsi sui soggetti legittimati a presentare l’istanza di accesso e i connotati dell’interesse che la giustifica.
L’attuale disposizione normativa parla di soggetti privati per individuare i legittimati attivi. Pertanto, possono presentare l’istanza di accesso tutti i cittadini privati che vengano in contatto con la P.A., che per tutelare un proprio interesse devono necessariamente prendere visione di determinati documenti in possesso dell’ente.
Molto più articolata, e anche interessante, è la precisazione della nuova normativa che riguarda i soggetti portatori di interessi pubblici o diffusi.
Invero, anche con la precedente formulazione della norma la giurisprudenza aveva pacificamente ammesso la legittimazione attiva di enti esponenziali o associazioni portatrici di interessi diffusi[22], cioè di interessi che appartengono ad una pluralità di soggetti[23], unificata in una collettività e che hanno per oggetto beni non suscettibili di appropriazione e godimento esclusivi[24].
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La posizione giuridica delle parti e la loro legittimazione attiva
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 7/2012, applicata sulla fattispecie concreta dell’accesso ai documenti della S.I.A.E.[25] richiesto sia da un singolo associato sia da associazioni portatrici di interessi collettivi o diffusi, enuncia alcuni dei punti fermi a cui è approdato il dibattito sull’accesso ai documenti amministrativi.
La rimessione all’Adunanza Plenaria concerneva: a) la sussistenza della legittimazione e dell’interesse degli appellanti a proporre il ricorso di primo grado; b) le conseguenze della eventuale riconosciuta ammissibilità della pretesa degli appellanti poiché essi miravano dichiaratamente ad ottenere copia degli atti posti in essere dalla S.I.A.E.
Innanzitutto, occorre verificare che, ai fini dell’azionabilità del diritto di accesso[26], sussistano due presupposti (art. 22 ss. l. n.241/1990): l’interesse diretto, concreto e attuale[27], corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata[28] e collegata al documento, non necessariamente ascrivibile alle categorie di “diritto soggettivo”[29] o di “interesse legittimo”, e pur tuttavia rilevante per l’ordinamento giuridico; la natura “accessibile” del documento, ossia l’assenza di un divieto di accesso, previsto dalla legge o dalla stessa p.a., correlato al carattere segreto delle informazioni in esso contenute o pregiudizievole di valori giuridicamente rilevanti, quali riservatezza, buon andamento della p.a., sicurezza e difesa nazionale.
Ciò posto, dalla sentenza de qua, come precisato dall’Adunanza Plenaria, si evince che l’appellante[30] socio o associato S.I.A.E. gode di una posizione differenziata rispetto ad altri soggetti, poiché titolare non solo del diritto alla ripartizione dei diritti di autore, ma anche di “obblighi diversi ed autonomi rispetto a quello di percepire quanto gli è dovuto in qualità di autore o editore” (l’obbligo di versare la quota di iscrizione, l’obbligo di versare i contributi associativi annui, i diritti di segreteria e i rimborsi spese; i diritti di elettorato attivo e passivo, il diritto di partecipare alle commissioni di sezione e ai comitati interdisciplinari, il diritto di fruire delle attività solidaristiche e delle iniziative promozionali di cui agli artt. 20 e 21 dello Statuto dell’ente).
Ciò comporta che il diritto di accesso va riconosciuto all’associato come strumento inerente la complessiva posizione personale di questo all’interno della compagine sociale e non solo in relazione alla ripartizione dei proventi riscossi a titolo di diritti di autore.
In tal senso va, perciò, interpretato l’art. 106, co. 1, del Regolamento Generale S.I.A.E., il quale disciplina il diritto di accesso degli associati in relazione a “dati, informazioni e documenti concernenti la posizione personale dell’associato”.
L’accesso consentito ai soci è perciò funzionale, ad avviso dell’Adunanza Plenaria, al ruolo che ciascuno associato riveste di “membro attivo di quel determinato corpo sociale, al cui funzionamento può cooperare in svariate funzioni, e dal quale è destinato a ricevere una serie di benefici ulteriori rispetto a quali per i quali è richiesta l’iscrizione”, cosicché “è evidente che ai fini della tutela di quella sfera giuridica assuma rilievo essenziale la gestione del patrimonio, che la S.I.A.E. deve utilizzare ‘nell’interesse degli associati”[31] e che al socio debba essere riconosciuto il diritto di accedere a documenti relativi ad atti di gestione del patrimonio e, tra questi, quelli, per l’appunto, inerenti la decisione di porre in essere determinati investimenti finanziari, allorquando in relazione a questi emergano profili di criticità collegabili ad una probabile perdita finanziaria.
Rispetto alla conoscenza di tali documenti, l’associato deve essere considerato soggetto “interessato” ai sensi dell’art. 22, lett. b), l. n. 241/1990, perché titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad un interesse giuridicamente tutelato, a nulla rilevando il fatto che l’associato non possa dimostrare di aver subito alcun danno nell’area della ripartizione del diritti di autore, posto che tale profilo non esaurisce la sfera degli interessi del soggetto medesimo nel rapporto con la S.I.A.E.
Di contro, l’Adunanza Plenaria non ha riconosciuto, invece, la legittimazione all’accesso delle associazioni (Codacons e Associazione per la Tutela degli Utenti dell’Informazione, della Stampa e del Diritto D’Autore) aventi la finalità di tutelare interessi facenti capo ad una vasta ed indifferenziata platea di consumatori e utenti.
Più precisamente, come hanno evidenziato i giudici, per l’esercizio dell’accesso, è necessario che l’istante sia titolare di una posizione rilevante, oltre che giuridicamente tutelata, e che il suo interesse alla richiesta si fondi su tale posizione, sottolineando più specificatamente, in tema di tutela degli interessi diffusi, che è la capacità dell’associazione, o del comitato, di rappresentare tali interessi, che costituisce quel collegamento tra le associazioni stesse ed il bene collettivo che le legittima esercizio[32].
Tale legittimazione[33], nel caso de quo, è stata esclusa in quanto finirebbe per risolversi nell’attribuzione di uno strumento di controllo generalizzato sull’Amministrazione, ricollegabile al generico ed indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità e al buon andamento dell’attività amministrativa.
Sul punto, l’Adunanza Plenaria si è allineata all’orientamento da tempo costante del Consiglio di Stato[34].
Il limite all’accesso, infatti, è stato individuato nella mancanza di un collegamento diretto tra atti richiesti e tutela dell’interesse diffuso: “la titolarità di interessi diffusi[35] non può mai giustificare un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza della documentazione amministrativa inerente a qualsiasi attività pubblicistica che si riverberi economicamente sui cittadini, ma unicamente a quell’attività in grado di conformare direttamente il contenuto del singolo rapporto di utenza”[36].
Le associazioni in questione devono, quindi, fornire alla loro richiesta di accesso un adeguato supporto probatorio (“l’esatta rappresentazione dell’interesse all’accesso costituisce un’indefettibile ed originaria condizione per l’ammissibilità della domanda ostensiva, che è onere di chi presenta l’istanza dedurre e suffragare”) circa l’esistenza, in concreto, “di un bisogno differenziato di conoscenza”[37].
