Premessa
Nella causa C-164/09, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto l’8 maggio 2009, la Commissione Europea, rappresentata dal sig. C. Zadra e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorre contro la Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta.
La CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, con Sentenza C-164/09 dell’11/11/2010 giunge a riconoscere come la sussistenza di un inadempimento deve essere valutata alla luce della situazione esistente nello Stato membro interessato alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivamente intervenuti (C.G.CE, sentenze 11/01/2007, causa C-183/05, Commissione/Irlanda e 14/10/2010, causa C-535/07, Commissione/Austria). Pres. Bonichot – Rel. Bay Larsen – Commissione europea c. Repubblica italiana.
Andando ad analizzare la deroga al regime restrittivo della caccia e la Conservazione degli uccelli selvatici secondo quanto stabilito dagli Artt. 7 e 9 della Direttiva 79/409/CEE, la Corte di Giustizia ritiene che la possibilità, prevista all’art. 9 della direttiva, di derogare al regime restrittivo della caccia di cui all’art. 7 della medesima direttiva, soggiace a tre condizioni. In primo luogo, lo Stato membro deve limitare la deroga al caso in cui non vi sia un’altra soluzione soddisfacente. In secondo luogo, la deroga deve basarsi su almeno uno dei motivi tassativamente elencati all’art. 9, n. 1, lett. a), b) e c), della direttiva. In terzo luogo, la deroga deve rispondere ai precisi requisiti di forma di cui a detto art. 9, n. 2, requisiti volti a limitare le deroghe allo stretto necessario e a permettere la vigilanza da parte della Commissione (C.G.CE, sentenza 7/3/1996, causa C-118/94, Associazione Italiana per il WWF e a.). Trattandosi di un regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva (C.G.CE, sentenza 8/6/2006, causa C-60/05, WWF Italia e a.). Nella specie, la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 9 di tale direttiva. Pres. Bonichot – Rel. Bay Larsen – Commissione europea c. Repubblica italiana.
1. Contesto normativo europeo
Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, a seguito dell’adozione e dell’applicazione da parte della Regione Veneto di una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 9 di detta direttiva.
L’art. 5, lett. a), della direttiva vieta in maniera generale di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri cui si applica il Trattato CE.
L’art. 7 della direttiva recita:
«1. In funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate nell’allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri faranno in modo che la caccia di queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione.
2. Le specie dell’allegato II, parte 1, possono essere cacciate nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.
3. Le specie dell’allegato II, parte 2, possono essere cacciate soltanto negli Stati membri per i quali esse sono menzionate.
4. Gli Stati membri si accertano che l’attività venatoria, compresa eventualmente la caccia col falco, quale risulta dall’applicazione delle disposizioni nazionali in vigore, rispetti i principi di una saggia utilizzazione e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate e sia compatibile, per quanto riguarda la popolazione delle medesime, in particolare delle specie migratrici, con le disposizioni derivanti dall’articolo 2. Essi provvedono in particolare a che le specie cui si applica la legislazione della caccia non siano cacciate durante il periodo della nidificazione né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Quando si tratta di specie migratrici, essi provvedono in particolare a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili sull’applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia».
L’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva autorizza, tuttavia, deroghe alle seguenti condizioni:
«1. Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli articoli 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni:
a) – nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica,
– nell’interesse della sicurezza aerea,
– per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,
– per la protezione della flora e della fauna;
b) ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni;
c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
2. Le deroghe dovranno menzionare:
– le specie che formano oggetto delle medesime,
– i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati,
– le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,
– l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,
– i controlli che saranno effettuati».
2. La normativa nazionale
Il prelievo venatorio in deroga nella Regione Veneto era disciplinato, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, dalla legge della Regione Veneto 12 agosto 2005, n. 13, che disciplina il regime di deroga previsto dall’art. 9 della direttiva, in applicazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221, che integra la legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell’art. 9 della direttiva (BUR Veneto 16 agosto 2005, n. 77; in prosieguo: la «legge n. 13/2005»).
3. Fase precontenziosa del procedimento
In seguito all’esame della legge n. 13/2005 la Commissione ha ritenuto che la normativa adottata dalla Regione Veneto autorizzasse deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispettavano le condizioni di cui all’art. 9 della direttiva e, di conseguenza, ha intimato alla Repubblica italiana, con lettera del 18 ottobre 2005, di presentare le sue osservazioni in merito.
