Il content creator ha diritto alla cancellazione di articoli sui suoi video caricati in precedenza su tik tok se ha cambiato attività professionale. Per avere un quadro completo sui ricorsi al Garante della privacy, si consiglia il seguente volume il quale affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali e le relative sanzioni: I ricorsi al Garante della privacy
Indice
1. Il fatto: diritto all’oblio per cambio di professione
Il Garante per la protezione dei dati personali riceveva un reclamo da una persona che sosteneva di aver esercitato il proprio diritto all’oblio nei confronti di Google, ma che la piattaforma americana non aveva fornito alcun riscontro e pertanto chiedeva all’autorità di ordinare a detta piattaforma la rimozione di n. 36 URL dei risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo all’interno del motore di ricerca, che contenevano notizie relative ad alcuni video che in precedenza il reclamante aveva prodotto con riferimento ad attività di allenamento ed aveva pubblicato sulla piattaforma tik tok. Il reclamante chiedeva inoltre al Garante di ordinare a Google la rimozione di alcuni termini dalle funzioni di completamento automatico della ricerca che venivano associate al suo nominativo allorquando un internauta procedeva a digitare il nome del reclamante nella barra di ricerca di Google.
In particolare, il reclamante sosteneva di aver acquisito una certa notorietà nel 2020 attraverso la pubblicazione di alcuni video che riguardavano degli allenamenti e che successivamente aveva provveduto a rimuovere dal proprio canale ufficiale di Tik Tok detti video in quanto riceveva messaggi e commenti offensivi nei suoi confronti. Secondo il reclamante, inoltre, il fatto che detti video e le relative informazioni fossero ancora reperibili sul motore di ricerca di Google, gli aveva causato delle significative conseguenze negative a livello professionale, in quanto i potenziali datori di lavoro, nel cercare informazioni sul suo conto, trovavano dette notizie che riguardavano una fase della sua vita che egli non voleva più continuare e che non riflettevano la sua attuale realtà professionale e personale.
Infine, il reclamante affermava di non ricoprire e di non aver mai ricoperto alcun ruolo pubblico e di non essere un personaggio pubblico nel settore della moda e del fitness.
A fronte della richiesta del Garante di prendere posizione sul reclamo di cui sopra, Google comunicava che le pagine web di alcuni degli URL indicati dal reclamante non erano visualizzate tra i risultati di ricerca associati al nominativo del reclamante e che alcune delle parole da questi indicate come suggerite in associazione al suo nome dal motore di ricerca con il sistema di completamento automatico non compaiono attualmente tra i suggerimenti associati al nominativo dell’interessato. Con riferimento, invece, agli altri URL e alle altre parole suggerite dal motore di ricerca con il sistema di completamento automatico, Google affermava di non poter provvedere alla rimozione in quanto è ancora sussistente un interesse pubblico alle notizie ivi contenute perché le stesse sono di recente pubblicazione (tra il 2021 e il 2023) e perché il reclamante ricopre un ruolo nella vita pubblica proprio alla luce della esposizione mediatica e della notorietà ottenuta grazie alla pubblicazione dei video in questione.
Infine, per quanto riguarda il sistema di completamento automatico di cui sopra, Google dichiarava che le parole suggerite in associazione al suo nominativo, di cui il reclamante si lamentava, vengono individuate automaticamente da un software che identifica i termini maggiormente cercati dagli utenti in un determinato arco temporale.
Per avere un quadro completo sui ricorsi al Garante della privacy, si consiglia il seguente volume il quale affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali e le relative sanzioni: I ricorsi al Garante della privacy
I ricorsi al Garante della privacy
Giunto alla seconda edizione, il volume affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali, alla luce delle recenti pronunce del Garante della privacy, nonché delle esigenze che nel tempo sono maturate e continuano a maturare, specialmente in ragione dell’utilizzo sempre maggiore della rete. L’opera si completa con una parte di formulario, disponibile online, contenente gli schemi degli atti da redigere per approntare la tutela dei diritti dinanzi all’Autorità competente. Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Michele Iaselli Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II, nonché Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore in numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.
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2. La valutazione del Garante
Preliminarmente il Garante ha preso atto di quanto riferito da Google in ordine al fatto che alcuni URL non erano più rinvenibili sul motore di ricerca e che alcuni dei termini oggetto del reclamo non erano più suggeriti dal motore di ricerca in associazione al nominativo del reclamante. Pertanto, con riferimento a detti URL e termini il Garante ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per l’adozione di alcun provvedimento da parte dell’autorità.
Invece, con riferimento alle altre richieste del reclamante, il Garante ha ricordato che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio, non è sufficiente soltanto che sia trascorso del tempo dalla pubblicazione del dato personali, ma è altresì necessario tenere conto degli ulteriori criteri individuati dalle apposite linee guide adottate dagli organi europei che si occupano di privacy (cioè il WP Art. 29 e l’EDPB).
In particolare, nel caso di specie, alcuni degli URL oggetto di reclamo rinviano ad articoli in lingua straniera, risalenti al 2021, che hanno ad oggetto attività del reclamante che non sono più attuali e che fanno riferimento a dei contenuti video che erano destinati ad essere condivisi sulla piattaforma Tik Tok e che lo stesso reclamante ha rimosso dal proprio profilo social. Altri URL, invece, rinviano a dei profili sociale di soggetti terzi che riproducono i predetti contenuti video pubblicati in precedenza dal reclamante e da questi successivamente rimossi.
Secondo il Garante, quindi, i predetti URL rinviano a contenuti che non riguardano l’odierna dimensione lavorativa e professionale del reclamante. In considerazione di ciò, rispetto a detti contenuti non sussiste un interesse pubblico alla loro conoscenza.
Per quanto riguarda, invece, la funzione di completamento automatico del motore di ricerca di Google, il Garante ha ricordato di aver già avuto modo di precisare che anche i risultati prodotti da queste funzioni automatiche, devono essere eventualmente corretti dell’intervento umano qualora sia necessario. Nel caso di specie, l’associazione tra il nominativo del reclamante e le parole indicate nel reclamo suggerite dal software di completamento automatico del motore di ricerca, creano un’associazione che non è sostenuta da ragioni di interesse di pubblico per le medesime ragioni per cui non sussiste detto interesse a conoscere i contenuti degli URL di cui sopra.
3. La decisione del Garante
In considerazione di tutto quanto sopra, il Garante ha ritenuto fondato il reclamo con riferimento ad alcuni degli URL e delle parole proposte dal software di completamento automatico segnalati dall’interessato.
Conseguentemente, il Garante ha ingiunto a Google di disporne la rimozione dei suddetti URL quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato, nonché di disporre l’eliminazione dalle previsioni di ricerca associate al nominativo dell’interessato delle parole indicate nel reclamo medesimo, nel termine di venti giorni dalla ricezione del provvedimento.
Infine, il Garante ha ritenuto di disporre l’annotazione del provvedimento nel registro interno dell’autorità, ma di non attribuirgli il valore di precedente a carico di Google in eventuali futuri procedimenti nei suoi confronti.
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