Diritto di difesa dello straniero e interprete

Faraon Luciano 27/07/06
 
Deduzioni sul punto partendo dal caso di Akter Yesmin
Il problema della difesa dell’imputato straniero assume sempre più rilevanza proprio perché l’incremento dell’immigrazione aumenta il numero dei casi in cui i Giudici italiani sono chiamati a giudicare persone immigrate che non parlano la nostra lingua..
E’ difficile giudicare, ma quando e quindi si può anche sbagliare, ma l’errore di traduzione può portare anche ad una imputazione di omicidio aggravato con rischio di una condanna all’ergastolo.
La brutta avventura di essere incarcerata per due anni pur essendo innocente è capitata alla cittadina bengalese Akter Yesmin e l’ingiustizia patita non può certo essere sanata o ripagata né i soldi possono ridare a lei ed ai suoi figli due anni di sofferenze in condizioni tragiche.
La giovane donna è madre di due figli. Ella dopo essere stata più volte violentata da un suo connazionale che voleva appropriarsi di lei, quasi fosse un oggetto, ha assistito impotente all’omicidio del marito.
Ma sia per l’assoluta ignoranza della lingua italiana da parte di Akter Yesmin, sia per la paura che l’assassino mettesse in essere le minacce che ove si fosse rivolta alla Polizia avrebbe ucciso i suoi figli e l’avrebbe sfregiata con l’acido, come purtroppo comunemente accade in Bangladesh, la stessa nell’immediatezza non ha parlato con nessuno dei fatti accaduti e tanto meno con la P.G. .
A ciò si aggiunga il fatto che per cultura del Bangladesh le violenze sessuali alle donne vanno normalmente definite fuori dalle aule dei Tribunali, ciò anche se vi è una normativa speciale per il reato di sfregio con l’acido in danno alle donne violentate.
Ma ciò ha determinato l’arresto della sfortunata donna proprio perché l’interprete non era stato in grado di tradurre dall’italiano alla lingua bangla e viceversa.
Gli interpreti utilizzati nella fase delle indagini preliminari erano privi di qualificazione e presi senza alcun accertamento della loro capacità, di conoscenza della lingua italiana e di avere un minimo di cultura giuridica per poter tradurre quanto meno il senso esatto delle frasi .
Inutili i tentativi di ottenere quanto meno la rimessione in libertà dell’imputata dato che l’accusa si era arroccata sulle presunzioni derivanti dalle errate traduzioni dei presunti interpreti ed il GUP seguendo la linea del P.M. e rinviava a giudizio l’imputata e Sikder Selim risultato essere l’omicida di suo marito.
Il decreto di rinvio a giudizio è stato pronunciato in   data 30 maggio 2005 dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Venezia.
Con detto Decreto il quale il GUP ha respinto tutte le eccezioni proposte per violazione del diritto della difesa e delle convenzioni internazionali per la salvaguardia dei diritti dell’uomo cui è conseguita la limitazione del diritto alla libertà dell’imputata.
Nella fattispecie le nullità di cui si va ad esporre di seguito sono state determinate dalla violazione degli atti ex artt. 109 e 143 c.p.p. e dalla violazione dell’ art. 14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York L. 881/1977 e dell’art. 6 Convenzione internazionale per la salvaguardia dei   diritti dell’uomo L. 848/1955.
L’atto con il quale si dispone il rinvio a giudizio di una persona interrogata di fatto sempre senza assistenza di un vero interprete è abnorme per tutte le motivazioni che si vanno ad esporre atteso che lo stesso ha inciso in modo determinante sul diritto di libertà dell’imputata.
Il rinvio a giudizio su atti nulli è stato uno strumento per continuare a privare della libertà l’imputata e quindi, al di là della pronuncia di rigetto del ricorso proposto avanti alla   Corte di Cassazione lo stesso era proponibile ai sensi dell’ art. 568 N. 2 C.P.P. ed art. 111 della Costituzione.
Ricorso con il quale si è chiesto l’annullamento del decreto che disponeva il giudizio e delle ordinanze collegate con le quali sono state rigettate sia le eccezioni di nullità che la richiesta di modifica delle condizioni di custodia cautelare parte dunque dall’abnormità dell’atto che rende sempre possibile il ricorso per Cassazione quando vi è violazione del diritto alla libertà :
La sig.ra Akter Yesmin è stata detenuta in custodia cautelare presso la Casa Circondariale Femminile di Venezia dal 5 giungo 2004 al 24 maggio 2006..
La stessa è stata rinviata a giudizio con decreto in data 30 maggio 2005 perché Imputata: del reato di cui all’art. 575, 577 n. 1) e 2), 110 c.p. perché in concorso e previo concerto tra loro ( il coindagato Sikder Selim), cagionavano la morte di Haque Hamdadul coniuge di Akter .Yesmin. In particolare dopo avergli dato appuntamento in Mestre, lo conducevano a Spinea a Spinea nell’oasi naturalistica sita all’interno del parco “Nuove Gemme” in prossimità del Rio Cimato, dove Sikder lo strangolava da tergo e lo faceva rotolare nel corso d’acqua nel quale conseguentemente trovava la morte per asfissia da annegamento.”
Il GUP nel decreto che dispone il giudizio così decideva :
“ rigetta l’istanza ex art. 284 .c.p.p. formulata dal difensore di AKTER YESMIN nonché la riproposta eccezione di nullità
Venezia, 30 maggio 2005                Il giudice Carlo Mastelloni
Sussistono gravi indizi a carico dei due imputati desumibili dalle dichiarazioni della pervenuta riscontrate dalla consulenza ex art. 360 c.p.p. nonché dalle dichiarazioni dei testi escussi rilevanti la presenza sul teatro dell’evento di entrambi gli imputati sussistendo, peraltro, l’aggravante della premeditazione sorretta dal movente in capo ad entrambi i pervenuti di eliminare fisicamente la vittima al fine di continuare la propria relazione una volta che la stessa vittima aveva deciso di interromperla decidendo di far espatriare la imputata acquistandole il biglietto aereo per l’India.
Il Giudice
Dispone il rinvio a giudizio degli imputati Sikder Salim e Akter Yesmin per il reato aggravato ad essi ascritto in concorso avanti alla Corte di Assise di Venezia….”
L’imputata è stata detenuta dal perché ritenuta   responsabile di concorso dell’omicidio del marito.
Il GUP ha respinto le eccezioni sollevate dalla difesa sulla nullità degli atti di indagine a cominciare dal primo interrogatorio del Pubblico Ministero e dal verbale di convalida dell’arresto per violazione insanabile del diritto di difesa in particolare perché le traduzioni effettuate da interpreti nominati d’ufficio sono risultate errate talmente da stravolgere le dichiarazioni dell’imputata e trasformando la narrazione dei fatti, di cui la ricorrente era stata testimone e vittima in par tempo, in confessione di correità e di premeditazione del reato.
Reato di omicidio del marito di cui, invece è parte lesa.
Se è pur vero che la prova si forma in dibattimento è altresì vero che l’incontestabile diritto alla libertà non può essere limitato nemmeno per un giorno dalla violazione del diritto alla corretta difesa sancito oltre che dal codice di rito   dalle norme internazionali e nazionali succitate.