Non deve cioè essere orientato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, in nome di una ‘fantomatica’ rappresentatività degli interessi degli associati, ma occorre piuttosto che ricorra un “effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti che incidono in via diretta e immediata (in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta), e non già in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi collettivi degli associati”[38] .
Infatti, proprio la necessità che vi sia un nesso tra la documentazione alla quale si richiede di accedere e l’interesse di cui il soggetto è il portatore consente di escludere, secondo l’Adunanza Plenaria, che le associazioni, le quali, dal punto di vista statutario, siano portatrici di interessi collettivi o diffusi – l’interesse dei consumatori e degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto d’autore – possano ritenersi legittimate ad accedere a documenti non inerenti lo svolgimento di attività di rilievo pubblicistico (l’attività di intermediazione, di rappresentanza e di cessione di diritti affidate dalla legge alla S.I.A.E. in via esclusiva), ma piuttosto atti di gestione del patrimonio sociale.
Le associazioni sopra citate, non potrebbero, pertanto, ricevere alcun nocumento da decurtazioni del patrimonio dell’ente né giovarsi in alcun modo del recupero di capitali venuti meno per effetto di investimenti pregressi, cui, invece, è legittimamente interessato il singolo associato[39].
Ne consegue che la legittimazione all’accesso a siffatte associazioni[40] presuppone che la documentazione sia utile alla tutela, non già di interessi proprio dei singoli associati, quanto alla salvaguardia dell’interesse proprio e differenziato della categoria rappresentata, in ossequio alle finalità statuarie di tali associazioni.
4. Le decisioni della Plenaria
L’Adunanza Plenaria, nella sentenza in commento, evita di approfondire il tema della natura del diritto di accesso, sul quale, già in una decisione del 2006[41], aveva dichiarato di non volersi esprimere perché la questione non rivestiva alcuna utilità ai fini della decisione della controversia sottoposta, in quella occasione, al suo esame.
Semplicemente ritiene fondata l’impugnazione proposta dagli appellanti in qualità di associati alla S.I.A.E.
L’iter logico seguito dal Collegio prende le mosse da quanto affermato dalla stessa S.I.A.E., ovvero che “l’associato è bensì titolare, nei confronti dell’ente, di una posizione differenziata rispetto al quisque de populo, ma tale qualità lo abilita – al di là degli strumenti rappresentativi di democrazia interna – ad interessarsi alle vicende relative alla gestione dell’ente solo qualora e nei limiti in cui esse riguardino la propria posizione giuridica e ricadano sulla propria sfera di interesse”.
Ma dal momento che tale sfera d’interesse sarebbe, secondo tale opzione ricostruttiva[42], limitata alla ripartizione dei proventi dei diritti d’autore tra gli aventi diritto, a tanto resterebbe circoscritto l’esercizio del diritto d’accesso.
Tuttavia, ad avviso della Plenaria, pare innegabile che anche l’associato che non abbia titolo alla ripartizione di proventi goda pur sempre di una posizione che lo rende titolare di obblighi e diritti diversi ed autonomi rispetto a quello di percepire quanto gli è dovuto i qualità di autore o editore.
Basti citare, quanto ai primi, l’obbligo di versare la quota di iscrizione e i contributi associativi annui, i diritti di segreteria e i rimborsi spese (art. 17 Regolamento generale); quanto ai secondi, le posizioni relative all’elettorato attivo e passivo all’assemblea generale (art. 4 Statuto), alla partecipazione alle commissioni di sezione (art. 124 Regolamento generale) e ai comitati disciplinari (art. 28 Regolamento generale) nonché di fruire delle attività solidaristiche e delle iniziative promozionali (borse di studio, sussidi, incentivi) di cui agli art. 20 e 21 dello Statuto.
In altri termini, la normativa interna della S.I.A.E.[43] conferisce all’associato in quanto tale, un ruolo di membro attivo di quel determinato corpo sociale, al cui funzionamento può cooperare in svariate funzioni, e dal quale è destinato a ricevere una serie di benefici ulteriori rispetto a quelli per i quali si è richiesta l’iscrizione[44].
Ed è anche evidente che ai fini della tutela di quella sfera giuridica assuma rilievo essenziale la gestione del patrimonio, che la S.I.A.E. deve utilizzare per l’assolvimento dei suoi compiti “nell’interesse degli associati”[45].
Da ciò consegue che l’associato è “titolare di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata” e va considerato “interessato” ai fini del diritto d’accesso ex art. 22 comma 1 lett. b della l. 7 agosto 1990 n. 241. Cade, per conseguenza, l’obiezione contraria sollevata dalla S.I.A.E.
Come evidenziato in precedenza, la legittimazione all’accesso va, dunque, riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica.
Infatti, acclarato che l’interesse all’accesso costituisce bene della vita in sé, la sua tutela non necessita della “titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno”, potendo anche esser collegato a situazioni soggettive protette dall’ordinamento “…in misura attenuata”, suscettibili di risentire dal documento effetti anche indiretti[46].
In buona sostanza, al fine di stabilire se sussiste il diritto di accesso ai documenti, occorre avere riguardo al documento cui si intende accedere, per verificarne l’incidenza, anche potenziale, sull’interesse di cui il soggetto è portatore.
La Plenaria, conseguentemente, giudica infondati gli appelli proposti dal Codacons e dall’Associazione per la tutela degli utenti.
Infatti, dalla disamina della normativa di settore[47] e della giurisprudenza
amministrativa sul punto[48], emerge che l’interesse legittimante l’accesso, “…oltre ad essere serio e non emulativo… deve essere personale e concreto”, ovvero “ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico nesso”.
Ciò posto, la titolarità o la rappresentatività di interessi collettivi o diffusi non vale a costituire un potere – comunque privato e perciò estraneo ai circuiti pubblici di rappresentatività e responsabilità – di ispezione sulle pubbliche amministrazioni e non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di qualsivoglia documento riferito all’attività di un’amministrazione, con la conseguenza che “al dispiegarsi del principio di trasparenza occorre, anche per le associazioni rappresentative di interessi collettivi o diffusi, che la richiesta di accesso sia sostenuta da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti, relativi ai servizi rivolti ai consumatori, che incidono in via diretta ed immediata, non in via del tutto ipotetica o riflessa, sui loro interessi”[49].
Pertanto, non è sufficiente il fatto che le associazioni sono, per Statuto, portatrici “di un interesse diffuso o collettivo dei consumatori e degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto d’autore”, in quanto occorre che la conoscenza dei documenti che testimoniano la mala gestio appaia come strumento idoneo a tutelare gli interessi delle relative categorie rappresentate (attraverso eventuali iniziative processuali o stragiudiziali).
Un tale collegamento non è tuttavia ravvisabile nel caso di specie.
