Il diritto penale nella Costituzione -Scheda di Diritto

Rovere Enzo 25/09/24

Nel seguente articolo si vuole discutere sul ruolo in Costituzione del diritto penale, approfondendo i più caratteristici princìpi di diritto penale positivo.

Indice

1. Il diritto penale nella Costituzione


La nostra Costituzione è entrata in vigore in data 1 gennaio 1948, al termine di un orribile e devastante conflitto mondiale, e dopo un referendum  nazionale, che ha visto il popolo esprimersi per una forma repubblicana, relegando così in archivio la  monarchia.
Composta di 139 articoli, divisi per argomenti: diritti e doveri dei cittadini, poteri giuridici riservati al Parlamento, poteri giuridici del Governo e della amministrazione, poteri della giurisdizione, la figura del Presidente della Repubblica; ed infine alcune norme transitorie, che evidenziano il passaggio dalla monarchia alla repubblica.
Caratteristica principale è la particolare attenzione e cura delle libertà individuali, ponendo al centro la tutela della persona in tutte le sue manifestazioni, civili, democratiche e di relazione.
Tutto ciò si evince dal principio cardine di tutta la Costituzione, sancito nell’articolo 2, che appunto così recita = “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.
Ed ancora, più oltre, all’articolo 27, terzo comma, viene espresso, con sapore quasi di corollario del precedente articolo 2, che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari  al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Se ne deduce pertanto come, alla luce dei suddetti dettati, sia da considerarsi aberrante ed improponibile qualsiasi forma di pena corporale o di costrizione che leda la dignità dell’individuo, inteso come persona nella sua interezza in qualsivoglia rapporto e di relazione.
A maggior ragione si comprende pure come non possa trovare collocazione nel nostro ordinamento assolutamente la pena capitale, ora di fatto abolita anche per i casi previsti dalle leggi militari di guerra, per quanto grave ed aberrante possa essere il reato perpetrato, proprio per l’assunto che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

2. La non retroattività della legge penale


Tale principio è espressamente indicato nella parte prima della Costituzione, diritti e doveri dei cittadini, titolo uno, rapporti civili, secondo capoverso dell’art. 25, che testualmente recita: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Ciò deriva dal principio di legalità, oltre richiamato e ben si colloca nell’assunto democratico della Repubblica, e nelle espressioni di libertà  e di sana giustizia.

3. Il principio di legalità


Anche qui radicato nel secondo e terzo capoverso dell’articolo 25 della Costituzione, che appunto, come sopra richiamato, recita che: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” aggiungendo poi  che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Per quanto attiene la “misura di sicurezza”(vedasi oltre) è da rilevare che, a differenza della pena, questa non è una sanzione, ma un mezzo di tutela preventiva di natura amministrativa contro le cause del reato. La pena, quindi, si configura essere espressione di giustizia, mentre la misura di sicurezza ha solo carattere di utilità generale e sociale, non raffigurandosi categoria di espiazione, ma solo attenzione dello Stato a contenere la pericolosità, curando anche la correzione.

4. La personalità della responsabilità penale


Tale principio trova espressione e collocazione nella parte prima della Costituzione, al titolo 1, rapporti civili, e precisamente nell’articolo 27, che testualmente recita = “La responsabilità penale è personale; l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva………”. Si sancisce, pertanto, il principio della responsabilità per fatto proprio, e sarebbe incostituzionale una legge che volesse attribuire la responsabilità penale di un reato ad una persona estranea al fatto. A maggior ragione, la pena che ne consegue non può essere applicata, ed è del tutto impensabile, a soggetti del tutto estranei al fatto commesso.

5. Il principio della umanizzazione delle pene


Principio sancito nel già richiamato articolo 27, terzo comma, della Costituzione, che recita = “….le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato….”. Tale dettato si comprende se si entra nello spirito più profondo della Costituzione, che è quello di porre al centro dell’attenzione la dignità, fisica e morale del cittadino e i diritti di libertà e non sarebbe giustificabile, quindi, ad esempio, un trattamento carcerario crudele, o una continua segregazione cellulare. Rendere le pene umane significa anche favorire il ravvedimento del reo ed il suo reinserimento nella società, curando nel contempo la necessaria severità ed attenzione.

6. Abolizione della pena di morte


Recita testualmente l’ultimo comma del citato articolo 27 = “…non è ammessa la pena di morte”. Quando fu emanato il testo della Costituzione, nel lontano 1948, il testo era il seguente: “…non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. Ma in seguito, l’articolo fu modificato con legge costituzionale del 2/10/2007, numero 1, e pertanto non esiste più, in nessun caso, nel nostro ordinamento la pena di morte. Già in precedenza se ne era occupata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con protocollo nr. 6 sulla abolizione della pena di morte, adottato a Strasburgo il 28 aprile 1983, e reso esecutivo con legge 2 gennaio 1989; nonché la legge 13 ottobre 1994, nr. 589 sulla abolizione della pena di morte nel codice penale militare di guerra.

7. Le misure di sicurezza


Le misure di sicurezza sono considerate provvedimenti da applicare ad un reo, ritenuto pericoloso per la società. Le misure di sicurezza non hanno una scadenza massima, per la impossibilità di comprendere quando verrà a cessare la pericolosità del soggetto; e ciò lo si desume pure dal disposto dell’articolo 207, comma 1, del codice penale, che recita = “le misure di sicurezza non possono essere revocate, se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose….”.
A norma dell’articolo 215 del codice penale, che qui viene richiamato, le misure di sicurezza personali si distinguono in detentive e non detentive.
Sono misure di sicurezza detentive: l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro – il ricovero in una casa di cura e di custodia – il ricovero in un manicomio giudiziario – il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Sono misure di sicurezza non detentive: la libertà vigilata – il divieto di soggiorno in uno o più comuni, o in una o più province – il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche – l’espulsione dello straniero dallo Stato.
Sono poi anche previste misure di sicurezza patrimoniale, che sono la cauzione e la confisca di beni o di ciò che è stato utilizzato per compiere il reato o che sono stati prodotti dal reato.
Della cauzione si occupano gli articoli 237 e seguenti del codice penale e della confisca gli articoli 240 e seguenti.  
Abbiamo quindi compreso che la misura di sicurezza non ha scopo punitivo, ma tende solo a rieducare il reo; che inoltre non ha una durata determinata, come invece la pena; ed infine che può essere applicata solo in presenza di accertata pericolosità sociale.   

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