L’imputata teste e vittima dell’omicidio del marito è stata trasformata in correa per traduzione completamente errata dell’interprete occasionale utilizzato dall’A.G. sia nella prima fase del procedimento: arresto, interrogatorio del P.M. sia di interrogatorio del GIP in sede di convalida
Nella fattispecie quindi l’assistenza di un interprete prevista dall’art. 143 c.p.p. e dalla normativa internazionale non c’ è stata, anzi è stata negativa con la conseguenza che sia l’originaria carcerazione che l’ingiusta detenzione in carcere per quasi due anni è stata determinata da nullità insanabili verificatesi sin dal primo interrogatorio avanti al Pubblico Ministero.
Nullità insanabile di atti non ripetibili determinata degli atti ex artt. 109 e 143 c.p.p. e per violazione dell’ art. 14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York L. 881/1977 e dell’art. 6 Convenzione internazionale per la salvaguardia dei   diritti dell’uomo L. 848/1955.
Purtroppo si è potuto giungere a tali conclusioni solo dopo aver ottenuto copia delle registrazioni foniche degli interrogatori.
Registrazioni che erano state negate in un primo tempo dal P.M. e che si sono ottenute solo   a seguito di ricorso al   GIP che ha disposto per la consegna delle copie.
Con tempi limitati da detto rifiuto del P.M. il  difensore dell’imputata Akter Yesmin, ha potuto accertare e sottolineare taluni aspetti ed elementi emersi solo nell’immediatezza dell’udienza preliminare.
Ciò dopo un lungo e paziente lavoro di ricostruzione effettuata dall’interprete nominata dal difensore di cosa è stato effettivamente detto negli interrogatori avanti al P.M. ed al G.I.P. in sede di convalida dell’arresto.
Negli atti iniziali ( interrogatorio del P.M. e del GIP) l’imputata era assistita da altro difensore e senza un interprete professionalmente tale e preparato.
La sig.ra Akter si è trovata imputata per una presunta confessione di responsabilità attribuitale per stravolgimento totale dei fatti determinata solo ed unicamente per ignoranza dell’interprete ed errore di traduzione di chi è stato chiamato a svolgere indegnamente ed in danno alla Giustizia la funzione di interprete.
Ciò pone in modo eclatante il problema della istituzione presso i tribunali di un Album degli interpreti la cui professionalità sia effettivamente accertata.
Al fine di consentire di comprendere la rilevanza quanto accaduto è necessaria provvedere ad una breve narrazione dei fatti che sono stati precisati dall’indagata in sede di interrogatorio avvenuto in data 28 settembre 2004.
Trattasi di un interrogatorio ove l’imputata era finalmente assistita da un interprete professionale di parte a confronto con l’interprete nominato d’ufficio.
Ma tale interrogatorio richiesto a seguito di precedente denuncia querela da parte dell’imputata nei confronti dell’assassino di suo marito per le violenze sessuali subite da parte del medesimo è stato totalmente ignorato sia dal P.M. che dal GUP che hanno preferito basare il loro operato sugli atti assunti in violazione del diritto di difesa: Interrogatorio del P.M. e interrogatorio del GIP in sede di convalida.
F A T T O
Entrambi gli imputati sono originari del Bangladesh e vivevano nello stesso territorio.
Tra la famiglia di Akter Yesmin e quella dell’uccisore di suo marito esiste una vecchia faida.
Lo stesso padre di Akter Yesmin è sfuggito ad un tentativo di omicidio e si salvò solo per uno scambio di persona.
Si tentò una riconciliazione attraverso un matrimonio, ma senza esito.
Lo stesso Sikder Salim, che in Bangladesh è già sposato ed ha tre figli, aveva chiesto   al padre di Akter Yesmin di poterla sposare, ma il padre della ricorrente rifiutò la richiesta.
Accolse invece la richiesta di matrimonio di Haque Amdadul che, emigrato in Italia da tempo ove aveva un lavoro stabile , ne aveva chiesto la mano.
Fu così che Haque Amdadul ha sposato Akter Yesmin e l’ha portata in Italia.
Qui i coniugi vivevano una vita regolare di una famiglia unita sostenuta dal lavoro del marito. Essi si erano stabilmente sistemati in Italia tant’è che dalla loro vita coniugale sono nati due figli e Haque Amdadul aveva comprato un appartamento contraendo un mutuo.
Ma improvvisamente Sikder Salim, anni passati come soldato mercenario, era venuto clandestinamente in Italia inserendosi prepotentemente nella loro vita.
La comunità del Bangladesh nel Veneto è molto chiusa e quindi, lontano dal Bangladesh, non è stato difficile per Sikder Salim entrare in contatto con Haque Amdadul e, nonostante le resistenze dell’imputata, cui Sikder Salim non era assolutamente simpatico, il marito della stessa   lo aveva introdotto nella sua abitazione invitandolo più volte a mangiare.
Inutile per una donna del Bangladesh come Akter Yesmin opporsi al marito, ella ha dovuto accettare la presenza dell’uomo che suo padre aveva rifiutato.
Altre volte Sikder Salim si è accompagnato alla famiglia della stessa nelle uscite ai vari centri commerciali.
La presenza di Sikder Salim, che come clandestino evidentemente non aveva un lavoro fisso, era divenuta asfissiante e l’imputata se lo trovava davanti molto spesso quando usciva di casa.
Purtroppo, non si sa se per amicizia, o per solidarietà tra uomini o per paura il marito non ha fatto nulla per allontanare Sikder Salim dalla moglie.
Sikder Salim forte di questa sua posizione nei confronti di Haque Amdadul ha cominciato a fare avance nei confronti della donna.
Ma Sikder Salim non aveva inibizioni e chiese alla sig.ra Akter di volerla sposare. Questa si è subito opposta facendo presente che se a suo padre a suo tempo aveva deciso di farla sposare con Haque Amdadul a lei andava bene così.
Akter Yesmin faceva inoltre presente a Sikder Salim di essere sposata e di avere due figli e di voler restare con suo marito cui voleva e doveva fedeltà.
Ma Sikder Salim senza tante remore le disse che avrebbe ucciso suo marito e così sarebbe stata costretta a sposarlo.
La ricorrente disse a Sikder Salim che non voleva saperne di lui e che lei voleva bene alla sua famiglia e non si sarebbe mai sposata con lui.
Akter Yesmin informò subito il marito di questa strana telefonata di Sikder Salim.
Haque Amdadul chiese chiarimenti a Sikder Salim di tale fatto, ma lo stesso se la cavò dicendo che era uno scherzo.
Purtroppo Haque Amdadul ha creduto alle scuse inventate da Sikder Salim ed invece di allontanarlo dalla propria famiglia continuò a frequentarlo.
La fiducia di Haque Amdadul   in Sikder Salim, nonostante il predetto episodio, rimase immutata e quindi purtroppo ha messo la moglie nelle mani del suddetto dandogli così l’opportunità di abusare sessualmente della medesima. 
Il primo episodio di violenza sessuale risale al giorno 20 maggio 2004.
Akter Yesmin doveva recarsi al Ristorante Avogaria sito in Venezia Dorsoduro 1629 per ritirare i soldi di saldo del periodo nel quale aveva lavorato part time
La ricorrente chiese al marito di accompagnarla a prendere i soldi, anche perché lei non sapeva esprimersi in Italino, ma Haque Amdadul le rispose che aveva altri impegni e che non poteva accompagnarlo e di farsi accompagnare da Sikder Salim .
E fu così che Akter Yesmin è stata costretta a farsi accompagnare da Sikder Salim presso il ristorante Avogaria.
