Diritto all’oblio: deindicizzazione di Url con notizie di vecchie vicende giudiziarie

Il Garante ha disposto la deindicizzazione di alcuni URL contenenti notizie di stampa relative a vicende giudiziarie di un parroco pubblicate 7 anni prima.

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Indice

1. I fatti

Un parroco presentava un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali con cui chiedeva la rimozione di n. 6 URL dai risultati di ricerca reperibili su Google in associazione al suo nome e cognome, in quanto detti URL rinviavano ad articoli di stampa diffusi tra il 2017 e il 2019.
In particolare, detti articoli riportavano la notizia della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta nei confronti di due giovani e poi della loro condanna per tentata estorsione nei confronti del reclamante, per non diffondere un video hard che lo avrebbe visto coinvolto, nonché la notizia della sospensione dall’ufficio di parroco disposta nei confronti del reclamante medesimo da parte della propria parrocchia.
A sostegno del reclamo, il parroco affermava di essere attualmente libero da ogni accusa sia per quanto concerne la giurisdizione penale e civile, che per quella ecclesiastica, nonché che le notizie pubblicate erano non più pertinenti in considerazione del tempo trascorso dalla loro diffusione e del loro contenuto. Infine, il parroco sosteneva che il presunto video non era mai stato prodotto in giudizio o pubblicato e quindi vi erano anche dubbi circa la sua esistenza.
Preso atto del reclamo, il Garante chiedeva a Google di fornire elementi in ordine al reclamo e se la stessa aveva intenzione di adempiere alle richieste di deindicizzazione formulate dal reclamante.
Tuttavia, Google rispondeva negativamente alla richiesta del Garante, evidenziando che vi fosse un interesse generale alla reperibilità della notizia, a causa della recente pubblicazione della stessa (cioè gli URL erano stati pubblicati tra il 2017 e il 2019) e che le informazioni contenute negli articoli erano ancora attuali in considerazione del ruolo ricoperto dal reclamante. A tale ultimo proposito, secondo Google, vi è la necessità per qualsiasi persona che entri in contatto con il reclamante di poter accedere alle informazioni riguardanti il provvedimento adottato nei suoi confronti dalla parrocchia / diocesi, al fine di essere messa in guardia rispetto a possibili “comportamenti pubblici o professionali impropri”.
Infine, il Reclamante depositava al Garante una attestazione della Curia, in cui quest’ultima affermava che il reclamante medesimo era stato reintegrato nel ministero sacerdotale e che il procedimento penale canonico che lo aveva riguardato si era concluso con la revoca della sospensione della funzione di parroco.
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Giunto alla seconda edizione, il volume affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali, alla luce delle recenti pronunce del Garante della privacy, nonché delle esigenze che nel tempo sono maturate e continuano a maturare, specialmente in ragione dell’utilizzo sempre maggiore della rete. L’opera si completa con una parte di formulario, disponibile online, contenente gli schemi degli atti da redigere per approntare la tutela dei diritti dinanzi all’Autorità competente. Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Michele Iaselli Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II, nonché Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore in numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.

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2. Diritto all’oblio e deindicizzazione di Url: la valutazione del Garante

Preliminarmente, il Garante ha ricordato che, in considerazione del fatto che Google svolge le proprie attività in ambito europeo attraverso le proprie sede, alla predetta piattaforma americana si applica il principio di stabilimento, con conseguente sottoposizione al Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (GDPR) di ogni trattamento posto in essere dalla predetta piattaforma. Conseguentemente, il Garante italiano è competente a decidere il reclamo ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale.
Nel merito del reclamo, il Garante ha ritenuto che, per valutare la fondatezza dell’esercizio del diritto di oblio da parte di un interessato, è necessario tenere conto sia del trascorrere del tempo (rispetto alla notizia di cui si tratta), sia degli ulteriori criteri individuati dalla Linee guida in materia. In particolare, bisogna considerare il fatto che la disponibilità di un determinato risultato nei motori di ricerca arrechi un pregiudizio all’interessato milita fortemente a favore della deindicizzazione di detto risultato, senza peraltro che vi sia necessità che l’interessato dimostri l’esistenza di tale pregiudizio.
Nel caso di specie, gli URL contenenti le notizie relative al reclamante rinviavano a notizie di stampa diffuse tra il 2017 e il 2019, dove si faceva riferimento a una vicenda giudiziaria che si è conclusa senza alcuna condanna in capo al parroco e anzi che lo ha visto quale vittima di un reato.
Inoltre, il reclamante è stato reintegrato nel ministero sacerdotale a partire dal luglio 2022 e sono trascorsi oltre sei anni dalla pubblicazione degli articoli di stampa in questione.
Infine, il Garante ha ritenuto che la persistente associazione delle notizie contenute negli URL di cui è causa al nome del reclamante comporta un pregiudizio sulla sua vita e sulla sua attività, e non appare più giustificato da ragioni di interesse pubblico.

3. La decisione del Garante

In considerazione di quanto sopra, il Garante ha ritenuto che il reclamante abbia legittimamente invocato il diritto all’oblio e quindi ha considerato fondato il reclamo con riferimento alla richiesta di deindicizzazione dei n. 6 URL contenenti le notizie di stampa relative alla vicenda che hanno coinvolto il reclamante.
Conseguentemente, il Garante ha ingiunto a Google di rimuovere gli URL in questione quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo del reclamante, entro il termine di 20 giorni dalla ricezione del provvedimento. Con l’avvertimento che, in caso di inosservanza da parte di Google della suddetta ingiunzione, il Garante procederà ad irrogare nei confronti della piattaforma la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal GDPR. 
Infine, il Garante ha ritenuto che vi fossero i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità della predetta misura adottata nel caso di specie nei confronti di Google, ma che detta misura non dovrà comunque essere ritenuta (in futuri procedimenti) come un precedente pertinente a carico della piattaforma americana, in considerazione del fatto che la decisione di deindicizzazione degli URL adottata è il frutto di una valutazione effettuata dal Garante sulla base delle specificità del singolo caso oggetto di reclamo.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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