Conseguentemente, i supremi Giudici hanno ritenuto che non sussiste il diritto del Codacons e dell’Associazione per la tutela degli utenti dell’informazione, della stampa e del diritto d’autore, di accedere ad atti della S.I.A.E. riguardanti la sua situazione finanziaria[50], atteso che, pur dovendosi riconoscere la legittimazione del Codacons ad esercitare il diritto di accesso ai documenti dell’Amministrazione in relazione ad interessi che pertengono ai consumatori e utenti di pubblici servizi, l’art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241 non ha tuttavia introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sulla Amministrazione, tant’è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla “tutela” di “situazioni giuridicamente rilevanti”.
Posto infatti, che la gestione del patrimonio della S.I.A.E. avviene “nell’interesse dei soli associati”, sono questi ultimi gli unici soggetti in grado tanto di “beneficiare di incrementi patrimoniali”, quanto di “essere esposti a pregiudizi per eventuali perdite”.
Al contrario, nessun pregiudizio può derivare dai cattivi investimenti patrimoniali, né beneficio può conseguire al successivo recupero delle somme, se la pertinenza dell’interesse ad uno specifico soggetto venga a sfumare in un evanescente riferimento alla “vasta ed indifferenziata platea di consumatori e utenti ”.
5. Conclusioni
Le precisazioni della Plenaria sul contenuto ed i limiti del diritto d’accesso sono coerenti con un istituto che, per essere in costante tensione fra opposte esigenze[51], manifesta la sua natura multiforme, e in qualche modo compromissoria[52] .
Come evidenziato, l’accesso è garantito solo ed esclusivamente se funzionale alla cura di un interesse giuridicamente rilevante dell’istante[53].
Infatti, in ogni caso, conclude l’articolo 24, comma 7, Legge n. 241/90, deve comunque “essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”.
A tal proposito, il “documento amministrativo” si connota per il fatto di concernere attività di pubblico interesse, cosicché alcuni documenti rappresentativi di atti di diritto privato (il contratto d’appalto stipulato tra la stazione committente e il vincitore della procedura di gara; contratti finanziari stipulati da enti detentori di pubblici servizi; gli atti di gestione del personale formati dalla p.a. come privato datore di lavoro, ai sensi del libro V del codice civile), possono assumere la suddetta connotazione amministrativa, pubblicistica, necessaria agli effetti dell’accesso, “se e solo se” chi domanda l’accesso faccia valere un interesse che mette in questione l’imparzialità dell’agire della p.a.; “se e solo se” chi domanda l’accesso, in altri termini, invochi (sia pur indirettamente e sostanzialmente) la “copertura” dell’art. 97 Cost. e i principi di imparzialità e legalità in esso inscritti[54].
Diversamente opinando, sarebbe violata la funzione stessa dell’istituto, che verrebbe ad essere “piegato” a fini di precostituzione della prova per una successiva lite giudiziaria con l’Amministrazione.
L’istituto dell’accesso non può essere, pertanto, disancorato dalla sua originaria funzione di strumento di verifica della correttezza e del buon andamento[55] della funzione pubblica da parte di un soggetto interessato, per renderlo un puro e semplice mezzo “precontenzioso” preparatorio di una successiva controversia con l’Amministrazione, tanto più che sia nell’ambito di rapporti paritetici o privatistici sia nell’ambito dei rapporti di impronta pubblicistica, secondo lo stampo del nuovo processo amministrativo, la posizione delle parti processuali in sede contenziosa, anche quando una di esse sia una pubblica amministrazione, è, ormai, di tendenziale equilibrio[56].
Ciò posto, se richieste astratte, emulative o di mera curiosità contrastano senz’altro col buon andamento dell’Amministrazione, l’attuale più restrittiva formulazione[57] conforma tuttavia un diritto d’accesso “…in evidente disarmonia con la disciplina comunitaria e con la normativa di altri paesi europei”[58], che solo in parte può trovare giustificazione in una logica di contemperamento fra valori confliggenti[59], quando, col limitare in modo “significativo” l’esercizio del controllo democratico dei cittadini sull’operato dei soggetti pubblici, possa arrivare ad “…incidere negativamente sul conseguimento dell’obiettivo della trasparenza amministrativa”[60].
La formulazione dell’art. 22 legge 241/90, pur traducendo in sostanza buona parte degli orientamenti giurisprudenziali, appare “potenzialmente più restrittiva”, con riferimento alla valutazione relativa alla concretezza ed all’attualità dell’interesse[61].
Di conseguenza, l’attribuzione del diritto di accesso ai soli titolari di situazioni giuridicamente tutelate limita in modo significativo, nonostante gli sforzi estensivi della giurisprudenza, la “democraticità” del controllo e in ultima analisi la piena attuazione del principio della trasparenza[62].
Resta tuttavia irrinunciabile, onde prevenire la paralisi dell’attività e degli uffici delle pubbliche amministrazioni subissate da innumerevoli richieste, la necessità di ancorare l’esercizio di tale diritto ad un interesse che sia personale, attuale, concreto, serio, non emulativo e non riconducibile a mera curiosità.
Occorre inoltre considerare che l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi può determinare un vulnus al diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti nel documento, diritto anch’esso costituzionalmente tutelato (art. 2 Cost.), e che l’esigenza di tutela della privacy negli ultimi anni è divenuta in generale via via più sentita all’interno della nostra società.
È quindi da accogliere con favore il tentativo del legislatore di fornire, seppur cristallizzando di fatto dei precedenti orientamenti giurisprudenziali, all’amministrazione ed al giudice un parametro legale di riferimento nel difficile bilanciamento dei contrapposti interessi alla conoscenza ed alla riservatezza, prevedendo che nel caso di documenti contenenti dati sensibili o giudiziari relativi a terzi l’accesso vada concesso “nei limiti in cui sia strettamente indispensabile, e nei termini previsti dall’art. 60 del Codice della privacy”, ovvero tenendo conto, nel caso concreto, del rango degli interessi contrapposti, nel caso di documenti contenenti dati ultrasensibili (salute, vita sessuale, dati genetici)[63].
All’accesso viene comunque riconosciuta una generale preminenza qualora esso sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici (art. 24, c. 7).
Si è tuttavia evidenziato in dottrina che “per quanto riguarda la trasparenza amministrativa, si è persa l’occasione di passare dal diritto d’accesso ai documenti alla pubblicità delle informazioni”[64] come è avvenuto ad esempio negli ordinamenti anglosassoni (USA e Regno Unito) e scandinavi dove sono state introdotte discipline che tutelano la libertà di informazione nell’ottica dell’open government, e cioè della massima pubblicità delle informazioni.
E questo perchè non va dimenticato che l’accesso è in sostanza “un’arma: e come tutte le armi può essere usata per un fine personale (di tutela dei propri interessi giuridici) coincidente con il suo fine istituzionale (contribuire ad aumentare il tasso di democrazia reale all’interno di un determinato aggregato sociale, come in sostanza prevede l’art. 22, c. 2, della legge n. 241/1990); ma può anche essere usata per un fine personale (raccolta di notizie altrui per motivi che possono spaziare dal gossip allo spionaggio ed al ricatto, come non di rado accade in pratica) non coincidente con il suo fine istituzionale”[65].