Al ritorno a Mestre, erano circa le ore tredici, l’imputata fece presente a Sikder Salim di voler andare a casa propria, ma lo stesso la costrinse invece con minacce a seguirlo nella sua   abitazione .
Qui Sikder Salim le disse che ad ogni costo voleva far sesso con la donna che però si oppose alle pretese del medesimo.
Vista la resistenza di Akter Sikder Salim la costrinse con forza a recarsi nella camera da letto.
Qui Salim si presentò con un coltello di cucina e minacciandola con l’arma in mano le disse : “ O fai sesso con me o ti uccido.”
La ricorrente fece resistenza e pregò il suo violentatore di lasciarla andare che aveva un marito e due figli.
Ma Sikder Salim continuò nel suo intento e la violentò.
Ciò non bastasse Sikder Salim prima di   lasciare andare la sua vittima la minacciò   di nuovo   facendole presente che non era finita li e che se non si fosse adeguata alle sue richieste di far sesso quando lui avesse voluto avrebbe ucciso i suoi figli e l’avrebbe sfregiata con l’acido.
Akter informò il marito Haque Amdadul di quanto successo pregandolo di chiarire la situazione con Sikder Salim perché non voleva più essere violentata.
Ma, per la propria situazione personale e culturale di donna, è stato impossibile alla medesima convincere subito il marito che Sikder Salim l’aveva violentata.
Nel Bangladesh gli uomini sono abituati a dare colpa di ogni cosa alla donna che non può opporsi agli uomini.
Questa affermazione è importante perché l’interprete dovrebbe avere anche una sufficiente preparazione culturale da farsi da mediatore tra imputato e   giudice.
            A conferma di ciò il fatto che per Haque Amdadul   era più credibile quanto gli diceva l’uomo Sikder Salim, che riteneva amico, che la drammatica esperienza che gli aveva riferito la moglie di essere stata violentata dopo essere stata minacciata con un coltello e con le oscure parole richiamanti i tragici eventi di sfregio del Bangladesh.
Forte di questa situazione, mosso sola da istinti e da una cultura tribale e sicuro di essere in grado in ogni caso di vincere contro Haque Amdadul, Sikder Salim ha costretto Akter a subire ben altri tre episodi di violenza sessuale .
Sikder Salim, sempre con la minaccia che ove l’ imputata non si fosse presentata agli incontri che lui fissava a suo piacimento avrebbe ucciso lei ed i suoi figli o l’avrebbe sfregiata con l’acido ha potuto portare a termine i successivi atti violenza carnale .
L’ultimo episodio di violenza sessuale è avvenuto il giorno 27 maggio 2004 verso le ore 15,30 nel parco di Chirignago ove Akter fu costretta ad accompagnarsi con Sikder Salim con le solite gravi minacce, che tanto paura facevano alla sfortunata donna, anche perché aveva sempre nella memoria il trauma della prima violenza subita sotto la minaccia del coltello e quindi era convinta che se non si fosse sottomessa alla violenza sessuale di Salim veramente questi l’avrebbe sfregiata con l’acido e ucciso i suoi figli.
Akter informò il marito Haque Amdadul delle ulteriori violenze subite ed implorò il marito di denunciare i fatti alla polizia altrimenti lei avrebbe telefonato alla sua famiglia in Bangladesh per informarla di quanto accadeva.
Tra le minacce fatte da Sikder Salim vi era anche quella di ucciderle il marito. 
La sig.ra Akter informò il proprio coniuge anche di tale minaccia. Haque Amdadul però non dette la dovuta importanza a tale circostanza e disse che era impossibile che Sikder Salim lo uccidesse.
L’imputata pregò il marito di poterne parlare almeno con il proprio fratello Uddin Gias, ma anche questo fu vano, forse perché Haque Amdadul non voleva che una cosa ritenuta, per la gente del Bangladesh vergogna per sè e la famiglia, fosse risaputa tra i connazionali.
Purtroppo Haque non ascoltò la moglie Sikder Salim portò a termine il suo disegno criminoso.
Il giorno 3 giugno 2004, come le altre mattine, Akter Yesmin ha condotto a scuola i propri figli.
Sulla strada di ritorno ha trovato che l’aspettava Sikder Salim, che ben conoscendo le abitudini dell’imputata, l’aveva bloccata all’uscita dalla scuola.
Nel frangente è passato anche il marito Haque Hamdadul che era stato chiamato dalla scuola dei figli per firmare alcuni documenti scolastici.
Sikder Salim ha fermato Haque e gli ha detto che voleva parlargli.
Haque disse di attenderlo e di aspettarlo che avrebbe parlato con lui al ritorno dalla scuola.
Ben presto Haque Hamdadul tornò dalla scuola e chiese a Sikder Salim cosa volesse.
Questi disse ad Haque che aveva fissato un appuntamento a Spinea al Parco Nuove Gemme con Uddin Gias, fratello di Akter Yesmin, per chiarire i fatti denunciati dalla medesima per le violenze sessuali subite da parte di Sikder Salim.
Haque accettò l’invito di Sikder Salim anche perché questi aveva assicurato la presenza di Uddin Gias e quindi il problema si sarebbe potuto chiarire secondo le consuetudini del Bangladesh dove gli episodi di violenza, costituendo vergogna per tutta la famiglia, vengono risolti in segreto tra le parti.
I tre partirono quindi da Mestre e si recarono al Parco nuove Gemme di Spinea, luogo ove usualmente si ritrova la comunità del Bangladesh.
 Akter Yesmin e suo marito erano sicuri che, come garantito dal Sikder Salim, sul posto avrebbero trovato Uddin Gias per chiarire gli incresciosi fatti di cui era stata vittima .
Ma giunti sul posto Uddin Gias non c’era e Sikder Salim fece finta di chiamarlo al Telefono cellulare riconfermando ad Haque ed ad Akter che il fratello di questa stava arrivando.
Invece il fratello di Akter non arrivò mai!
E’ iniziata quindi una discussione animata tra Haque Amdadul e Sikder Salim che quindi si è trasformata in un corpo a corpo.
Inutili sono state le grida di Akter Yesmin nei confronti di Sikder Salim di lasciare stare suo marito.
Per tutto riscontro Sikder Salim ha minacciato la ricorrente “Se non vai via uccido te ed i tuoi figli e ti rovino la faccia con l’acido.”
Akter fece allora per telefonare e chiedere aiuto, ma Sikder Salim la minacciò ancora e le disse “Butta via il telefonino e non dire niente a nessuno e non chiamare la polizia altrimenti ti uccido.”
Akter Yesmin gettò il telefonino e corse via che i due uomini stavano ancora lottando e rotolandosi per terra.
Sikder Salim più robusto di Haque e con anni di preparazione militare come soldato mercenario ha avuto la meglio ed il marito di Akter è stato ucciso a seguito di annegamento dato che rotolandosi nella lotta era finito con la testa nel canale.
Akter Yesmin è fuggita via spaventata per quanto era avvenuto e per le minacce di Sikder.
Dopo il ritrovamento del corpo del marito non disse nulla ai carabinieri temendo sia per le minacce di morte di Sikder Salim, sia perché era abituata che in Bangladesh la polizia è corrotta ed una donna non può rivolgersi direttamente alla polizia, ma deve farlo sempre attraverso un uomo.
A conferma di ciò il fatto che la denuncia per le violenze sessuali subite ad opera di Sikder Salim sono state denunciate solo dopo l’intervento dello scrivente difensore.
