1. Introduzione
Le differenti problematiche che concernono l’informazione ambientale e il relativo accesso a tali informazioni riveste una peculiare importanza in tema di diritto dell’ambiente poiché, in modo parallelo all’aggravamento delle questioni ambientali ed alla presa di coscienza delle complessità delle soluzioni, in tempi recenti ha trovato sviluppo la necessità che i cittadini vengano informati su questi argomenti al fine di sensibilizzarli e, al tempo stesso, contribuire alla crescita della consapevolezza ambientale, in particolar modo sotto il profilo della responsabilità individuale e collettiva. Per questi motivi il tema della partecipazione, dell’accesso alle informazioni e della comunicazione ambientale costituisce un riferimento sempre più presente all’interno del quadro normativo e programmatico dell’Unione europea, così come sul piano nazionale e internazionale, relativo allo sviluppo sostenibile. Per fronteggiare efficacemente i problemi ambientali e per programmare uno sviluppo economico e sociale che sia realmente sostenibile, cioè che permetta la preservazione dell’ambiente nel quale viviamo in modo da poterlo garantire alle generazioni future, è chiaro come i governi e le amministrazioni abbiano il dovere di informare e di coinvolgere l’intera collettività nelle decisioni concernenti il territorio e, soprattutto, la qualità della vita. Possiamo affermare, quindi, che tra le esigenze di tutela dell’ambiente ed il diritto all’informazione vi sia una forte interdipendenza. Per nessun altro bene o valore come per l’ambiente, infatti, la diffusione ed una corretta circolazione delle informazioni e delle conoscenze, anche di carattere prettamente tecnico, è fondamentale ai fini di una adeguata definizione degli oggetti e delle modalità di tutela. Quello all’informazione ambientale, dunque, è un vero e proprio diritto, sancito da numerose convenzioni, atti e leggi a livello nazionale, comunitario ed internazionale.
2. Elaborazione del concetto di “diritto all’informazione ambientale” ad opera della comunità internazionale e dell’unione europea.
Il diritto all’informazione ed il diritto di partecipazione ai processi decisionali in materia ambientale sono stati oggetto, come vedremo, di numerose convenzioni internazionali ambientali. Il punto di partenza nella formulazione dei principi della libertà di accesso alle informazioni in materia ambientale è da rinvenire, primariamente, nelle sedi internazionali che hanno lavorato all’elaborazione delle cosiddette norme di “soft law”, cioè atti normativi non vincolanti per gli Stati destinatari. Sin dalle prime elaborazioni in materia è emersa, in maniera lampante, la consapevolezza che non può esserci un’efficace tutela dell’ambiente, nella sua più ampia accezione, senza una corretta promozione e divulgazione degli istituti di informazione e di partecipazione[1]. L’adozione della Dichiarazione di Stoccolma, approvata il 16 giugno 1972 dai capi delle centodieci delegazioni che hanno partecipato alla Conferenza, rappresenta un fondamentale passo avanti sul tema in questione, in quanto contiene una prima presa di posizione ufficiale, da parte della comunità internazionale, sul tema dell’importanza dell’educazione e dell’informazione ambientale quali strumenti essenziali ai fini della tutela e della valorizzazione dell’ambiente umano[2]. Tramite un documento strutturato su ventisette principi, la Conferenza organizzata dall’ONU a Stoccolma prevede, al numero diciannove, la necessità di “un’educazione ai problemi ambientali attraverso il senso di responsabilità di singoli e collettività per la protezione e il miglioramento dell’ambiente nella sua piena dimensione umana allo scopo di garantire progresso e sviluppo anche alle generazioni future”. Un’altra importante tappa in questo percorso si ha nel 1987, con la pubblicazione del rapporto Brundtland, denominato anche come “Our common future”, cioè “il nostro comune avvenire”, con il quale la Commissione Mondiale indipendente per l’Ambiente e lo Sviluppo (CMAS) delle Nazioni Unite affermò la necessità di un sistema politico che sia in grado di garantire l’effettiva partecipazione dei cittadini e delle ONG ai processi ed alle politiche che riguardano l’ambiente, allo scopo di raggiungere uno sviluppo sostenibile. In tale rapporto la Commissione Mondiale per l’Ambiente ha proceduto all’adozione di un elenco di