Ora in quegli ordinamenti (quali quelli anglosassoni e scandinavi) in cui un forte senso civico si accompagna ad una forte rivendicazione di libertà individuale, a cui però fa da contrappeso una sicura e tempestiva applicazione del principio “chi sbaglia paga” ( … ) può anche essere consentita una disinvolta commercializzazione di un’arma quale l’accesso.
Ma in un ordinamento come il nostro, a basso o bassissimo senso civico, in cui l’equilibrio diritti/doveri è fortemente sbilanciato in favore dei primi con conseguente alta propensione alla conflittualità ed alla contenziosità, in cui doveri, controlli e sanzioni sono in sostanza un optional, ed in cui i soli valori unificanti sembrerebbero quelli “sportivi”, un accesso generalizzato ed incontrollato potrebbe creare qualche rischio per una serena convivenza sociale e – al limite − per lo stesso sistema democratico, addivenendo ad un incomprensibile e contraddittorio interesse generale secondo cui, ad esempio, sarebbero accessibili i documenti amministrativi della S.I.A.E., mentre non sarebbero accessibili i documenti amministrativi dell’Amministrazione Z.
Non è, quindi, possibile mitizzare il diritto d’accesso e farne una sorta di bollino di garanzia della democraticità, un superdiritto über alles[66], al di sopra di ogni disciplina positiva e al di fuori di ogni controllo; poiché “si tratta pur sempre di un diritto limitato e quindi disciplinato e controllato”[67].
In definitiva, quindi, solo qualora, per avventura, il nostro Paese raggiungesse gli standard dei paesi di più antica democrazia, potrebbe realizzarsi la massima pulizia possibile dei “vetri spesso oscurati”.
Note
[1] Legittimazione attiva ed interesse a ricorrere costituiscono, come noto, le cd. condizioni dell’azione, requisiti che il giudice accerta in via preliminare rispetto all’esame del merito, fungendo da “filtro” alla pretesa della parte in giudizio: se il ricorso alla giustizia è garantito quale fondamentale principio dello stato di diritto e diritto del singolo, e se nei confronti della P.A. esso non deve subire limitazioni od ostacoli (art. 113 comma 2 Cost.), la tutela richiesta è pur sempre “soggettiva”, in quanto volta a soddisfare i “… propri diritti e interessi legittimi” (art. 24 Cost.), mai, dunque, astratta o innominata. Il nostro sistema giuridico non dà infatti ingresso a pretese generiche, volte al mero ripristino della legalità violata o al controllo generalizzato sull’operato dei pubblici poteri (l’efficienza dei quali non è certo affidata al processo), ma postula come centrale la posizione del cittadino. Così, la domanda del ricorrente è ammissibile se vi sono (o meglio, vengono postulate): la titolarità di un interesse qualificato (legittimazione attiva) e l’esistenza di una lesione concreta e attuale, unitamente ad un’utilità (anche – eventualmente – in termini di chance) derivante dall’accoglimento della domanda (interesse a ricorrere); quest’ultimo deve restare integro sino al termine del giudizio (interesse alla decisione), pena – se sopraggiungano ostacoli al conseguimento di detto vantaggio – l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse (art. 35, comma 1 lett. c) del d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104, cd. “Codice del Processo Amministrativo”.
[2] Istanza del 9 settembre 2009, presentata dal Codacons, dall’avv. Carlo Rienzi, dall’Associazione per la Tutela degli Utenti, dell’Informazione, della Stampa e del Diritto d’autore e dall’avv. Stefano Valente.
[3] In particolare, “copia delle delibere assembleari con le quali è stata disposta la proposizione di una azione di responsabilità nei confronti dei componenti il consiglio di amministrazione, che dispose di investire importi di notevole entità di titolarità della Siae nell’acquisto di obbligazioni emesse dalla società Lehman Brothers;copia degli atti afferenti al conferimento dell’incarico ad uno o più legali per la tutela dei diritti e degli interessi della Siae e, di riflesso, dei suoi soci in relazione alla procedura concorsuale a carico della società Lehman Brothers; copia degli atti introduttivi di giudizi o riguardanti eventuali trattative stragiudiziali, finalizzati alla tutela degli interessi e dei diritti della Siae e dei suoi associati relativamente al c.d. “crack Lehman Brothers”.
[4] Il diniego è motivato in ragione “difetto degli elementi sostanziali di cui alla legge 241/1990”.
[5] Per difetto di notifica ad almeno uno dei controinteressati.
[6] “…non potendo il diritto di accesso essere esteso nella sua latitudine espansiva sino al punto da trasformarsi in uno strumento di “ispezione popolare”, volto alla verifica della legittimità e dell’efficienza dell’azione amministrativa” (T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III ter, 19 maggio 2011, n. 4384).
[7] Decisione resa dalla Sez. VI, 8 febbraio 2012 n. 677.
[8] Il Collegio accoglie il gravame limitatamente alla denunciata inammissibilità per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati, affidando la decisione sul punto a tre ordini di considerazioni. Sotto un primo profilo, poiché la normativa in materia (art. 3 comma 1 del D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184) prevede che sia la P.A. tenuta a dare comunicazione ad eventuali controinteressati, ove ne individui nella richiesta o negli “atti connessi” (ovverosia “gli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o di regolamento”: art. 7 comma 2), la mancata notifica ai controinteressati non è, secondo la giurisprudenza, causa d’inammissibilità del ricorso per l’accesso quando già in sede procedimentale la P.A. abbia omesso di attendere alla predetta comunicazione, ritenendo di non dover estendere nel caso concreto la partecipazione ad altri soggetti (Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2011 n. 2968). Sotto un secondo profilo, si afferma che “…per la pacifica giurisprudenza, l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno un controinteressato può essere dichiarata dal giudice quando le parti necessarie siano desumibili dall’atto impugnato, ciò che nella specie…non è configurabile, poiché esse non sono state menzionate nel diniego impugnato in primo grado”, mentre nel caso in cui i nominativi degli stessi emergano nel corso del giudizio vi è soltanto l’obbligo per il giudice di disporre l’integrazione del contraddittorio. In ultimo luogo, con riferimento alla richiesta di conoscenza dei soli estremi degli atti non può neanche parlarsi di inammissibilità, atteso che “…in radice non risultano sussistere posizioni di controinteresse”.
[9] Risultando pendente altro appello, proposto dagli stessi soggetti (con, in più, l’associato S.I.A.E.), a causa della parziale coincidenza fra i soggetti appellanti e l’oggetto delle relative domande, veniva disposta la trattazione congiunta delle due cause nella camera di consiglio fissata per la Plenaria. Il Collegio è qui, dunque, giudice d’appello (con riferimento al secondo gravame) e Adunanza Plenaria sulle questioni rimessegli dalla sesta sezione.