ERRORI INESCUSABILI DELL’INTERPRETE
Al fine di rendersi conto della gravità dei fatti e della violazione dei diritti di difesa per porre in evidenza l’inaccettabilità della traduzione svolta dall’interprete si riporta come indicazione pregnante la frase iniziale dell’interrogatorio dell’imputata da parte GIP in sede di convalida udienza dell’8 giugno 2004 .
Il GIP dice:
“ Le ricordi che la Yesmin è accusata di avere concorso nell’omicidio del marito, e avere concorso insieme a Sikder Salim; in pratica si dice, dice il Pubblico Ministero che si sarebbero messi d’accordo, lei con Sikder Salim, per, praticamene attirare il marito di lei presso il Parco delle Nuove Gemme di Spinea e il Sikder Salim avrebbe ucciso l’Haque Amdadul che è stato trovato il giorno 3 Giugno alle ore 12.30 cadavere in un rivoletto del parco, gli dica intanto questo .”
Una risposta affermativa a questa domanda costituirebbe confessione di concorso nell’omicidio del marito.
Ma l’interprete in lingua “Bangla” non traduce quello che ha detto il Pubblico Ministero, ma questa frase:
“Loro stanno dicendo quello che c’è scritto, quello che hai dichiarato in precedenza. Che tu con Selim, insieme, siete andati in parco, dopo che avete portato in parco, avete parlato, e Selim ha ucciso tuo marito. Questo è giusto?
A questa domanda Yesmin risponde “ Uhm, uhm, questo avevo detto”.
A questa frase alla fine è il sedicente interprete che risponde “si” per conto dell’imputata che non ha mai detto “si”.
Ma dalla frase tradotta dall’interprete non risulta nessun accordo tra Akter Yesmin e Sikder Salim né di attirare il marito al parco Nuove Gemme e tanto meno un accordo per ucciderlo!
Entrambi gli interrogatori davanti al P.M. ed al GIP sono stati condotti con lo stesso grado inaccettabile di traduzione con la conseguenza che né l’imputata né il difensore sono stati in grado di capire il vero senso delle domande e le risposte dell’imputa quindi non erano consone alle reali domande fatte dal P.M. e dal G.I.P.
Agli occhi degli inquirenti è emersa una cognizione dei fatti diversa da quanto effettivamente detto e di quanto avvenuto-
 Alla luce della traduzione corretta degli interrogatori si è riscontrato che l’accusa a carico dell’imputata derivava da atti nulli ex art. 109 c.p.p. , mentre il coimputato, a tutt’oggi, non è stato rinviato a giudizio   per i reati di violenza aggravata con armi e violenza sessuale nonostante tali atti siano stati assunti, per quanto attiene parte denunciante, con le garanzie di legge.
            L’accusa nei confronti del sig. Sikder Salim, che alla luce del processo   risulta essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio, tant’ è che lo stesso è stato condannato a 22 anni di reclusione , si è basata sulla   determinante testimonianza di Akter Yesmin presente all’omicidio.
L’imputata è stata però creduta quanto ha accusato l’omicida, ma non è stata creduta quando proclamava la sua innocenza e faceva presente che tutto era nato dal fatto di essere violentata..
Ciò perché gli inquirenti, sulla base delle errate traduzioni dell’interprete avevano ritenuto Akter Yesmin amante dell’omicida e quindi correa.
Ove la donna fosse stata correa la stessa si sarebbe limitata a dire che nulla sapeva e nulla sarebbe successo dato che non vi erano prove a carico della stessa e nessun altro ha assistito all’omicidio.
Il quadro accusatorio così come instaurato sulla base di un’istruttoria svolta con interpreti incapaci sia in sede di interrogatorio degli imputati che in sede di SIT, dato che anche gli informatori, futuri testimoni, erano quasi tutti del Bangladesh , è stato determinato da un contesto deformato formatosi su un’eclatante e permanente violazione dei diritti dell’uomo..
Ma la richiesta di annullamento di tutti gli atti istruttori antecedenti all’intervento del difensore ove vi era l’assistenza reale di un interprete è stata disattesa sia dal GUP che dalla Corte di Cassazione.
Ciò, nonostante risultasse evidente dagli atti prodotti in udienza preliminare e da quelli dimessi in allegato alla memoria ex art. 121 depositata nella stessa sede in data 30 maggio 2005 , che l’imputata non era stata assistita da nessun vero interprete e quindi ne derivava la nullità degli atti a sensi dell’art. 109 c.p.p. ed art. 14 L. 25.10.1977 N. 881.
Se è pur vero che l’immanenza di atti nulli ha evitato che il vero assassino fuggisse dall’Italia, è altrettanto vero che il decreto di rinvio a giudizio ed i provvedimenti collegati restano viziati da violazioni di legge ed hanno privato ingiustamente l’imputata di un ulteriore anno di libertà.
Le traduzioni effettuate da interpreti nominati d’ufficio in violazione di diritti hanno determinato nullità ex artt. 109 e 143 c.p.p. art. 14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York L. 881/1977 ed art. 6 Convenzione internazionale per la salvaguardia dei   diritti dell’uomo L. 848/1955.        
In particolare l’eccepita nullità riguarda:
1) interrogatorio degli imputati effettuato il 7 giugno 2004;
2) udienza di convalida nei confronti dei medesimi, effettuata l’8 giugno 2004;
3) verbali di sommarie informazioni rese da persone informate sui fatti e da Akter e Sikder.
In sede di udienza preliminare il Pubblico Ministero ha affermato che l’eccezione, proposta dalla difesa, relativa alle traduzioni espletate dagli interpreti nominati d’ufficio, era assolutamente infondata soprattutto perché, appunto, chiama in causa tutti gli atti di indagine e dunque è in se stessa talmente generica ed abnorme da non consentire neanche il vaglio del Giudice sulla sua fondatezza, (omissis) l’imputata ha sempre avuto interprete a fianco e quindi è sempre stato garantito l’intervento e l’assistenza, quindi, di tutti gli atti che richiedevano ovviamente la presenza e dell’imputato e del difensore e dell’ interprete.
Tale affermazioni del P.M. erano assolutamente infondate, e quanto meno il GUP dovuta disporre C.T.U per confrontare le traduzioni corrette prodotte dalla difesa e quelle errate sulla base delle quali era fondata l’accusa..
Il lavoro di comparazione è stato di un lavoro lungo in quanto l’interprete ha dovuto fare molta attenzione dovendo poi confrontare quanto in registrazione con i testi precedentemente tradotti.
A ciò si aggiunga che anche le SIT   rese dai cittadini stranieri è stata assunta senza la garanzia di un reale interprete e delle volte assunte anche senza la presenza di nessun interprete
A ciò aggiungasi che le SIT sono state assunte senza nessuna registrazione fonica per cui la ricostruzione è stata di fatto impossibile
Per quanto dianzi evidenziato e risultante dalle traduzioni correte dimesse in udienza preliminare, è risultato privo di fondamento quanto sostenuto dal P.M. in riferimento alla genericità e abnormità dell’eccezione, ciò anche in considerazione che la fondatezza della eccezione sollevata poteva essere verificata oggettivamente attraverso la lettura della C.T.P. o mediante C.T.U . stante l’essenzialità di accertare se fosse stato o meno garantito quanto statuito dall’art. 143 c.p.p. e dalle convenzioni internazionali.
