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PREMESSA.
La novella del 02 luglio 2010 (D. Lgs. 104/2010 – Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) ha integralmente riscritto il giudizio cautelare (art. 55 e ss.) introducendo in esso nuove regole, principi e termini.
In particolare, si registra la introduzione di termini processuali più lunghi (5° comma) che dovrebbero assicurare all’Amministrazione resistente (ma anche agli eventuali contro-interessati destinatari delle notifiche) uno “spatium deliberandi” più congruo per l’approntamento delle difese nell’ottica della eventuale costituzione in giudizio e contestualmente consentire al giudice un maggiore spazio di approfondimento degli affari da trattare in camera di consiglio.
Infatti, la disposizione contenuta nel quinto comma (ai sensi della quale “sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso. Le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio”), ai fini della fissazione dell’affare cautelare in camera di consiglio, richiede il verificarsi di una doppia condizione:
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che tra la data del perfezionamento della ultima notifica dell’atto introduttivo e la data di celebrazione della camera di consiglio siano decorsi, almeno, venti giorni liberi;
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che tra la data del deposito del ricorso in segreteria e la stessa data di trattazione dell’affare in camera di consiglio sia decorso un ulteriore termine di almeno dieci giorni liberi.
Il sesto comma, invece, disciplina il particolare caso in cui una (o più) delle notificazioni del ricorso introduttivo (o della separata domanda cautelare) sia stata eseguita a mezzo del servizio postale (l. 890/1982) ed il ricorrente non abbia (ancora) la materiale disponibilità dell’avviso di ricevimento dell’avvenuta notificazione.
In tal caso, recita la norma (6° comma), il ricorrente “ai fini del giudizio cautelare … può provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell’attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle poste …”.
La presente riflessione intende soffermarsi sulle possibili interpretazioni di tale disposizione e sulle problematiche, anche di legittimità costituzionale, che la stessa pone all’interprete alla luce della giurisprudenza formatasi sulla disciplina contenuta nella legge 890/1982 (notifiche a mezzo del servizio postale), tenuto conto che la stessa disposizione si applica anche al procedimento per il regolamento di competenza innanzi al Consiglio di Stato (art. 15, 3° comma) ed al giudizio d’appello cautelare per il richiamo contenuto all’art. 62, 2° comma.
Preliminare a tale indagine, pertanto, è, da un lato, lo svolgimento di una sintetica ricostruzione della giurisprudenza formatasi sulla normativa che disciplina le notificazioni a mezzo del servizio postale, dall’altro, mettere a fuoco i principi che costituiscono “diritto vivente” con riferimento alla disciplina di cui alla legge 890/1982.
2. Introduzione nell’Ordinamento del principio giuridico della scissione soggettiva nel procedimento notificatorio (Corte Cost. n° 477/2002).
Occorre svolgere una pur sintetica ricostruzione in ordine alla tumultuosa evoluzione che l’istituto della notificazione degli atti giudiziari, ed in particolare delle notificazioni a mezzo del servizio postale (l. 20 novembre 1982, n. 890), ha registrato nell’ultimo decennio per il susseguirsi di importanti interventi della Corte Costituzionale.
Una chiara esposizione degli istituti e norme richiamate non può che avere inizio dall’ormai nota sentenza 26 novembre 2002, n. 477 della Corte Costituzionale.
Infatti, la Corte delle leggi con la sentenza n. 477/2002 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 4, 3° comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 – nella parte in cui prevedeva che la notificazione eseguita a mezzo del servizio postale si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario – e non è di scarso momento ricordare in questa sede che tale pronuncia, essendo una sentenza interpretativa di accoglimento di tipo “additivo”, era idonea ad esprimere i criteri da applicare, in via generale, in materia di notifiche, al fine di poter addivenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in materia.
Tale importante pronunciamento della Corte ha, quindi, dato ingresso nel nostro ordinamento, in materia di notificazioni di atti, al principio della c.d. “scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale” (v. Corte Cost. sent. 477/2002).
In base a tale principio, dunque, gli effetti propri della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale devono essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari (quale appunto l’agente postale) sottratta “in toto” al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo, restando naturalmente fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo.
E’ ben noto che tale principio giuridico è stato integralmente recepito dal Legislatore nell’attuale formulazione dell’art. 149 c.p.c., che disciplina la notificazione a mezzo del servizio postale, il quale nel suo terzo comma [aggiunto dall’art. 2, 1° c. lett. e) della legge 28.12.2005, n° 263] recita:
“la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”.