principi giuridici destinati alla protezione dell’ambiente e ad uno sviluppo sostenibile, tra i quali risalta, nello specifico, “il diritto fondamentale dell’uomo ad un ambiente sufficiente per assicurare la salute ed il suo benessere”. Dal 3 al 14 luglio 1992, a Rio de Janeiro, ha avuto luogo la “Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo” (UNCED), durante la quale è stata affrontata a più riprese la tematica della partecipazione del pubblico al processo normativo in materia ambientale quale elemento cruciale dello sviluppo sostenibile. Tale Conferenza, svoltasi a distanza di vent’anni dalla già citata Conferenza di Stoccolma, costituisce un evento di primaria importanza, poiché rappresenta un passaggio decisivo ai fini dell’affermazione e della diffusione, su scala internazionale, della tematica concernente il coinvolgimento e la partecipazione della società civile alle decisioni relative all’ambiente. I lavori preparatori sono durati ben due anni e mezzo ed hanno prodotto documenti di fondamentale importanza nell’ambito del diritto internazionale. Tra questi i principali sono: la Dichiarazione di Rio, composta da ventisette principi riguardanti l’integrazione ambiente-sviluppo, e l’Agenda XXI, che consiste in un imponente programma di azione, suddiviso in quaranta capitoli, che non solo definisce gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, ma ne programma anche gli interventi necessari alla sua realizzazione. Possiamo vedere, quindi, come l’educazione ambientale inizi ad essere considerata quale strumento principale per la promozione di sistemi di vita e di produzione sostenibili, allo scopo di garantire un uso delle risorse che sia realmente distribuito in maniera equa tra i popoli e le generazioni presenti e future[3]. Proprio all’interno del testo risultante dal summit dell’UNCHE di Rio, all’articolo 8.3, viene sottolineata la necessità di procedere in un’ottica di miglioramento dei meccanismi volti alla facilitazione del coinvolgimento di tutti i gruppi interessati al processo decisionale. È necessario richiamare anche la Dichiarazione di Salisburgo sulla protezione del diritto all’informazione e alla partecipazione del 3 dicembre 1980, frutto dell’iniziativa di due organizzazioni non governative: l’Istituto dei diritti dell’uomo e l’istituto per una politica europea. Tale dichiarazione, che può essere considerata quale archetipo della Convenzione di Aarhus, è articolata in tre pilastri: informazione; partecipazione; tutela giurisdizionale. All’interno di essi è dedicato un ampio spazio all’aspetto attivo dell’informazione ambientale e alle politiche di promozione ecologica. L’importanza dei principi elaborati dalla Dichiarazione di Salisburgo è tale che, successivamente alla loro redazione, le Nazioni Unite hanno deciso di rielaborarli inserendoli nella Carta della Natura. La Carta mondiale della natura è stata adottata dalle Nazioni Unite il 28 ottobre 1982 con la risoluzione 37/7 e, in materia di diritto ambientale, afferma al principio 16 che tutti i dati riguardanti le strategie di conservazione della natura dovranno essere portati a conoscenza del pubblico mediante mezzi adeguati ed in tempi tali da consentire un’effettiva consultazione delle informazioni ed una reale partecipazione alle decisioni. Tale risoluzione prevede anche determinati obblighi in capo agli Stati e agli individui che hanno l’obiettivo di mettere in pratica i principi in essa contenuti. Nello specifico, al principio 23, è precisato che: “ogni persona avrà la possibilità in conformità con la legislazione del suo Paese di partecipare, individualmente o con altri, all’elaborazione delle decisioni che riguardano direttamente il suo ambiente e, nel caso lo stesso subisca danni o deterioramento, ella avrà accesso ai mezzi di ricorso per ottenerne riparazione”. In tale contesto, sul piano del diritto internazionale, può essere richiamata anche la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, adottata a Nairobi il 28 giugno 1981 dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’Organizzazione dell’Unità Africana, che ha riconosciuto il diritto dei popoli a vivere in un ambiente sano e “favorevole allo sviluppo”, sottolineando all’articolo 9 che “tutte le persone hanno diritto di accesso all’informazione” e riconoscendo, all’articolo 13, a tutti i cittadini il diritto di partecipare liberamente alla