Al fine di evidenziare la totale divergenza tra quanto tradotto e quanto effettivamente dichiarato dall’imputata, nelle traduzioni effettuate dall’interprete della difesa nei documenti prodotti in sede di udienza preliminare è emerso come il supporto accusatorio sostenuto dal P.M. cui consegue la privazione della libertà della ricorrente, diverga in modo lapalissiano ed inconfutabile dalla realtà oggettiva.
Realtà confermata dalle prove assunte a dibattimento, ma che hanno comportato un anno di ulteriore ingiusta carcerazione dell’imputata.
La realtà dei fatti è emersa solo dal settembre 2004 quando l’odierna imputata ha potuto avere al proprio fianco l’interprete di fiducia e solo dopo tale data sono stati garantiti i diritti della difesa, mentre per il periodo pregresso tale diritto è stato totalmente violato.
Di riscontro per il rinvio a giudizio di Akter Yesmin si è tenuto conto solo degli interrogatori resi nel primo periodo quando gli interpreti utilizzati dall’A.G. erano assolutamente incapaci.
In detto primo periodo non è avvenuta nemmeno la traduzione letterale del testo con la conseguenza che sono state travisate domande e risposte anche se il costrutto sintattico tra la lingua bangla e quella italiana è completamente diverso per cui la traduzione anche letterale non avrebbe reso correttamente quanto detto da una parte e dall’altra
Si rileva inoltre che per mantenere l’accusa, utilizzando gli atti di cui si è eccepita la nullità in sede di udienza preliminare, ma anche nelle numerose inutili istanze di modifica delle misure cautelari, ha sostenuto che l’imputata avrebbe di seguito modificato la sua versione dei fatti rispetto a quelli riferiti negli interrogatori effettuati dal P.M. e dal GIP in sede di convalida dell’arresto per scelta tattica del nuovo difensore..
Di riscontro si deve rilevare come invece sia stata perpetrata una eclatante e permanente violazione del diritto di difesa a causa dell’assoluta incapacità dell’interprete a svolgere il delicato compito affidatogli tanto che alcune frasi di enunciazione ultrasintetica ed errata dei fatti sono state considerate confessione di responsabilità penale.
Un altro aspetto da evidenziare che la violazione del diritto di difesa si è verificato anche se sono stati nominati vari interpreti, che pur hanno dimostrato la stessa assoluta incapacità come emerso dalle traduzioni comparate depositate in udienza preliminare.
Anche la nomina di più interpreti incapaci di svolgere la funzione loro affidata non sana l’avvenuta insanabile violazione del diritto di difesa del singolo atto processuale atteso che si tratta di atti irrepetibili e l’incapacità di detti interpreti è stata successivamente accertata in Corte d’Assise ove si è dovuto ricorrere ad un missionario che era stato 25 anni i Bangladesh per poter portare avanti il processo.
A causa delle errate traduzioni dell’interprete con conseguente violazione delle convenzioni internazionali in materia ne derivano nullità insanabili ex art. 109 c.p.p. , ma nulla è stato consentito di fare la difesa sino a quando non ha potuto conoscere tali abnormità di quanto accaduto dopo la consegna dei nastri magnetici delle registrazione degli interrogatori..
Va rilevato che le disposizioni di cui all’art. 143 c.p.p. si integrano con le convenzioni internazionali, ma sono norme distinte e quindi la mancata applicazione delle norme internazionali recepite con legge nell’ordinamento italiano costituiscono violazione autonoma di legge cui consegue la fondatezza dell’ eccepita nullità.
Nella fattispecie la violazione del diritto di difesa è avvenuta sin dalle fasi prodromiche al processo ove, notoriamente, vengono raccolte le prove del reato, vengono letti, elencati e delineati i diritti e le facoltà dell’indagato facendo particolar attenzione, che il medesimo, ne abbia avuta effettiva comprensione.
Il diritto dovere che vi sia un interprete, realmente tale, deve essere garantita anche quando si interroga uno straniero al fine di garantire l’imputato che le prove (S.I.T. o testimonianze) vengano assunte   con traduzione corretta.
Non si può confondere la conoscenza di alcuni termini comuni per saluto, acquisti e lavoro con la capacità di comprendere domande che per gli appartenenti al Bangladesh hanno significato diverso, per diversità di cultura, rispetto al significato dato da noi cittadini italiani.
È solamente a seguito dell’ausilio dell’interprete dott.ssa Bhaumik Lopamudra che la difesa dell’imputata riusciva a tradurre il verbale dell’udienza dell’8 giugno 2004, ma visto quanto risultante dagli atti di cui si è invano prodotta la traduzione vi era la necessità di disporre C.T.U. al fine di verificare i gravi e determinanti errori di traduzione.
Ma nell’ottica del P.M. e del GUP vi era evidentemente la priorità di evitare il rischio di scadenza dei termini di carcerazione preventiva e quindi si è preferito tenere in carcere una persona innocente piuttosto che accertare la realtà dei fatti al fine di poter disporre il Giudizio o l’archiviazione o il proscioglimento ex art. 425 c.p.p. .
Il fatto che la prova si formi in dibattimento non giustifica il rinvio a giudizio sulla base di indagini preliminari effettuate in violazione dei diritti dell’uomo ed ancor meno l’utilizzo del rinvio a giudizio quale strumento illegittimo per la proroga dei termini di carcerazione preventiva .
Con ciò si è utilizzato un atto abnorme per privare della libertà una persona in violazione di norme nazionali, del codice di rito e di convenzioni internazionali..
L’esistenza formale di un interprete incapace equivale ad assenza dell’interprete e le conseguenti nullità determinatesi sono insanabili ex art. 109 N. 3 c.p.p. atteso che la corretta applicazione dell’art. 143 c.p.p. impone che vi sia un interprete vero e non un sedicente interprete.
A causa di tale intervento negativo di detto ausiliario incapace si sono determinate gravissime violazioni perpetrate ai danni dell’imputata con particolare riferimento ai DIRITTI UMANI: art. 5 n. 2 e art. 6 n. 3, lett. a), e), della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU o C.E.D.U.). ed all’art. 14 lettere “F” e “G” del “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politi di New York   L. 25.10.1977 N. 861.
Tali norme vanno richiamate in combinato disposto con gli articoli della Costituzione italiana, art. 10 comma 1 – 2 e, ancor più all’art. 24 comma 2, il quale sancisce l’importanza della difesa quale “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” cui consegue nullità per il combinato disposto dall’art. 109 c.p.p. e 143 c.p.p. .
Ma la violazione di dette norme costituisce altresì violazione dell’art. 111 della Costituzione Italiana in materia di giusto processo in uno con la violazione dell’art. 5 della Convezione di salvaguardia de diritti dell’uomo atteso che permane la privazione della libertà a seguito di eclatanti violazioni di legge e non vi può essere giusto processo se sono state violate norme di rito .
Ne deriva che risultando nella fattispecie violate specificatamente le norme internazionali succitate sussiste la nullità degli atti accusatori a carico dell’imputata e quindi la stessa è stata illegittimamente rinviata a giudizio ed altrettanto illegittimamente si è protratta la privazione della libertà.
Atti che essendo stati ritenuti validi ed usati come strumento di privazione della libertà dovevano essere valutati dalla Cassazione costituendo nella fattispecie il rinvio a giudizio un atto abnorme ed uno strumento anomalo di privazione della libertà dell’imputata.