3. Individuazione del momento perfezionativo della notifica eseguita a mezzo del servizio postale e valore probatorio dell’avviso di ricevimento dell’eseguita notifica (art. 4, 3° comma, L. 890/1982).
Non rimane senza conseguenze, dunque, prendere atto della interpretazione affermatasi nel “diritto vivente” circa l’individuazione del momento e dei casi in cui per il soggetto destinatario si concretizza l’effetto di legale conoscenza dell’atto notificatogli, e la questione è di evidente rilievo costituzionale stante che innestandosi su tale aspetto il momento genetico del rapporto processuale, rimangono “ipso facto” coinvolti diritti costituzionalmente protetti e cioè sia il diritto di difesa (art. 24 Cost.) che il principio del “giusto processo” (art. 111 Cost.).
La giurisprudenza di merito e di legittimità interpretando l’attuale art. 149 c.p.c., così come risultante dalla novella di cui all’art. 2, 1° c. lett. e) della legge 28.12.2005, n° 263 (in vigore dal 1° marzo 2006), è costante nel precisare che “la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. (e dalle disposizioni della l. n. 890 del 1982) è il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita …”1
Il pacifico principio ermeneutico superiormente tratteggiato, ha trovato autorevole conferma, seppur sotto diversa angolazione, anche ad opera delle sezioni unite della Cassazione.
Il dubbio interpretativo risolto da S.U. n° 9962 del 27.04.20102 faceva riferimento al caso in cui la firma del destinatario apposta sull’avviso di ricevimento della eseguita notificazione a mezzo posta (nello spazio riservato al “destinatario o persona delegata”) era vergata con grafia illeggibile e da qui il dubbio che la notificazione potesse qualificarsi inesistente.
Le S.U. hanno in tale occasione stabilito i seguenti importanti principi:
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la legge 890/1982 non prescrive quale requisito di validità della notifica che l’avviso di ricevimento della stessa debba essere sottoscritto, dal destinatario, con firma leggibile;
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è irrilevante che non siano state indicate, dall’agente postale, le esatte generalità della persona a mani della quale è stato consegnato il piego in quanto la omessa indicazione da parte dello stesso del compimento delle formalità previste dal citato art. 7, comma 4, induce a ritenere, salvo querela di falso3, che tale agente abbia consegnata la copia dell’atto da notificare personalmente al destinatario;
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ai fini della regolarità della notifica non rileva la mancanza nell’avviso di ricevimento della specificazione “personalmente al destinatario”.
Giova rilevare che l’art. 65 del R.D. n. 12 del 1941 (ordinamento giudiziario), ove individua la Corte di Cassazione “quale organo supremo della giustizia”, volto ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, attribuisce espressamente la funzione nomofilattica alla Corte di Cassazione e in tale prospettiva è dato cogliere il senso dell’esistenza dell’Ufficio del Massimario, ufficio che notoriamente cura il monitoraggio della giurisprudenza della Suprema Corte, anche al fine di favorire l’uniformità dell’interpretazione4.
Ciò per significare che nel nostro Ordinamento i principi interpretativi in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, contenuti nella richiamata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, costituiscono per l’intero sistema giudiziario, compreso il processo amministrativo, “diritto vivente”.
4. Momento perfezionativo della notifica eseguita a mezzo posta e illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c. (Corte Cost. 3/2010).
Il costante assetto interpretativo ad opera della Corte di Cassazione in tema di notificazioni a mezzo posta, sopra richiamato, è culminato nella recente sentenza della Corte Costituzionale n° 3 del 14.01.2010 la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c. nella parte in cui prevedeva che la notifica al soggetto assente o irreperibile si perfezionava, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa, o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
I sospetti di legittimità costituzionale dell’art. 140 cod. si appuntavano infatti nella parte in cui tale norma – quale risultava dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, anche a sezioni unite – faceva decorrere gli effetti della notifica, nei confronti del destinatario della stessa, dal compimento dell’ultimo degli adempimenti prescritti, ossia dalla spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento 5.