direzione degli affari pubblici del proprio Paese. Spostando l’attenzione all’ambito europeo è necessario analizzare la Carta europea dell’ambiente e della salute, adottata dai Ministri dell’ambiente e della sanità degli stati membri della regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) durante il meeting tenutosi il 7 e 8 dicembre a Francoforte, che riconosce il diritto degli individui di essere informati e di partecipare ai processi decisionali in materia ambientale. Il primo principio attribuisce ad ogni individuo il diritto a disporre di un ambiente tendente al più elevato livello raggiungibile di salute e di benessere. Viene riconosciuto a tutti i cittadini, inoltre, il diritto di essere informati e consultati sulle decisioni e sulle iniziative che potrebbero influire sull’ambiente e sulla salute, oltre alla possibilità di partecipare ai processi decisionali in materia ambientale. Nel 1990 viene sottoscritta la Carta Europea di Parigi, per mezzo della quale la comunità internazionale si impegnava a promuovere la consapevolezza e l’educazione dell’opinione pubblica per tutto ciò che concerne l’ambiente, la pubblica informazione sull’impatto ambientale delle varie politiche, dei progetti e dei programmi messi in atto. Il 1990 è stato un anno importante per questi temi, che sono stati trattati approfonditamente al Forum di Siena sul diritto internazionale dell’ambiente. Durante tale evento è stata sottolineata non soltanto la necessità di favorire il miglioramento della raccolta, dell’elaborazione e della divulgazione dei dati riguardanti il settore ambientale, ma anche di implementare una politica di istruzione ambientale al fine di consentire una partecipazione effettiva e l’assolvimento delle responsabilità individuali in relazione a tutto ciò che riguarda il tema ambiente. Fondamentale in materia di accesso all’informazione ambientale è stata la Convenzione di Parigi per la protezione dell’ambiente marino del Nord-est dell’Atlantico, stipulata nel 1992. L’articolo 9 di quest’ultima attribuisce a tutte le persone interessate il diritto di ottenere le informazioni richieste, che dovranno essere fornite prescindendo dalla prova di un effettivo interesse in tal senso da parte del richiedente, come precisato al paragrafo 1. Per informazioni, in questo contesto, bisogna intendere tutti i dati disponibili relativamente allo stato dell’area marina, alle attività che la danneggiano e a quelle che, potenzialmente, potrebbero farlo e, inoltre, sono elencati anche i casi in cui le parti contraenti possono respingere la richiesta di informazioni. I principi contenuti nella già citata Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992, vertenti in materia di accesso all’informazione ambientale e di partecipazione ai processi decisionali, invece, sono stati ripresi, senza particolari novità, dal paragrafo 119-ter del Piano di Attuazione elaborato durante il Vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (World Summit on Sustainable Development) che ha avuto luogo a Johannesburg, in Sudafrica, dal 26 agosto al 4 settembre del 2002[4]. Tale Piano di Attuazione è importante in quanto ritiene fondamentale “assicurare l’accesso al livello nazionale, all’informazione ambientale e ai procedimenti giudiziari e amministrativi in materia ambientale per promuovere il principio 10 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo”. Di sicuro, però, il documento che sancisce a livello internazionale il diritto all’informazione ambientale è la Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione, sulla partecipazione del pubblico e sul ricorso alla giustizia in materia ambientale. La dichiarazione è stata firmata nella cittadina danese il 25 giugno del 1998 ed è stata ratificata dalla Repubblica italiana con la legge n. 108 del 16 marzo 2001, entrando in vigore il 30 ottobre 2001, giorno in cui è stato raggiunto il numero minimo di ratifiche previste dall’accordo (è stata ratificata da 39 Parti aderenti all’UN/ECE, cioè alla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, fra le quali la Comunità Europea, con decisione del Consiglio n. 370 del febbraio 2005, e la maggioranza dei suoi Stati membri). La Convenzione in esame, le cui trattative per l’elaborazione del testo sono cominciate a Ginevra nel giugno del 1996, hanno visto la partecipazione di molte organizzazioni non governative e ha sancito un