Tali violazioni comportano infatti situazioni di nullità ex art. 109 c.p.p. delle indagini svolte dal P.M. ed in ogni caso determinano l’inutilizzabilità di detti verbali determinando conseguentemente l’insostenibilità dell’accusa cui consegue la mancanza di atti legittimamente assunti che potessero giustificare il rinvio a giudizio cui è conseguita la negazione della libertà. Infatti non vi erano oggettivamente elementi legittimi, anche se   considerati legittimi dal P.M. e dal GUP, da giustificare il rinvio a giudizio.
Com’è noto, uno dei problemi più rilevanti relativi al nuovo fenomeno della immigrazione straniera è costituito dal riconoscimento agli imputati stranieri dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e più in generale dall’Ordinamento Giudiziario con particolare riguardo all’art. 143 del Codice di Procedura penale che disciplina la traduzione degli atti in relazione all’art. 109 (lingua degli atti) ed art. 169(notifica degli atti all’imputato straniero).
L’art. 143, 2 comma CPP impone, infatti, al Giudice procedente la nomina di un interprete e la traduzione degli atti nella lingua dell’imputato straniero al fine di far comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa, mentre l’art. 109, 2° comma c.p.p. prescrive la traduzione degli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta.
La lettera G) dell’art. 14 della convenzione di New York statuisce che all’imputato deve essere garantito di “ non essere costretto a deporre contro se stesso ed a confessarsi colpevole.”
Nella fattispecie tale norma è stata evidentemente violata atteso che l’interprete ha tradotto in modo palesemente errata ed indotto l’imputata in errore sostanziale traducendole la frase di rito che quanto da lei detto poteva essere utilizzato contro di lei”  con la traduzione in lingua Bangla che   ciò avrebbe detto sarebbe stato utilizzato a suo favore   e quindi il contrario di quanto stabilito dalla norma andando comunque ad incidere, al di là dell’innocenza sussistente nella fattispecie, nelle scelte difensive dell’imputato ! .
La traduzione data dall’incapace interprete in sede di convalida ha fatto emergere una ipotesi di premeditazione e di concorso in omicidio .da parte di Akter Yesmin che invece non vi è mai stata e di cui lei era vittima.
Infatti Akter Yesmin era ed è risultata essere vittima non correa ed invece con tali presupposti è continuato per un ulteriore anno il regime di privazione della libertà in violazione delle convenzioni internazionali dei diritti dell’uomo.
La questione di nullità sollevata non poteva essere tacitata dal GUP con la mera affermazione che essendo stato nominato un interprete il diritto della difesa era stato formalmente salvaguardato e quindi gli atti erano utilizzabili.
Nella fattispecie di fatto l’interprete non c’era anche se risulta nei verbali essere presente una persona nominata dall’A,G, che assume di avere la capacità di interprete.
Ma dalla documentazione che si è prodotta in udienza preliminare è risultato che chi svolgeva apparentemente le funzioni di interprete era assolutamente incapace di svolgere tale ruolo e ciò ha determinato errori ed omissioni sostanziali talché la domanda del P.M. modificata in lingua “Bangla” ha fatto apparire l’esistenza di una confessione da parte dell’imputata che invece non vi è mai stata.
In sostanza si è determinato un totale travisamento dei fatti tale da rendere nulla ed anzi negativa la presenza della persona chiamata a svolgere la funzione essenziale di interprete, compito di cui non è all’altezza e che per giustificare la sua presenza è giunta a suggerire all’indagata le risposte da dare !
L’inosservanza delle disposizioni derivanti dalle convenzioni internazionali sulla presenza dell’interprete e sul fatto che l’indagato non può essere costretto a deporre contro se stesso od a confessarsi colpevole” è stabilita a pena di nullità assoluta per violazione del diritto di difesa costituzionalmente sancito atteso che concerne l’assistenza dell’imputato incapace di comprendere la lingua e le accuse formulate nei suoi confronti.
Nulla rileva che detta costrizione a deporre contro se stesso ed /od a confessarsi colpevole sia stata determinata dall’incapacità dell’interprete, la violazione insanabile del diritto di difesa è stata perpetrata.
L’art. 109, 2 comma c.p.p.., inoltre, fa espresso rinvio alle norme previste da leggi speciali e dalle Convenzioni Internazionali con la conseguenza che trova applicazione nel caso di specie l’art. 6 lett. A) ed E) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, recepita dall’Ordinamento dello Stato con la Legge 4/8/1955 n. 848.
Infine l’art. 169, terzo comma, c.p.p. impone la notifica degli atti nella lingua dello straniero
La violazione dell’art. 143 in relazione all’art. 109 CPP comporta la nullità assoluta degli atti compiuti ovvero indirizzati all’imputato alloglotta laddove gli stessi non risultino tradotti correttamente nella madrelingua dello stesso al fine di consentire all’imputato sia di comprendere esattamente ciò di cui è accusato, sia per poter deporre coerentemente a suo favore e non a sua imputazione!.
Nella fattispecie la situazione è ancora peggiore dato che chi fa da interprete nella sua traduzione fa apparentemente confessare responsabilità di concorso che non esistono, ma che al P.M. ed ai GIP che hanno convalidato il fermo e respinto le successive istanze di modifica della custodia cautelare tali confessioni sono di riscontro risultate come vere.
Sul punto la Corte di Cassazione ha già sancito che “in materia di diritto di difesa, l’interpretazione dell’art. 143 c.p.p. deve essere conforme ai principi costituzionali (art. 24 Cost.) ed alle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, impone che si proceda all’immediata nomina dell’interprete o dei traduttore allorché si verifichi la circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall’Autorità procedente.
Nell’interpretazione della Corte di Cassazione, il principio trova applicazione anche in fase d’indagini preliminari sia per l’effetto dell’estensione all’indagato di tutte le garanzie assicurate all’imputato (art. 61 c.p.p.) sia per effetto del riferimento esplicito contenuto nello stesso art. 143 c.p.p. alla nomina dell’interprete in relazione alle attività processuali del Giudice così come alle attività del P.M. o dell’ufficiale di P.G., come peraltro statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 10 del 12 /1 / 1993 “
In ossequio a tale impostazione, e stato sancito in diritto e dottrina che “lo straniero ha il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l’esatto significato dell’accusa formulata nei suoi confronti e di conoscere le facoltà che l’ordinamento processuale gli riconosce per contrastare l’accusa stessa.
Nella fattispecie ciò non è accaduto e si pone per altro la necessità di definire in diritto se l’interprete sia a favore dell’A.G. o dell’imputato dato che essendo nominato dall’A.G. l’’interprete comunemente a favore di chi la nominato, mentre l’interprete di parte in questo processo è stato considerato un terzo incomodo e gli oneri non sono stati riconosciti tra quelli liquidabili in sede di gratuito patrocinio!
Ne consegue che “la violazione dell’art. 143, c.p.p., risolvendosi in una menomazione del diritto di difesa,costituisce motivo di nullità generale prevista dall’art. 178, lett. e) c.p.p. degli atti compiuti per violazione delle disposizioni concernenti l’assistenza dell’imputato”.
Per altro il GIP presso il Tribunale di Venezia( altro Magistrato), interessato con procedimento parallelo relativo alla liquidazione delle competenze dell’interprete nominato dal difensore, ha ritenuto la norma incostituzionale per violazione dell’art. 24 della Costituzione e rimessi gli atti alla Corte Costituzionale.
La presenza effettiva di un interprete capace, secondo giurisprudenza e dottrina è necessaria secondo quanto statuito dall’art. 143 c.p.p. ogni qualvolta l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati sia scritti che orali.