[10] Si ricorda come gli interpreti siano per lo più orientati a ritiene quello in materia d’accesso (di cui all’art. 25 l. 241/1990, ora art. 116 c.p.a.), per la sua peculiarità (rito abbreviato, giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, provvedimento del giudice che ordina all’Amministrazione l’esibizione del documento), un giudizio solo apparentemente di tipo impugnatorio, ma in realtà vertente direttamente sul diritto del cittadino ad ottenere l’accesso al documento e sulle condizioni all’uopo richieste dalla legge (cfr., per tutte, Consiglio di Stato, Sez. V., 7 novembre 2008, n. 5573). Per coloro, infatti, che sposano la natura di interesse legittimo della pretesa all’accesso, il relativo giudizio, prevedendo una sentenza di accertamento – condanna della P.A. ad un facere specifico (ostensione del documento), costituisce una delle ipotesi di giudizio sul rapporto, incentrato sull’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale, tra l’altro “…congegnato ben prima delle novelle del 2005, che lo hanno generalizzato in tutto il sistema di giustizia amministrativa…” (F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Nel diritto Ed. 2013,, p. 935), dunque una sorta di azione ante litteram di “esatto adempimento” finalizzata alla condanna all’adozione di atti vincolati. E’ appena il caso di ricordare, però, che l’espunzione del riferimento a quest’ultima dal testo definitivo del c.p.a. evidenzia senza dubbio una voluntas legis contraria all’introduzione in via generale di una tale azione.
[11] Così l’art. 22 legge n. 241/90, nel testo novellato dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, e l’art. 2 del D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, (Regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi).
[12] Comma 3 del riformulato art. 22 della legge n. 241/90. Corollario di tale qualificazione è, come ovvio, l’inclusione del diritto d’accesso ai documenti amministrativi all’interno delle materie oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato, con conseguente vincolo nei confronti della potestà normativa delle Regioni, le quali però possono pur sempre, nell’ambito della rispettiva sfera di competenza, prevedere livelli ulteriori di tutela.
[13] Rammenta infatti Francesco Caringella come “Oltre che nell’art. 97 Cost., il fondamento del diritto di accesso sarebbe da rinvenirsi nell’art. 21 della Costituzione, sull’assunto della libertà d’informazione alla stregua di interesse generale ad una pluralità di fonti informative e al libero accesso alle stesse con correlativa eliminazione di ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee” (F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Nel diritto Ed. 2013., p. 884, nota 4).
[14] L’art. 22 della legge 241/1990 ante riforma esigeva per l’accesso un “…interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”: la giurisprudenza fin dalle prime applicazioni della norma affermò la necessità che l’interesse corrispondesse ad una situazione qualificata (lasciando dunque fuori gli interessi di fatto), ma che essa non doveva necessariamente assumere la consistenza del diritto soggettivo o l’interesse legittimo, aprendo così la strada anche agli interessi diffusi, e a posizioni a carattere potenziale e non direttamente azionabili per mancanza di lesione attuale (aspettative non di mero fatto).
[15] Il mutamento dei caratteri richiesti per la posizione del soggetto legittimato attivo (situazione giuridicamente “tutelata”, anziché solo “rilevante”, suo collegamento al documento, attualità e concretezza dell’interesse) ha determinato il sorgere negli interpreti dell’interrogativo relativo al se la riforma abbia inteso sostanzialmente confermare il precedente quadro normativo (carattere ricognitivo che si fonda sulla continuità con la disciplina del Regolamento sull’accesso di cui al D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352) ovvero invece innovare in senso restrittivo, tanto aver fatto meditare sulla stessa possibilità di revocare in dubbio l’attitudine legittimante di situazioni diverse da quelle in senso stretto protette dall’ordinamento (diritti soggettivi ed interessi legittimi).
[16] Nell’iniziale formulazione dell’art. 22 della legge 241/1990, veniva dichiarato attinente ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”. Tale inciso fu successivamente espunto ed inserito nell’art. 29, comma 2 bis della legge medesima.
[17] Cons. Stato, Sez. IV, 28 settembre 2010, n. 7183
[18] Art. 24 comma 3 l. 241/1990 (“Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”), ma già in precedenza era pacifico che “Il diritto di accesso non si atteggia come una sorta di azione popolare, diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull’Amministrazione”, e che occorresse un interesse “…personale e concreto, quindi serio, non emulativo; né riducibile a mera curiosità, oltre che ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico nesso” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 settembre 1996, n. 1024).
[19] Corollario di tale autonomia è la possibilità di chiedere l’accesso (ed agire in sede giurisdizionale contro l’eventuale diniego) anche dopo che il provvedimento relativo alla situazione giuridica sottostante sia divenuto inoppugnabile.
[20] La pendenza di un giudizio non preclude la proposizione dell’istanza di accesso. La più recente giurisprudenza ha infatti affermato che “il diritto di accesso non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti. Invero, l’accesso ai documenti va consentito anche quando la relativa istanza è preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla ammissibilità ovvero alla fondatezza della domanda o della censura che sia stata proposta o che si intenda proporre, la cui valutazione spetta soltanto al giudice chiamato a decidere…” (Cons. Stato, Sez. IV, 28 settembre 2010, n. 7183). L’art. 116 comma 2 c.p.a. (come già l’art. 21 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, cd. Legge T.A.R.) risolve espressamente il caso in cui il ricorso per l’accesso s’innesti su un ricorso già instaurato.
Con riferimento ai rapporti fra giudizio sull’accesso e procedimento civile (già instaurato), cfr. la pronuncia emessa da T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I quater, 2 dicembre 2010, n. 35020, secondo cui “…In ultima analisi non vi è alcuna preclusione alla instaurazione del giudizio sull’accesso ai documenti, per la pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal giudice ordinario mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, laddove, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, pure espressamente richiamato all’art. 1 del Codice del Processo Amministrativo di cui al D. Lgs. n. 104/2010”.
[21] Si rileva infatti che “l’interesse all’accesso ai documenti va valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso…e quindi la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante” (Consiglio di Stato, Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55).
[22] Meglio definito come un interesse qualificato (differenziato, concreto e attuale). Fin dai primi arresti giurisprudenziali si sottolineò l’esigenza che la richiesta d’accesso avvenisse “a favore di soggetti che vi abbiano interesse in correlazione alla titolarità di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non anche indiscriminatamente in via popolare” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 marzo 1992, n. 193).