inscindibile legame tra la salvaguardia dell’ambiente ed il diritto all’informazione e alla partecipazione democratica. Con l’avvio del processo di ratifica della Convenzione ha avuto inizio un iter di adeguamento della legislazione comunitaria ai vari requisiti che la stessa imponeva, promuovendo un’innovazione sostanziale della normativa comunitaria in materia di informazione ambientale. Possiamo notare come, da un lato, la normativa comunitaria sia stata assunta proprio quale base di partenza delle decisioni adottate nella Convenzione di Aarhus mentre, dall’altro, la Commissione ha proceduto ad un’importante opera di adeguamento del diritto comunitario ai nuovi standard di accesso all’informazione ambientale tramite l’adozione della direttiva CE 2003/4. Questa necessità di procedere ad un miglioramento dell’accesso all’informazione in materia ambientale costituisce, quindi, un elemento caratterizzante dell’azione comunitaria già a partire dal IV programma d’azione CEE del 1987 (periodo 1987-1992) che conteneva l’invito a “delineare modi di accesso più agevoli da parte del pubblico alle informazioni in possesso delle autorità ambientali”[5]. Sulla stessa linea il V Programma d’Azione Ambientale Comunitario (1993-2000) che si impegna a lavorare focalizzando la propria attenzione, nello specifico, a determinati aspetti, tra i quali una maggiore sensibilizzazione dei cittadini alle tematiche ambientali, assicurando, a tal fine, un “accesso più agevole alle informazioni, integrazione del concetto di sviluppo sostenibile nei programmi comunitari di iscrizione e divulgazione dei risultati della politica comunitaria…”. Concentrandoci ancora sull’ordinamento eurounitario, possiamo affermare sicuramente che il processo che ha attribuito all’informazione ambientale un ruolo primario e strategico per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile ha avuto origine negli anni ’90 con il Trattato di Maastricht, che può essere considerato quale primo step di questo percorso. Tale Trattato, infatti, introducendo il diritto alla trasparenza sul piano comunitario, sancisce all’articolo 130 R dell’Atto finale, che la politica comunitaria punta ad un elevato livello di tutela in campo ambientale che trova le proprie fondamenta nel principio di prevenzione e di precauzione. Il diritto all’informazione ambientale, quindi, veniva inquadrato in una prospettiva di azione preventiva. Con l’Atto Unico europeo l’Unione Europea fissa quale obiettivo la promozione di uno sviluppo sostenibile affermando il diritto di accesso del pubblico alle informazioni di cui dispongono le istituzioni. Dall’adozione di tale documento, il quadro normativo e programmatico eurounitario in materia ambientale ha visto un progressivo e crescente sviluppo volto ad orientare le politiche degli Stati membri, evidenziando, oltre che la necessità, l’obbligo per gli Stati membri e per le amministrazioni, ai diversi livelli, di sviluppare politiche e strategie d’informazione in modo che i cittadini possano ricevere le informazioni necessarie sulle tematiche ambientali. È importante citare la direttiva 90/313/CEE, emanata dal Consiglio nel 1990 allo scopo di dare attuazione al IV Programma d’Azione delle Comunità Europee, relativo alla libertà di accesso all’informazione ambientale[6], che rappresenta il primo strumento legislativo previsto a livello internazionale per il riconoscimento di un diritto di accesso all’informazione in suddetta materia. L’obiettivo della direttiva, quindi, è quello di assicurare l’accesso alle informazioni in materia ambientale che sono in possesso delle autorità pubbliche e la loro diffusione, stabilendo, inoltre, i termini e le condizioni essenziali sulla base dei quali tali informazioni devono essere rese reperibili. Il 28 gennaio 2003, peraltro, il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno adottato, in abrogazione della direttiva appena citata, la direttiva 2003/4/CE. A seguito dell’entrata in vigore di questa nuova direttiva trova piena attuazione quanto previsto dalla Convenzione di Aarhus in materia di informazione ambientale e, addirittura, in determinati casi ne risulta ampliata la portata, sia per quanto riguarda il profilo soggettivo, cioè la definizione di autorità pubblica, sia sotto il profilo oggettivo, relativamente alla nozione di informazione ambientale, che deve essere diffusa e resa accessibile[7].