Il Giudice delle Leggi confrontando la disciplina giuridica del procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale (legge 890/1982, come risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2 del d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005, che ha sostituito il 2° ed 4° comma dell’art. 8 delle legge 890/1982), in seno al quale l’esigenza di certezza nella individuazione della data di perfezionamento del procedimento notificatorio, nonché l’esigenza di effettività delle garanzie di difesa e di corretta instaurazione del contraddittorio sono garantite dalla previsione che la notificazione si perfeziona decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata informativa (art. 8, 2° comma), ovvero dalla data di materiale ritiro del plico postale se anteriore (art. 8, 4° comma), con la disciplina giuridica dell’art. 140 c.p.c. nella quale il “diritto vivente”, ai fini del perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario, dava rilievo, per esigenze di certezza, alla sola spedizione della raccomandata, è giunto alla seguente conclusione:
l’art. 140 c.p.c., così come costantemente interpretato, facendo decorrere i termini per la tutela in giudizio del destinatario della notifica dell’atto giudiziario da un momento anteriore alla concreta conoscibilità dell’atto a lui notificato, violava i parametri costituzionali per il non ragionevole bilanciamento tra gli interessi del notificante, su cui ormai non gravano più i rischi connessi ai tempi del procedimento notificatorio, e quelli del destinatario, in una materia nella quale, invece, le garanzie di difesa e di tutela del contraddittorio devono essere improntate a canoni di effettività e di parità delle parti (Corte Cost. n° 3/2010).
Ciò premesso, ai fini propri della presente riflessione, non rimane senza conseguenze rilevare che nello scrutinare la questione dedotta al suo esame, la Corte Costituzionale (sent. 3/2010) ha fatto principalmente perno sui principi di cui all’art. 111 della Costituzione (nel testo novellato dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2) secondo cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne stabilisce la ragionevole durata”.
Il diritto ad un giudizio equo ed imparziale, che si svolgesse in base ad un contraddittorio effettivo e nella parità di diritti e poteri delle parti era già implicito nel nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria di cui all’art. 24 della Costituzione, secondo l’interpretazione costantemente fornita dalla Corte Costituzionale, e, per certi versi, non costituisce nemmeno una novità assoluta, essendo il principio in questione consacrato da oltre mezzo secolo nell’art. 6, coma 1, della “convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo”. 6
L’elemento innovativo dell’art. 111 Cost., invece, si coglie nel fatto che l’espressa formulazione del testo costituzionale impone sia al legislatore che a tutti gli operatori del diritto, un continuo confronto ed adeguamento tra le regole processuali e l’art. 111 Cost. 7.
5. Giudizio cautelare amministrativo: notificazione dell’atto introduttivo eseguita a mezzo del servizio postale e assolvimento dell’onere probatorio da parte del ricorrente.
Poste le necessarie premesse, così come esposte nelle precedenti rubriche, è possibile passare all’esame del sesto comma dell’art. 55, che disciplina, come già anticipato, il particolare caso in cui una (o più) delle notificazioni del ricorso e/o della separata domanda cautelare sia stata eseguita a mezzo del servizio postale (l. 890/1982) ed il ricorrente non sia in possesso dell’avviso di ricevimento dell’avvenuta notificazione.
La disposizione in tali casi attribuisce al ricorrente la facoltà di “… provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell’attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle poste ”.
Su tale disposizione, che manifesta evidenti finalità acceleratorie del giudizio cautelare, si addensano non poche perplessità interpretative che scaturiscono principalmente dalla circostanza che la efficacia probatoria attribuita alla “… attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle poste …” circa la data di perfezionamento della notifica, non poggia, come si vedrà di seguito, su nessuno degli elementi di certezza che invece si riscontrano nel procedimento di creazione dell’avviso di ricevimento di cui all’art. 4, 3° comma, della legge 890/1982.
Il primo passo è dunque quello di comprendere, in punto di fatto, la natura ed il contenuto della “attestazione” in argomento e la sua intrinseca potenzialità di costituire “prova” delle circostanze rappresentate.
Costituisce fatto notorio che la società “Poste Italiane S.p.A.” mette al servizio degli utenti il servizio denominato “dove-quando”, fruibile via internet presso il proprio sito 8.
Tale servizio consente all’utente la tracciabilità delle spedizioni postali, tra le quali anche le notificazioni degli atti giudiziari, che sostanzialmente avvengono (sia per le notifiche a mezzo posta eseguite dall’ufficiale giudiziario, sia per quelle effettuate con lo stesso mezzo dagli avvocati ai sensi della legge n° 53/1994) attraverso la spedizione degli stessi atti mediante una raccomandata con avviso di ricevimento.