[23] Un interesse specifico (ossia correlato ad una situazione giuridicamente tutelata riferibile alla collettività di riferimento e non ai singoli associati). Non basta un’allegazione generica circa la possibilità di lesione della situazione giuridica sottostante. Ugualmente, è requisito necessario, ma non da solo sufficiente, che la protezione di detta situazione rientri fra le finalità statutarie dell’ente, in quanto occorre altresì che l’ente fornisca una prova specifica in ordine alla posizione giuridica legittimante, propria della categoria rappresentata (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 febbraio 1995, n. 158). E se è vero che “…l’interesse che legittima la richiesta di accesso ai documenti amministrativi va considerato in termini particolarmente ampi tutte le volte in cui esso risulta funzionale alla tutela di vaste categorie di soggetti, coinvolti nell’esercizio di funzioni amministrative o nell’espletamento di servizi pubblici…”, e, in particolare, “…per la tutela di interessi diffusi, direttamente connessi alla pretesa collettiva alla trasparenza ed efficienza (nonché sicurezza) dei servizi pubblici…”, è pur vero che “…pur così delineato nei suoi ampi confini, il diritto di accesso non si configura mai come un’azione popolare (fatta eccezione per il peculiare settore dell’accesso ambientale), ma postula sempre un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555).
[24] Sul punto si veda C. M. BIANCA, “Note sugli interessi diffusi” a cura di L. LANFRANCHI, “La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi”, Torino, Giappichelli Ed, 2003, p. 78.
[25] Appare opportuno precisare che l’accesso non trova ostacoli nella natura (privata) dell’ente e della relativa documentazione, attesane la correlazione con l’attività (amministrativa) di gestione di pubblico servizio da parte della S.I.A.E. Infatti I “gestori di pubblici servizi” rientrano infatti nel novero dei soggetti verso i quali, ex art. 23 l. 7 agosto 1990 n. 241, è consentito l’esercizio del diritto d’accesso.
Cfr., per tutte, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 marzo 1999, n. 5, secondo cui: “Dal punto di vista oggettivo dell’attività svolta dal gestore, il legislatore ha disposto che le esigenze di trasparenza dell’attività amministrativa e del suo svolgimento imparziale, concernano anche le attività di natura tipicamente negoziale e materiale (svolte in regime pubblicistico nei soli casi previsti dalla legge) con cui si gestisce un servizio pubblico e si entra in contatto con gli utenti”. Pertanto, prosegue, “Anche l’attività degli enti pubblici e dei gestori di servizi, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra…nell’ambito di applicazione dell’art. 97 della Costituzione (e non dell’art. 41, sulla libertà dell’iniziativa economica): essa, pur se sottoposta di regola al diritto comune, è svolta, oltre che nell’interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettività ed ha rilievo pubblicistico, sicché si deve attenere ai principi della trasparenza e del buon andamento…”. La citata Plenaria puntualizza, a questo punto, che l’accesso ha luogo con riferimento; ai casi in cui il gestore è tenuto (in base a norme comunitarie o di diritto interno) a formalizzare le proprie determinazioni attraverso l’adozione di moduli procedimentali o l’espletamento di procedure lato sensu “ad evidenza pubblica”; alle modalità di gestione ed organizzazione del servizio (potendo esse “incidere sulla qualità del servizio, sul rispetto delle norme che proteggono gli utenti e sul soddisfacimento delle loro esigenze”.Concludendo, “…l’accesso agli atti del gestore del servizio pubblico, pur quando essi sono disciplinati dal diritto privato…consente il perseguimento delle medesime finalità connesse all’accesso agli atti dell’amministrazione…” in quanto “vi è l’interesse pubblico all’effettuazione di scelte corrette da parte del gestore, quando esse siano finalizzate all’organizzazione efficiente ed alla qualità del servizio”. Ne discende che “quando il gestore di un servizio pubblico pone in essere un procedimento disciplinato dal diritto privato, prevale l’interesse pubblico alla trasparenza e può chiedere l’accesso chi abbia interesse ad accertare se vi sia stata una scorrettezza”.
[26] Sul punto si veda, tra gli altri, D. GIANNINI, L’accesso ai documenti, Milano, Giuffrè Ed., 2013; R. CHIEPPA – R. GIOVGNOLI, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, Giuffrè Ed, 2011, p. 547 e ss.
[27] Secondo il Tar Lazio Roma, Sez. III, 02 maggio 2012, n. 3921, l’interesse all’accesso si considera diretto quando è personale, ovvero appartiene alla sfera personale dell’interessato; è concreto, invece, quando è collegato alle ragioni esposte a sostengo dell’istanza; infine è attuale quando il documento abbia spiegato o sia idoneo a spiegare effetti diretti ovvero indiretti nei confronti del richiedente.
E’ opportuno sottolineare che la posizione che giustifica l’accesso agli atti non richiede necessariamente la sussistenza di tutti i presupposti stabiliti ex lege per la proposizione del ricorso giurisdizionale innanzi al G.A, avverso un atto lesivo della posizione giuridica vantata.
Come autorevolmente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado, ai fini del diritto di accesso è necessario e sufficiente che l’istante sia titolare di un interesse rilevante giuridicamente e che la richiesta di accesso si fondi su di esso.
Inoltre La situazione giuridica vantata dal privato e collegata al documento non deve assurgere a posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo per contro sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata
[28] In tal senso si veda, tra gli altri, R. TOMEI, La nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi Commento alla legge n. 241 del 1990 e al d.p.r. n. 184 del 2006, Torino, Cedam Ed., 2007, secondo cui la nozione di situazione giuridicamente rilevante è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; così che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentale oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto; è stato riconosciuto l’accesso anche in presenza di una situazione divenuta inoppugnabile.
[29] Secondo il TAR Toscana, sez. II, 6 novembre 2006, n. 4967, in www.giustizia-amministrativa.it : «il diritto di accesso ha natura di vero e proprio diritto soggettivo pubblico anche sotto il profilo della disciplina e della tutela dei soggetti interessati e qualora esista un rapporto di strumentalità tra la conoscenza del documento (mezzo per la difesa degli interessi) ed il fine (effettiva tutela della situazione giuridicamente rilevante della quale il richiedente è portatore), allora il soggetto stesso è facoltizzato ad ottenerne l’esibizione e, eventualmente, ad estrarne copia».
[30] Il Collegio ripercorre gli opposti itinera argomentativi: il testo fra virgolette, nel proseguo del periodo, si riferisce alle parole con cui la Plenaria riporta le posizioni delle parti.
[31] E ciò vale sia, in via generale, per verificare la fedeltà al mandato onde avere “…contezza della gestione delle somme incassate”(essendo esse “frutto del lavoro creativo degli iscritti…”), sia quando, constatata la mala gestio ed il pregiudizio subito, l’accesso si presenta funzionale ad acquisire elementi conoscitivi indispensabili per la tutela delle proprie ragioni, configurandosi, di fatto, una “situazione economica direttamente e concretamente riferibile al
singolo socio”
[32] Si veda in tal senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 novembre 1993, n. 1036, ove i giudici ribadiscono che il diritto di accesso anche nel caso di associazioni rappresentative di interessi diffusi, non può legittimamente avere ad oggetto gli atti contenenti elementi informativi estrani alla sfera soggettiva del richiedente, in quanto è necessario un diretto nesso di strumentalità tra il contenuto dei documenti che il privato chiede di conoscere ed il fine di tutela giuridicamente rilevante di cui egli è titolare.