Non avendo quest’ultima risposto a tale lettera, la Commissione ha emesso, il 10 aprile 2006, un parere motivato che riproduceva gli addebiti sollevati in detta lettera ed invitava lo Stato membro interessato a conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica.
Il 12 giugno 2006 la Commissione ha ricevuto, tramite la Rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea, una comunicazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio che la informava dell’intenzione della Regione Veneto di apportare le modifiche richieste alla legge n. 13/2005.
Successivamente le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione una serie di testi di modifica della legge n. 13/2005.
Ritenendo che non si fosse posto rimedio all’inadempimento dedotto, la Commissione ha deciso di proporre il ricorso oggetto della sentenza che qui viene esaminata.
4. Sul ricorso
Argomenti delle parti:
La Commissione fa valere che la legge n. 13/2005 non è conforme all’art. 9 della direttiva sotto vari aspetti. Anzitutto, l’art. 2 di tale legge indicherebbe esplicitamente le specie di uccelli che possono costituire indifferentemente oggetto di una deroga a norma dell’art. 9, n. 1, lett. a) oppure lett. c), della direttiva. Si tratterebbe del passero (Passer Italiae), della passera mattugia (Passer montanus), del cormorano (Phalacrocorax carbo), del fringuello (Fringilla coelebs), della peppola (Fringilla montifringilla), dello storno (Sturnus vulgaris) e della tortora dal collare orientale (Streptopelia decaocto). Orbene, le prime cinque specie menzionate non sarebbero elencate nell’allegato II alla direttiva, mentre le ultime due, sebbene indicate in tale allegato II, parte 2, non potrebbero essere cacciate in Italia. Le specie delle quali sono autorizzati i prelievi sarebbero, quindi, identificate in via generale ed astratta e senza limiti temporali. Infatti, l’allegato A alla legge n. 13/2005 già indicherebbe il numero di esemplari delle suddette specie di uccelli che può essere prelevato nelle stagioni venatorie dal 2005 al 2010.
Detta legge, inoltre, non prevedrebbe la previa verifica della mancanza di altre soluzioni soddisfacenti né l’obbligo per i singoli provvedimenti di deroga di indicare le condizioni di rischio e le circostanze di luogo nelle quali le deroghe medesime possono essere adottate nonché i soggetti autorizzati a dar loro applicazione.
Il limite massimo di soggetti abbattibili nella Regione Veneto in forza dell’allegato A alla legge n. 13/2005, poi, non sarebbe conforme alla nozione di «piccole quantità» di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva.
Infine, la Commissione sostiene che i provvedimenti adottati dalle autorità competenti della Regione Veneto dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato non hanno posto rimedio all’inadempimento degli obblighi derivanti dall’art. 9 della direttiva.
La Repubblica italiana sottolinea anzitutto che, pur sollevando riserve sul modo in cui la Regione Veneto ha esercitato la facoltà di deroga prevista all’art. 9 della direttiva, motivi di interesse nazionale la inducono a presentare alla Corte osservazioni a difesa nella presente causa. In particolare, lo Stato membro convenuto spera che con l’occasione la Corte possa fugare taluni dubbi di interpretazione riguardo alla normativa controversa, che hanno ostacolato il recepimento della direttiva.
Per quanto concerne l’asserita inosservanza della condizione posta all’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva, in base alla quale il prelievo degli uccelli può essere effettuato solo in piccole quantità, la Repubblica italiana sostiene che la normativa controversa soddisfa tale condizione. Al riguardo detto Stato membro fa valere, in sostanza, che le quantità di uccelli cacciabili in teoria non vengono mai cacciate anche in pratica e ciò a causa di un contesto regionale caratterizzato dalla costanza del rapporto tra le diverse forme di caccia specialistica, quali la caccia agli ungulati, agli anatidi, alle specie stanziali oppure a quelle migratrici. Pertanto, sarebbe escluso che ogni cacciatore della Regione Veneto si avvalga effettivamente del regime derogatorio in causa.
La Repubblica italiana sostiene inoltre che, siccome la caccia a fini ricreativi, diretta esclusivamente alla soddisfazione di una richiesta venatoria legata alle tradizioni culturali e gastronomiche di una determinata zona – la Regione Veneto nella fattispecie – costituisce, nei limiti dei prelievi in «piccole quantità», una forma di impiego misurato ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva, non occorre richiedere la verifica preventiva della mancanza di altre soluzioni soddisfacenti.