Ciò deve applicarsi anche per l’interrogatorio dei testi sia in giudizio che in SIT, indipendentemente dal fatto che gli atti siano rivolti a favore o contro l’imputato, fatti, domande e risposte debbono essere conosciuti dall’alloglotta al fine di evitare il travisamento dei fatti.
Nella fattispecie sono state sentite persone del Bangladesh che conoscono l’italiano solo a livello iniziatico senza la presenza di interprete o con interprete inidoneo con la conseguenza che i fatti sono stati totalmente travisati.
Ne consegue l’evidente nullità assoluta, insanabile degli atti istruttori rilevabile in ogni stato e grado del procedimento degli atti compiuti in violazione della disposizione delle convenzioni internazionali.
Tale interpretazione risulta evidente dalla lettura dell’art. 169 c.p.p. e dall’art. 63 Disp. Att. C.p.p. che concernono le formalità per la notificazione degli atti ad imputato straniero (comma tre), atteso che “l’art. 143 c.p.p. estende all’imputato straniero, che abbia bisogno della traduzione nella lingua a lui nota degli atti scritti del processo le garanzie previste dall’art. 109 comma 2 c.p.p. per l’imputato italiano appartenente ad una minoranza linguistica” Per altro dottrina e giurisprudenza hanno confermato la inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie non tradotte contenute nel verbale di denuncia prestata dal cittadino straniero.
Non può negarsi che il diritto sancito dall’art. 143 c.p.p. rientri nell’ambito delle garanzie inviolabili della difesa individuando nella norma una clausola generale in quanto lo straniero non a conoscenza della nostra lingua deve partecipare al processo senza subire ingiuste limitazioni connesse alla sua posizione linguistica e quindi non subire passivamente il processo a suo carico e di potersi invece rendere pienamente conto degli addebiti mossi.
La mancanza di un espresso obbligo di traduzione nella lingua nota all’imputato straniero sia dei singoli atti processuali non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall’art. 143 c.p.p., comma uno, in conformità a diritti dell’imputato riconosciuti dalle Convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia e quindi costituenti norme applicative dall’art. 24 della Costituzione”.
D’altra parte l’art. 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, facendo esclusivo riferimento alla figura dell’arrestato,prevede che questi abbia diritto ad essere informato nella lingua da lui conosciuta delle ragioni dell’arresto mentre l’art .3, lett. a) della stessa Convenzione attribuisce all’imputato straniero il diritto ad essere edotto nella madrelingua circa la natura e la causa dell’accusa.
Nella fattispecie l’interprete trasforma i fatti da incontro casuale per chiarire le posizioni dell’imputata in confessione di concorso ed il diritto a tacere ed a non confessarsi colpevole con il fatto che ogni cosa sarà detta dall’indagata sarà utilizzata a suo favore, trasforma la faida esistente tra le due famiglie in relazione amicale!
Gli errore di traduzione sono essenziali   al fine di determinare nell’imputato come deve comportarsi al fine di tutelarsi e di avere giustizia onde evitare, come nella fattispecie, illegittime violazioni del diritto inviolabile alla libertà personale.
Nella fattispecie ciò è avvenuto in evidente violazione dell’art. 14, n. 3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’ONU il 16/12/1966 e ratificato dall’ Italia con la L. 25/10/1977 n. 881.
Una corretta interpretazione ed interpolazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione,una corretta applicazione dell’art. 143 c.p.p. impone l’adozione delle salvaguardie ivi previste per assicurare in concreto l’esercizio del diritto di difesa dell’indagato/imputo straniero non già per eccesso di formalismo, ma in conformità ai principi anche di valenza internazionale cui l’Ordinamento deve uniformarsi.
Tale di diritto di difesa deve essere reale e non apparente com’è avvenuto nella fattispecie.
Va ricordato che la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è giunta a pronunciarsi sfavorevolmente nei confronti del nostro Paese a causa del mancato rispetto delle norme che tutelano il diritto di ogni persona sottoposta a procedimento giudiziale alla comprensione linguistica stabilendo che la mancata traduzione degli atti contribuisce a vanificare ogni possibilità di consapevole partecipazione al procedimento dell’imputato al fine di difendersi e di contrastare efficacemente le tesi accusatorie.
Le conclusioni cui è giunto il P.M. nella richiesta di rinvio a giudizio, e dal GUP nel pronunciare il relativo decreto sono state sostenute dall’errata affermazione che l’imputata avrebbe modificato il suo schema difensivo.
Ciò nasce dal fatto che le traduzione dall’Italiano ed in Italiano sono errate e sono attribuite all’imputata affermazioni e confessioni che non ha mai fatto, mentre quando la stessa è stata effettivamente assistita con l’ausilio di un vero interprete è accusata di cambiare versione dei fatti!
L’art. 143 c.p.p. ,nella interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, svolge quindi la funzione di raccordo con il dettato delle Convenzioni internazionali dandone pratica attuazione con la conseguenza che l’assistenza dell’interprete (vero e non presunto come nella fattispecie) deve riguardare non solo gli atti orali, ma anche quelli scritti,onde rendere l’imputato edotto degli addebiti formulati nei suoi confronti e quindi della contestazione dell’accusa nonché dei vari atti che gli siano notificati nel corso del giudizio.
Tale diritto all’assistenza dell’interprete norma dell’art. 143, c.p.p. si estende alla fase delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 61,1 comma c.p.p. e non poteva l’imputata essere privata della libertà e rinviata a Giudizio sulla base di atti nulli perché formati in violazione di norme imperative di legge..
La violazione di tali norme comporta la nullità assoluta anche ai sensi dell’art. 178, lett. c, c.p.p. traducendosi in un’inosservanza delle disposizioni concernenti l’assistenza all’indagata.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione si è quindi adeguata all’insegnamento costituzionale estendendo l’obbligo di traduzione anche agli atti notificati all’imputato straniero ai sensi dell’art. 169,comma 3 c.p.p., che va interpretato in conseguenza ed anche in relazione all’art. 63, norme att. c.p.p..come obbligo di notifica dell’atto nella “lingua ufficiale dello Stato in cui l’imputato risulta essere nato”.
Si ritiene meriti attenta considerazione l’art. 23 della L. 8/5/1995 n. 332 che ha introdotto l’art. 92, comma 1-bis,delle norme d’attuazione del CPP in base al quale il Direttore del Carcere deve accertare, anche con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia una precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia garantendo in tal modo il rispetto dell’art. 5, comma 2 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Dottrina e Giurisprudenza hanno quindi concordemente definito che la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2 ed art. 6, lett. a) ed e) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ratificata con L. 4/8/1955 n. 848,la violazione dell’art. 14 n. 3 lett. a) ed f) del Patto Internazionale dir. civ. pol. ed infine la violazione dell’ari 10,comma 2 e 24,comma 2 Cost. determina la conseguente nullità del procedimento.
La norma dell’art. 5 della Convenzione,cui fa implicito riferimento l’art. 109 CPP,prescrive infatti che “ogni persona arrestata deve essere informata nel più breve tempo ed in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e degli addebiti contestati”.
Il successivo art. 6, lett. a) prescrive il diritto dell’accusato “ad essere informato nel più breve tempo ed in una lingua che comprendere ed in maniera dettagliata del contenuto dell’accusa elevata contro di lui”,mentre la stessa norma, lett. e) stabilisce il diritto dell’accusato “di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”.
Si badi bene è l’accusato che ha diritto di farsi assistere da un interprete e quindi l’interprete dovrebbe essere di fiducia più dell’accusato che dall’A.G. . La norma infatti non riconosce all’ A.G. il diritto a nominarsi un’interprete, ma all’indagato.
