Diritto di satira e libertà di espressione: caratteristiche e limiti

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La satira ha origini antichissime, collocate tra il III e il II secolo a.C., ed è dapprima identificata con la commedia greca e, successivamente, come vero e proprio genere letterario latino. Ha sempre avuto lo scopo di diffondere temi di rilevanza pubblica con la caratteristica di portare all’esasperazione fatti o personaggi con ironia o sarcasmo.
Generalmente, mirava (e mira tuttora) alla critica della politica e della società e, nel nostro ordinamento, è addirittura tutelata dalla Costituzione.


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Indice

1. Il fondamento del diritto di satira

Come accennato, pur non essendo espressamente prevista, la satira trova fondamento nella nostra Costituzione, nello specifico nel “riconoscimento e tutela della cultura e del patrimonio storico-ambientale” (art. 9), nella “libertà di pensiero e di stampa” (art. 21) e nella “tutela dell’istruzione e dell’insegnamento” (art. 33).
La satira, dunque, gode di una tutela di rango costituzionale al pari dei diritti di cronaca e di critica.
Questi fungono anche da esimente del reato di diffamazione proprio per l’importanza che ricoprono nel nostro ordinamento.
Come sancito da consolidata e costante giurisprudenza “la satira è anche espressione artistica in quanto opera una rappresentazione intuitivamente simbolica che, in particolare la vignetta, propone quale metafora caricaturale. Come tale non è soggetta agli schemi razionali della verifica critica, purchè attraverso la metafora pure paradossale sia comunque riconoscibile se non un fatto o comportamento storico l’opinione almeno presunta della persona pubblica, secondo le sue convinzioni altrimenti espresse, che per sè devono essere di interesse sociale. Pertanto, può offrirne la rappresentazione surreale, purchè rilevante in relazione alla notorietà della persona, assumendone contenuti che sfuggono all’analisi convenzionale ed alla stessa realtà degli accadimenti, ma non astrarsene sino a fare attribuzioni non vere” (Cass. sent. n. 13563/1998 – Cass. sent. n. 34129/2019).

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2. I limiti del diritto di satira

Va da sé che, pur godendo di una tutela di rango costituzionale, il diritto di satira non può oltrepassare certi limiti superando “il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona, oltre al ludibrio della sua immagine pubblica, al disprezzo (Cass. sent. cit.).
Stesso dicasi per i diritti di cronaca e di critica.
Per quanto concerne il primo, questo è stato ben delineato da una storica sentenza della Corte di Cassazione (n. 5259/1984) ripresa da costante giurisprudenza la quale ha sancito che è necessario che sussistano tre condizioni che fungono da limiti: l’utilità sociale dell’informazione, la verità dei fatti esposti e la forma civile dell’esposizione.
Il diritto di critica, al pari di quello di cronaca, deve sottostare alle condizioni sopraesposte, ma vi sono comunque delle differenze importanti: se è vero che il diritto di cronaca espone fatti che possano interessare una generalità di persone allo scopo di informare, il diritto di critica, invece, consiste in una valutazione soggettiva dei fatti, attraverso l’espressione di un consenso o un dissenso.
Il diritto di satira, costituisce una manifestazione del diritto di critica, ma è sottratta all’obbligo di riferire fatti completamente aderenti alla verità dato che, molto spesso, i fatti narrati o raffigurati vengono volutamente esagerati fino al paradosso, in maniera caricaturale. Allo stesso tempo, è necessario che la satira abbia una certa utilità e che non vada oltre il limite della continenza verbale e, nel caso di vignette, figurata e, soprattutto, non può riferire fatti non ricollegabili, seppur in modo caricaturale, alla realtà.
Questo è stato più volte sancito anche dalla Corte di Cassazione secondo la quale “la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato” (Cass. sent. n. 30193/2018)“.
Inoltre, “la satira parte da un personaggio reale, lo carica di fantasiosi tratti fisionomici e/o psicologici e propone all’attenzione dei lettori, degli ascoltatori o degli spettatori un personaggio volutamente e realmente inesistente, anche se non ne nasconde gli originali tratti genetici. L’attività satirica fa un uso talmente esasperato, paradossale, surreale dei tratti distintivi della persona reale, da rendere del tutto evidente che il giudizio critico non è rivolto alla persona che è oggetto della rappresentazione, ma alla categoria sociale, culturale, politica, di cui la medesima è ritenuta esponente” (Cass. sent. n. 1740/2011).

3. Superamento dei limiti

I limiti che caratterizzano tanto il diritto di satira, quanto quelli di critica e di cronaca, sono posti a tutela del bene giuridico della reputazione del soggetto.
Infatti, il superamento di tali limiti potrebbe comportare la commissione del reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. il quale dispone che “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad un’Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate
“.
La Cassazione ha ulteriormente sancito che “in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di critica nella forma satirica sussiste quando l’autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa, e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino storicamente false” (Cass. sent. n. 34129/2019).

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Riccardo Polito

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