Infine, detto Stato membro rileva che, sulla base degli addebiti formulati dalla Commissione nella lettera di diffida e nel parere motivato nei confronti della legge n. 13/2005, la Regione Veneto ha adottato, in particolare, la legge 18 agosto 2007, n. 24 (BUR Veneto 21 agosto 2007, n. 73), che ha modificato la legge n. 13/2005.
5. Giudizio della Corte
In via preliminare, si deve ricordare che la sussistenza di un inadempimento deve essere valutata alla luce della situazione esistente nello Stato membro interessato alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivamente intervenuti (v., segnatamente, sentenze 11 gennaio 2007, causa C-183/05, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-137, punto 17, e 14 ottobre 2010, causa C-535/07, Commissione/Austria, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).
Di conseguenza, nella fattispecie, il ricorso è stato esaminato per inadempimento solo alla luce della legge n. 13/2005.
È pacifico che l’art. 2, n. 1, della legge n. 13/2005 autorizza prelievi venatori di specie di uccelli che non rientrano nell’art. 7 della direttiva.
Orbene, la Corte ha ammesso la possibilità di derogare al divieto di cacciare siffatte specie di uccelli, in particolare per il motivo di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), di detta direttiva (v., in tal senso, sentenza 16 ottobre 2003, causa C-182/02, Ligue pour la protection des oiseaux e a., Racc. pag. I-12105, punto 10).
Quanto alla possibilità, prevista all’art. 9 della direttiva, di derogare al regime restrittivo della caccia di cui all’art. 7 della medesima direttiva, la Corte ha sottolineato che essa soggiace a tre condizioni. In primo luogo, lo Stato membro deve limitare la deroga al caso in cui non vi sia un’altra soluzione soddisfacente. In secondo luogo, la deroga deve basarsi su almeno uno dei motivi tassativamente elencati all’art. 9, n. 1, lett. a), b) e c), della direttiva. In terzo luogo, la deroga deve rispondere ai precisi requisiti di forma di cui a detto art. 9, n. 2, requisiti volti a limitare le deroghe allo stretto necessario e a permettere la vigilanza da parte della Commissione (v., in tal senso, sentenza 7 marzo 1996, causa C-118/94, Associazione Italiana per il WWF e a., Racc. pag. I-1223, punto 21).
Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, tra le condizioni da soddisfare affinché la caccia che deroga all’art. 7 della direttiva possa essere autorizzata ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), della medesima direttiva figura quella relativa all’assenza di un’altra soluzione soddisfacente (v., in tal senso, sentenze Ligue pour la protection des oiseaux e a., cit., punto 8, nonché 9 giugno 2005, causa C-135/04, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-5261, punto 18).
Trattandosi di un regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva (v. sentenza 8 giugno 2006, causa C-60/05, WWF Italia e a., Racc. pag. I-5083, punto 34).
Nella fattispecie, è pacifico che nessun provvedimento di diritto nazionale pertinente verte sulla condizione relativa all’assenza di un’altra soluzione soddisfacente.
Pertanto, il ricorso della Commissione viene ritenuto fondato sotto questo aspetto da parte della Corte di Giustizia.
Occorre, peraltro, ricordare che l’art. 9 della direttiva, pur autorizzando un’ampia deroga al regime generale di protezione, si prefigge solo un’applicazione concreta e puntuale per soddisfare precise esigenze e situazioni specifiche (citata sentenza Associazione Italiana per il WWF e a., punto 21).
Pertanto, non soddisfa i requisiti previsti dall’art. 9 della direttiva una disposizione di diritto interno, quale l’art. 2 della legge n. 13/2005, che menziona le specie di uccelli, citate al punto 11 della presente sentenza, che possono costituire indifferentemente oggetto di una deroga a norma di detto art. 9, n. 1, lett. a) oppure lett. c), e il cui numero di esemplari prelevabili è fissato per un periodo di cinque anni.
Il ricorso della Commissione Europea viene pertanto accolto anche su tale punto.
Poiché l’art. 9, n. 2, della direttiva prescrive che i provvedimenti di deroga indichino obbligatoriamente, in particolare, le condizioni di rischio e le circostanze di luogo nelle quali le deroghe medesime possono essere adottate, la legge n. 13/2005, che nulla nel fascicolo indica soddisfare tali requisiti, non è conforme a detta disposizione.
Pertanto la Corte di Giustizia accoglie il ricorso al riguardo.