Nella fattispecie l’imputata non è stata informata esattamente della sua posizione al momento dell’arresto, né di quali erano i suoi diritti di difesa non ultimo quello di non rispondere e che quello che essa avrebbe detto sarebbe potuto essere usato contro di lei e non in suo favore come erroneamente tradotto dall’interprete.
L’art. 10, comma due della Costituzione stabilisce sul punto che “la condizione giuridica dello straniero e regolata dalla Legge conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Ne consegue che la loro violazione costituisce autonoma ed insanabile illegittimità cui consegue la nullità degli atti compiuti.
L’art. 143 c.p.p. che ha introdotto nella legislazione processualistica penale la “traduzione degli atti” rappresenta per il Legislatore lo strumento finalizzato a superare uno stato di incomunicabilità linguistica processuale comprensivo sia della interpretazione orale sia della traduzione scritta dei documenti processuali concernenti l’accusa rivolta all’imputato straniero.
Non vi è più margine,quindi,per un’interpretazione difforme ovvero riduttiva della normativa vigente da parte dei Giudici italiani investiti del problema nel rispetto dei diritti dell’imputato straniero sancito dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dai Trattati internazionali sottoscritti e recepiti dall’Ordinamento italiano.
Nella fattispecie il diritto di difesa dall’imputata è stato violato sin dal momento del suo arresto atteso che la stessa non è stata esattamente informata sul procedimento a suo carico e non è stata posta nelle condizioni di difendersi atteso che sia in sede di interrogatorio del P.M. che di convalida dell’arresto non era assistita da un interprete vero tale da porla nelle condizioni di conoscere e di far conoscere quale fosse la sua esatta posizione giuridica..
In termini oggettivi è evidente l’illegittimità dell’ordinanza del GUP con la quale è stata respinta l’eccezione sollevata in sede di udienza preliminare di violazione del diritto di difesa per la mancata assistenza di un interprete. Altresì evidente risulta la nullità degli atti assunti in violazione del diritto di difesa ed in particolare del verbale di interrogatorio del P.M. e di quello dell’udienza di convalida dell’arresto.
Come conseguenza di ciò una valutazione oggettiva dei fatti e degli atti porta alla logica conseguenza che il decreto che dispone il giudizio è atto abnorme essendo lo stesso fondato su atti nulli.
Ma la nullità non è stata dichiarata nella logica processuale permanente di salvare il processo ed evitare la fuga degli imputati.
Ma questa non è Giustizia!
Ma il G.U.P. è andato oltre a questo concetto di giustizia e nel decreto che dispone il giudizio ha giustificato il rigetto dell’eccezione di nullità degli atti suindicati con la seguente motivazione: le eccezioni di cui alla memoria testè ammessa sembrando dirigersi verso il merito, appaiono pretestuose ed inconferenti attenendo peraltro alla preparazione culturale dell’interprete designato dall’ A.G. procedente il cui scrupolo in proposito risulta per tabulas dalla lettura del verbale reso in sede di convalida; d’altra parte rileva che proprio la denuncia querela successivamente depositata dal difensore della AKTER YESMIN attesta della piena comprensione del significato dell’accusa nonché dei significati anche difensivi imminenti all’atto medesimo, che ha dato avvio a diverso procedimento e che, introdotto in questo procedimento, presenta una struttura solo logicamente organizzata idonea ad indurre il giudicante a indicare al P. M: gli estremi del reato di calunnia.”
Ma la realtà ormai storica ha dimostrato ch il GUP ha errato doveva invece fidarsi delle eccezioni sollevate dalla difesa e delle tradizioni prodotte dalla difesa con l’ausilio dell’interprete nominato dall’avvocato difensore.
Infatti avanti alla Corte d’Assise è emerso in modo eclatante che la preparazione culturale dell’interprete era di tale basso livello da avere bisogno di un interprete, Altro che calunnia le affermazioni della difesa sono risultate vere.
Resta il problema irrisolto che il processo formalmente di parti di fatto, nella maggior parti dei casi non è così, e quanto sostenuto dal P.M. è normalmente ritenuto più affidabile di quanto, come nella fattispecie, anche documentato, viene prodotto dall’avvocato difensore.
ABNORME!!!
Non solo l’A.G. non si avvale degli unici atti di interrogatorio assunti con le garanzie di cui all’art. 143 c.p.p. e delle convenzioni internazionali, ma poiché quanto emerge in questa sede è in contrasto con gli atti assunti illegittimamente acquisiti e contenenti confessioni, mai effettuate dall’imputata, risultanti solo dagli errori ingiustificati del falso interprete si da indicazione al P.M. di procedere per calunnia nei confronti dell’imputata!!!!!
Detta motivazione è manifestamente illogica atteso che, nel mentre si  vuol far permanere la validità degli atti illegittimamente assunti in assenza di un vero interprete, si pone nel nulla l’attività di indagine svolta dopo l’intervento dello scrivente difensore con l’effettiva assistenza di un interprete e si utilizzano al fine di giustificare il rinvio a giudizio ed il rigetto della richiesta di modifica delle condizioni cautelari solo gli atti nulli. Con ciò mantenendo quindi la privazione della libertà dell’imputata, gli interrogatori assunti in violazione del diritto di difesa.
Si badi bene che il motivo della lite tra la vittima e l’assassino sono state proprio le violenze carnali subite dal Akter Yesmin e quindi è il massimo della ingiustizia indicare al P.M. di perseguire l’imputata per il reato di calunnia per salvare gli atti assunti in violazione del diritto di difesa ed invece considerare negativi gli atti derivanti da una corretta difesa dell’imputata con la reale assistenza prevista dall’art. 143 c.p.p. e dalle convenzioni internazionali.
La manifesta illogicità è comprovata dal fatto che in sede di udienza preliminare è stata depositata perizia medico legale del dott. Riolo che conferma il fatto che Akter Yesmin è stata violentata da Sikder Salim, ma anche qui sono atti provenienti dalla difesa e non dal P.M. !
Nella fattispecie si sono disconosciuti gli atti regolarmente assunti, privando della libertà la ricorrente, per mantenere l’accusa in forza di atti assunti in violazione dei diritti dell’uomo cui consegue la nullità per violazione del diritto della difesa.
Ora Akter Yesmin è libera perché assolta, ma la persecuzione nei suoi confronti continua atteso che la Corte d’Assise nel pronunciare sentenza di assoluzione ha ritenuto sussistere l’ipotesi di favoreggiamento personale per non avere immediatamente denunciato   l’assassino del marito.
Ma siamo punto e a capo. 
Come fa una cittadina straniera che non conosce l’italiano denunciare l’omicida ? Come fa a fidarsi di una legge che non conosce quando nel suo paese l’omicida di suo marito è stato lasciato libero nonostante risulti dagli atti in possesso del suo difensore e prodotti in Assise risulta che egli ha commesso reati di rapina e sequestro di persona rimanendo impunito!?
Ma questa è un’altra storia ed intanto poniamo al vaglio della Corte Europea di giustizia l’operato dell’A.G. Italiana su questo caso sperando che serva ad evitare ad altre persone innocenti inutili ed ingiuste privazioni della libertà.
Venezia, Luglio 2006
 
                                                                                 
Luciano Faraon
Avvocato in Spinea/Venezia
Patrocinante in Cassazione

Faraon Luciano

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