[33] Come precisato dal Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, nel caso delle associazioni portatrici di interessi pubblici o diffusi, i presupposti per l’accesso sono i medesimi previsti in via generale dalla legge n. 241 del 1990, anche in base al disposto dell’art. 26, legge 7 dicembre 2000, n. 383, che riconosce alle associazioni di promozione sociale il diritto di accesso di cui all’art. 22, legge n. 241 del 1990, connotato dalla presenza di una situazione giuridicamente tutelata e dalla sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale: la legittimazione attiva al diritto di accesso è quindi riconosciuta a prescindere dalla potenziale lesione della sfera giuridica del richiedente da parte del provvedimento adottato.
[34] Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2000, n. 5930; Consiglio di Stato,, sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5291; Consiglio di Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5818; Consiglio di Stato, sez. V, 16 gennaio 2005, n. 127; Consiglio di Stato, sez. IV, 24febbraio 2005, n. 658, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[35] Vengono addotti a sostegno i principi espressi dalla giurisprudenza ordinaria (Cassazione Civile, 31 gennaio 2008, n. 2406), ed amministrativa. Si sottolinea il “ compito di un certo rilievo pubblicistico”, cui le associazioni de quibus attendono, mediante “interventi di tutela dei consumatori”, così concorrendo “alla concreta affermazione del principio di legalità nell’ampio e delicato settore del consumo…” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 11 gennaio 2007, n. 1) e viene invocato, tra gli altri, il principio di effettività della tutela giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280).
[36] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 aprile 2012, n. 7.
[37] Si veda T.A.R. Puglia, Bari, 17 aprile 2009, n. 896, che ha riconosciuto la legittimazione attiva all’accesso alle associazioni portatrici di interessi diffusi, nella misura in cui domandino l’ostensione di documenti che rilevino l’interesse ad un intervento relativo alla tutela della categoria rappresentata, del tutto autonomo e non sovrapponibile rispetto all’interesse dei singoli soggetti che ne fanno parte.
[38] Sul punto si vedano Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011, n. 5481; Consiglio di Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 737; Consiglio di Stato, 25 settembre 2006, n. 5636; Consiglio di Stato, 10 febbraio 2006, n. 555.
[39] Ciò per ribadire, in buona sostanza, il concetto elaborato dalla Plenaria, per cui al fine di stabilire se sussiste il diritto di accesso ai documenti, occorre avere riguardo al documento cui si intende accedere, per verificarne l’incidenza, anche potenziale, sull’interesse di cui il soggetto è portatore.
[40] Si specifica che le azioni esperibili dalle associazioni de quibus “costituiscono una misura di difesa aggiuntiva e non sostitutiva”. Come noto, infatti, mentre l’interesse diffuso, essendo adespota, non può esser fatto valere in sede giurisdizionale dal singolo cittadino, in caso di interesse collettivo la legittimazione dell’associazione si cumula con quella del singolo appartenente alla categoria. Si rinvia a A. TRAVI, Lezioni di Giustizia Amministrativa, Torino, Giappichelli, 2012, p. 193.
[41] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 18 aprile 2006, n. 6, in tale pronuncia, i Giudici di Palazzo Spada avevano ricapitolato gli esiti del confronto sviluppatosi sia in senso alla giurisprudenza che alla dottrina, nel quale si era inserita proprio una decisione dell’Adunanza Plenaria del 19998, assertiva della tesi della posizione legittimante all’accesso in termini di interesse legittimo, a cagione del collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico e facendo leva sulla struttura impugnatoria del giudizio. Non erano mancati tuttavia, in seno al medesimo Consiglio di Stato, orientamenti contrastanti, registrandosi pronunce in linea con l’anzidetta decisione (Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2004, n. 1969; Consiglio di Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034) e decisioni che propendevano ancora per la configurabilità dell’accesso in termini di diritto soggettivo (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1679; Consiglio di Stato, sez. VI, 27 maggio 2003, n. 2938).
[42] Posizione che fa leva: da un lato, sul disposto dell’art. 1 lett. h dello Statuto S.I.A.E., a mente del quale essa, tra le altre funzioni, “assicura una ripartizione dei proventi dei diritti d’autore tra gli aventi diritto anche secondo l’effettivo contributo di ciascuno alla loro formazione e l’applicazione di quote di spettanza sui compensi…”. Dall’altro, sull’argumentum a contrariis desumibile dal raffronto fra i due commi dell’art. 106 del Regolamento generale S.I.A.E. (rubricato: “Accesso alla documentazione. Normativa”): poiché quest’ultimo recita: “1. Soltanto l’associato o la persona dallo stesso validamente delegata nelle forme legali, il legale rappresentante dell’editore, del produttore, del concessionario o del cessionario, o i suoi impiegati, se di ciò espressamente incaricati, possono essere autorizzati alle visure, alla consultazione ed acquisizione di copie di dati, informazioni e documenti attinenti la posizione personale dell’associato. 2. Le verifiche dei conti della ripartizione…hanno luogo nei giorni fissati dalla Società e nei locali da questa indicati”, la resistente afferma che il diritto d’accesso resterebbe limitato alle sole situazioni riferibili alla “posizione personale dell’associato” (comma 1), mentre per altri documenti (comma 2) l’accesso sarebbe limitato a quanto consentito dall’ente “nei giorni…e nei locali” da essa fissati”.
[43] Il riferimento è allo Statuto ed al Regolamento Generale della S.I.A.E. (quest’ultimo approvato dall’Assemblea nella riunione del 13 giugno 2007 e modificato dall’Assemblea con delibere del 26 novembre 2008, del 6 novembre 2009, del 7 maggio 2010 e del 30 giugno 2010, modificato con delibera del Commissario straordinario n. 71 del 18 ottobre 2011), reperibili nel settore “biblioteca giuridica” del portale S.I.A.E. alla pagina <http://www.siae.it/bg.asp>.
[44] In questo quadro non può stupire, che, con una sentenza non lontana, il T.A.R. Lazio, Sez. III, 16 maggio 2004, n. 1158, abbia riconosciuto l’interesse all’annullamento della deliberazione dell’Assemblea della SIAE in data 26 giugno 2003, con cui sono stati designati il Presidente ed i componenti del CDA dell’ente impugnate elezioni, “indipendentemente dalla circostanza che i ricorrenti non siano componenti dell’Assemblea dell’ente, in quanto è nella loro sfera giuridica la pretesa della regolarità delle elezioni stesse e, di conseguenza, della piena legittimazione degli organi di governo dell’ente.”.
[45] Art. 1 Regolamento generale SIAE, secondo cui “La Società svolge la propria attività in conformità con le disposizioni dello Statuto e dei Regolamenti e nell’interesse dei propri associati…”. Gli investimenti devono essere caratterizzati da un basso grado di rischio (art. 40 del Regolamento sul funzionamento e l’organizzazione); la salvaguardia del patrimonio aziendale costituisce metro di riferimento in sede di valutazione degli “assetti organizzativi, procedurali, strumentali ed informativi” da parte dell’Ufficio di Controllo Interno (art. 127 del Regolamento generale).