3. Riconoscimento del diritto all’informazione ambientale nell’ordinamento giuridico italiano.
Procedendo ora all’analisi dell’ordinamento interno, la normativa di riferimento in ambito di diritto di accesso all’informazione in materia ambientale è costituita dall’articolo 14 della legge n. 349 dell’8 luglio 1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente. Essa rappresenta il primo atto legislativo organico in Italia sulla protezione dell’ambiente e provvede anche a disciplinare i rapporti intercorrenti tra il nuovo Ministero e gli altri già esistenti, oltre che quelli con i vari organi della Pubblica Amministrazione[8]. Nello specifico l’articolo 14, comma 3, di tale legge specifica che: “Qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della pubblica amministrazione e può ottenere copia previo rimborso delle spese effettive di ufficio il cui importo è stabilito con atto dell’amministrazione interessata”. Bisognerà attendere, invece, il decreto legislativo n. 39 del 24 febbraio 1997 per l’attuazione dei principi comunitari in materia di accesso all’informazione ambientale, previsti nella direttiva 90/313/CEE. Tale decreto ha realizzato una deroga alla disciplina generale del diritto di accesso prevista ai sensi della legge n. 241/90, ampliandola tanto sotto il profilo soggettivo quanto sotto quello oggettivo e, in particolare, svincolandola da una peculiare posizione legittimante prevista in capo al richiedente, dando per presupposto, vista la particolare rilevanza del bene in oggetto, la prevalenza dell’interesse alle informazioni sulle condizioni ambientali, riuscendo a realizzare, in questa maniera, un efficace controllo diffuso su tali beni. Riassumendo, quindi, il diritto di accesso viene riconosciuto a qualunque soggetto abbia intenzione di esercitarlo, escludendo così qualsiasi forma di selezione. Stiamo parlando di quello che, a tutti gli effetti, può essere qualificato quale diritto soggettivo perfetto, il quale spetta a qualsiasi individuo in modo indipendente da particolari qualifiche e presupposti di legittimazione[9]. Importante, poi, è stato il recepimento a livello nazionale della direttiva 2003/4, sempre in materia di accesso al pubblico dell’informazione ambientale, che è avvenuto ad opera del d. lgs. n. 195 del 19 agosto 2005 che, all’articolo 1, enuncia l’obiettivo di “garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuto dalle autorità pubbliche” fissando i termini, le condizioni fondamentali e le relative modalità di esercizio. Quest’ultimo ha messo in atto una specie di rivoluzione relativamente al ruolo della Pubblica Amministrazione che da semplice fornitore passivo di informazioni, diviene un erogatore delle stesse. All’articolo 3, relativo all’ “accesso all’informazione ambientale su richiesta”, si vengono ad aggiungere le disposizioni previste nell’articolo 8 sulla “diffusione dell’informazione ambientale”.
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Note
[1] R. Montanaro, “La partecipazione ai procedimenti in materia ambientale”, in P. M. Vipiana (a cura di), il diritto all’ambiente salubre: gli strumenti di tutela, Milano, Giuffrè, 2005, p. 185.
[2] M. Cutilio Fagioli, “Il diritto di accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel diritto internazionale”, in Riv. Giur. Amb., 3-4/1996, p. 535.
[3] N. Brutti, il diritto all’informazione ambientale, Profili comparatistici, Torino, Giappichelli, 2005, pp. 63 ss.
[4] Per approfondire il tema si rimanda alla lettura di S. Marchisio, Il diritto internazionale ambientale da Rio a Johannesburg”, in A. Del Vecchio, A. J. Dal Ri (a cura di), Il diritto internazionale dell’ambiente dopo il vertice di Johannesburg, Editoriale scientifica, 2005, p. 30 ss.
[5] E. Pelosi, Rafforzamento dell’accesso all’informazione ambientale alla luce della direttiva 2003/4/CE, in Riv. Giur. Amb., 1/2004, p. 25.
[6] M. Pozzato, Brevi note in materia di accesso all’informazione ambientale, in Diritto e giurisprudenza agraria dell’ambiente, 5/1997, p. 301.
[7] F. Fonderico, Il diritto di accesso all’informazione ambientale, in Giornale di diritto amministrativo, 6/2006, p. 676.
[8] Per approfondimenti, M. Montini, il diritto di accesso all’informazione ambientale: la mancata attuazione della direttiva CE 90/2013, in Riv. Giur. Amb., 2/1997, p. 328.
[9] N. Brutti, Idem, pp. 64 ss.
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