Per quanto concerne l’addebito relativo al fatto che la legge n. 13/2005 non prevede che i provvedimenti di deroga menzionino necessariamente i soggetti autorizzati ad applicare le deroghe, esso è da ritenere in ogni caso infondato. Infatti, dal fascicolo risulta che la stessa Regione Veneto ha autorizzato, tramite detta legge, per una durata predefinita, l’applicazione di talune deroghe senza la necessità di adottare nuove misure, di conseguenza, il ricorso viene respinto su questo punto.
Quanto all’addebito relativo all’errata valutazione del criterio delle «piccole quantità» stabilito all’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva, si deve rammentare che il documento della Commissione del 24 novembre 1993, intitolato «Seconda relazione sull’esecuzione della direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici» [COM(93) 572 def.], indica che, in conformità dei lavori del comitato ORNIS, occorre considerare come «piccola quantità» qualsiasi prelievo inferiore all’1% della mortalità annua totale della popolazione interessata (valore medio) per le specie che non possono essere cacciate e dell’ordine dell’1% per le specie che possono essere oggetto di azioni di caccia, intendendo per «popolazione interessata», in relazione alle specie migratrici, la popolazione delle regioni che forniscono i principali contingenti che frequentano la regione in cui si esercita la deroga durante il periodo della sua applicazione (v., segnatamente, sentenza 15 dicembre 2005, causa C-344/03, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I-11033, punto 53).
Se è vero che il criterio delle «piccole quantità» nella forma elaborata dal comitato ORNIS non è giuridicamente vincolante, esso può, eventualmente, in ragione dell’autorità scientifica di cui godono i pareri di tale comitato e dell’omessa produzione di qualsiasi elemento di prova scientifica contraria, essere utilizzato dalla Corte come base di riferimento per valutare se la deroga concessa dallo Stato membro convenuto ai sensi dell’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva rispetti la condizione che la cattura degli uccelli di cui trattasi avvenga in piccole quantità (v., in particolare, citata sentenza Commissione/Finlandia, punto 54).
Peraltro, secondo il punto 3.5.42 del documento intitolato «Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva [79/409/CEE]», quale aggiornato dalla Commissione nel 2008 ed invocato dalla medesima nel presente procedimento, punto dedicato alla nozione di «piccole quantità» ricordata al punto 35 della presente sentenza, è possibile ipotizzare un prelievo superiore alla soglia dell’1% – vale a dire fino al 5% della mortalità annua – per le specie abbondanti con uno stato di conservazione soddisfacente, previa approfondita analisi scientifica dell’autorità competente a rilasciare la deroga.
Orbene, è pacifico che, nel caso del fringuello, la legge n. 13/2005 consente l’abbattimento di 6 059 000 esemplari, mentre l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, applicando il criterio del 5% della mortalità naturale in Italia e ripartendo il risultato tra le regioni italiane, era pervenuto ad un numero massimo di 410 946 esemplari che potevano essere prelevati nella Regione Veneto. Quanto alla peppola, detta legge consente l’abbattimento di 1 514 750 esemplari, mentre il suddetto Istituto, applicando il criterio del 5% della mortalità naturale, aveva fissato a 135 591 il numero massimo di esemplari prelevabili nella regione in questione.
Ne consegue che le quantità di uccelli di dette specie che possono essere cacciate in forza della legge n. 13/2005 sono comunque nettamente superiori al limite risultante dalla nozione di «piccole quantità» di cui all’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva.
Di conseguenza, la Repubblica italiana ha violato la direttiva anche su questo punto.
Tale constatazione non può essere inficiata dalla circostanza che, a causa del contesto regionale caratterizzato da una forte stabilità del rapporto tra le diverse forme di caccia specialistica, le quantità di uccelli cacciabili in teoria non vengano mai cacciate anche in pratica.
Infatti, come rilevato giustamente dalla Commissione, la determinazione delle piccole quantità prelevabili effettuata nella fattispecie, basandosi su un dato aleatorio, vale a dire sul fatto che non tutti i cacciatori cacceranno le specie oggetto della deroga, non risponde alle esigenze scientifiche che tale criterio è volto a tutelare e non rispetta il principio di certezza del diritto.
Alla luce delle precedenti considerazioni la Corte di Giustizia giunge ad accogliere il ricorso della Commissione, salvo quanto rilevato ai punti 33 e 34 della sentenza emanata.
Occorre pertanto constatare che, poiché la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 9 di tale direttiva.
6. Sulle spese
Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta sostanzialmente soccombente, è stata condannata alle spese.
La Corte di Giustizia, Quarta Sezione, giunge quindi a dichiarare e statuire che:
1) Poiché la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 9 di tale direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
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