[46] La Plenaria richiama Consiglio di Stato, VI, 9 marzo 2011, n. 1492, conforme ad altri precedenti (Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5173 e Consiglio di Stato, Sez. V, 2006, n. 6440), secondo cui la “situazione giuridicamente rilevante” disciplinata dall’art. 22 della legge 241/1990, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, con la conseguenza che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante alla impugnativa dell’atto”. Si rinvia a quanto esposto supra con riguardo ai caratteri del diritto d’accesso.
[47] La Plenaria ricorda come non vi fosse dubbio che con l’art. 22 della l. 7 agosto 1990 n. 241 non fosse stata introdotta alcuna azione popolare (Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036); il successivo Regolamento attuativo (D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352) aveva poi avuto cura di precisare che “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitato…da chiunque vi abbia un interesse personale e concreto…” (art. 2 comma 1); da ultimo il testo della legge 241/1990 risultante dalla novella del 2005 richiedeva, come visto, un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento…” (art. 22) e dunque un nesso fra interesse all’accesso e soggetto istante, confermato dalla inammissibilità di richieste ostensive “preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24 comma 3).
[48] La Plenaria menziona: Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 novembre 2000, n. 5930; Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5291; Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5818; Consiglio di Stato, Sez.. V, 16 gennaio 2005, n. 127; Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2005, n. 658; Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555; Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 febbraio 2007, n. 416.
[49] F. CARINGELLA, Codice Amministrativo Ragionato, Roma, Dike Giuridica Ed., 2018, p. 86.
[50] A tal proposito, secondo la Plenaria, nessun rilievo di alcun tipo assume il riferimento alla posizione di monopolio ricoperta dalla S.I.A.E., atteso da un lato che l’art. 180 della legge 22 aprile 1941 n. 633 (in materia di protezione del diritto d’autore) consente ad autori ed editori di tutelarsi, oltre che avvalendosi dell’intermediazione della S.I.A.E., anche con azioni individuali; dall’altro, che l’“indubbio rilievo pubblicistico” dell’attività esercitata non può condurre in nessun modo la S.I.A.E. ad abdicare allo scopo, che le è proprio quale ente pubblico economico, di “produzione di profitti e…costituzione di un patrimonio da gestire esclusivamente nell’interesse degli associati”.
[51] Trasparenza, pubblicità, partecipazione e diritto all’informazione, da un lato; celerità, efficienza della P.A. e (sotto un diverso profilo) tutela del segreto e della riservatezza dei terzi, dall’altro.
[52] Infatti “…il diritto di accesso ai documenti amministrativi…si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi” (Consiglio di Stato, Sez. V., 10 gennaio 2007, n. 55). Importanti anche le considerazioni di Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 18 aprile 2006, n. 6.: essendo “L’accesso…collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa…è evidente….che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra loro: interesse all’accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto”; è in tale prospettiva, dunque, che si giustifica il particolare atteggiarsi del regime giuridico, conformato proprio per realizzare una tutela su più livelli, cioè “…assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che si è visto essere pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa”.
[53] Come prescritto dall’art. 24 della legge 241/90, sono sottratti dall’accesso i documenti coperti da segreto di Stato, quelli dal divieto alla divulgazione previsti da leggi o regolamenti; quelli relativi procedimenti tributari; gli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che regolano.
[54] Sul punto P. CARPENTIERI, Due domande in tema di “diritto” di accesso, in www.giustamm.it, 2009. Del medesimo autore si veda anche il più risalente contributo: P. CARPENTIERI, La legittimazione all’accesso: una questione non ancora chiarita, in Foro Amministrativo, n. 6, 1995, p. 135.
[55] Sul punto si veda F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè Ed., 2007, p. 104, “per le ovvie conseguenze ricadenti sull’organizzazione di un ente pubblico…” che “…si ritroverebbe a dover concedere…l’accesso ad una serie innumerevole di atti e ad una pluralità indiscriminata di soggetti, i quali, anche per semplice intento di critica nei confronti dell’amministrazione pubblica, darebbero probabilmente la stura ad una moltitudine di richieste non strettamente finalizzate a tutelare interessi giuridicamente rilevanti”.
[56] Cfr. C. LAMBERTI, Art. 63. I mezzi di prova, a cura di F. CARINGELLA -M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, Dike giuridica Ed., 2015, p. 621; F. SAITTA, Onere della prova e poteri istruttori del giudice amministrativo dopo la codificazione, in www.giustamm.it, 2012. Sia consentito anche il rinvio a I. RAIOLA, Commento agli artt. 63-69, a cura di R. GAROFOLI – G. FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma, Nel Diritto Ed., 2012, p. 1104.
[57] Sul punto si veda C. BERTOLINI, La disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, a cura di A. MASSERA, La riforma della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo: una prima lettura, in Astrid Rassegna Online, n. 3/2005, p. 64, secondo cui in dottrina si paventa il rischio che la previsione del necessario collegamento fra documento e situazione tutelata sottostante possa introdurre un “limite surrettizio all’esercizio effettivo dell’accesso”, nella misura in cui rimangono del tutto oscuri “…gli ulteriori criteri di collegamento, pericolosamente omessi, che in sede applicativa potrebbero divenire condizione stessa per l’ostensione della documentazione richiesta”.
[58] Così F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè Ed., 2007, p. 102. Si veda anche C. BERTOLINI, La disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, a cura di A. MASSERA, La riforma della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo: una prima lettura, in Astrid Rassegna Online, n. 3/2005, p. 65: “…è…evidente il conflitto con i principi del diritto comunitario, nel cui ambito il diritto di accesso ai documenti è riconosciuto a tutti senza l’obbligo di dimostrare un interesse giuridicamente rilevante da tutelare”.
[59] Così F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè Ed., 2007, p. 103, secondo cui la necessità che la sottesa situazione sostanziale sia pregnante e qualificata, d’altra parte, “resta irrinunciabile…onde prevenire la paralisi dell’attività e degli uffici delle pubbliche amministrazioni…”.
[60] F. CARINGELLA – R. GAROFOLI – M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè Ed., 2007, pp. 104, 105.
[61] A. SANDULLI, L’accesso ai documenti amministrativi, in Giornale di diritto amministrativo, n. 5/2005.
[62] F. CARINGELLA, Codice Amministrativo Ragionato, Roma, Dike Giuridica Ed., 2018, p. 88.
[63] Art. 24, comma 7, legge 241/90.
[64] Così B. G. MATTARELLA, Le dieci ambiguità della legge n. 15 del 2005, in Giornale di diritto amministrativo, n. 8/2005, p. 822.
[65] Così A. SANDULLI, La casa dai vetri oscurati: i nuovi ostacoli all’accesso ai documenti, in Giornale di diritto amministrativo, n. 6/2007.
[66] Letteralmente “su tutto”.
[67] S. GIACCHETTI, Accesso «über alles»?, in Giornale di diritto amministrativo, n. 9/2007, p.1026.
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