Quindi, basta collegarsi al detto sito internet delle Poste, inserire negli appositi campi visualizzati il numero della raccomandata e la data di spedizione, per ottenere una risposta visualizzata, in forma anonima, sotto forma di una “scheda”, nella quale vengono specificate le seguenti informazioni:
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l’indicazione del numero del plico postale spedito;
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le modalità di consegna del plico, cioè se lo stesso è stato consegnato dal portalettere all’indirizzo risultante dallo stesso plico, oppure ritirato allo sportello;
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la data di consegna (sia al domicilio che allo sportello) del medesimo.
Malgrado la “attestazione” in argomento, si presenti come un anonimo foglio a stampa, privo di sottoscrizione o di qualsiasi tipo di conformità, generato direttamente dall’utente senza l’ausilio di alcun sistema di controllo che possa attestare la conformità della copia ai dati contenuti nel sito internet e la stessa provenienza degli stessi dati dal medesimo sito, e malgrado dall’esame della “attestazione” non sia oggettivamente possibile desumere né l’identità, né la qualifica del soggetto al quale sia stato consegnato il plico contenente l’atto giudiziario, secondo il tenore letterale della disposizione in esame, la stessa può costituire prova della data di perfezionamento della notificazione, implicitamente surrogando in tale funzione l’avviso di ricevimento dell’avvenuta notifica dell’atto giudiziario (art. 4, 3° c., l. 890/1982).
Alle superiori notazioni aggiungasi, che tale “attestazione” non può essere qualificata “atto pubblico”, in quanto sprovvista dei requisiti di cui agli art. 2699 del codice civile e per l’effetto incapace di estrinsecare alcuna efficacia fidefaciente (art. 2700 c.c.), nè la stessa può essere considerata “scrittura privata”, in quanto mancante dei requisiti di cui all’art. 2702 del codice civile, cioè della firma del dichiarante.
A prescindere, comunque, dalla astratta sussumibilità di tale “attestazione” in uno specifico paradigma giuridico tipizzato, che esula dagli scopi della presente riflessione, rimane il fatto oggettivo che tale “attestazione”, per la sua stessa conformazione, non possiede nessuno dei requisiti di certezza posseduti invece dall’avviso di ricevimento (che è atto pubblico e fa fede fino a querela di falso ex art. 2700 c.c.).
E non può sfuggire che tale strutturale mancanza di garanzie costituisce impedimento oggettivo, in quanto preclude al giudice amministrativo di operare quella doverosa attività di verifica finalizzata all’accertamento della corretta instaurazione del contraddittorio (art. 24 e 111 Cost.) nei confronti di tutte le parti evocate in giudizio; attività di accertamento che è all’evidenza indispensabile sia per la adozione del provvedimento cautelare, sia per una eventuale definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata in esito all’udienza cautelare (art. 60).
In conclusione, a seguito della ricognizione materiale della citata “attestazione” non può residuare nell’interprete dubbio alcuno, che la mera produzione della detta “attestazione” da parte del ricorrente, non possa ritenersi idonea a porre il collegio nella condizione di poter efficacemente operare la necessaria verifica della corretta instaurazione del litisconsorzio; ed è intuitivo, che tale inidoneità della “attestazione” a costituire valido mezzo di prova, di fatto, finisce col precludere l’adozione da parte del giudice amministrativo di qualsiasi provvedimento, in quanto tale attività di verifica ed accertamento della integrità del litisconsorzio si pone nell’ambito della struttura del processo (di qualsiasi processo) come attività pregiudiziale rispetto all’esercizio dello “ius dicere”.
Tuttavia, accertata l’inidoneità della “attestazione” a costituire mezzo di dimostrazione del perfezionamento della notifica (e quindi della integrità del contraddittorio) che possa abilitare il ricorrente a richiedere al giudice l’adozione del chiesto provvedimento cautelare, occorre verificare, nell’ambito delle evidenti finalità acceleratorie assegnate alla disposizione, se alla stessa possa essere attribuito un ulteriore significato che sia conforme ai principi costituzionali di riferimento (art. 24 e 111 Cost.).
Scartata la possibilità che il ricorrente, sulla scorta della produzione della richiamata “attestazione”, possa essere legittimato a richiedere al giudice l’adozione del provvedimento cautelare (ciò in assenza del deposito dell’avviso di ricevimento che attesti incontrovertibilmente la correttezza della notifica eseguita a mezzo posta), sembra a chi scrive che una residua utilità pratica della disposizione in esame possa essere quella di consentire, in favore del ricorrente, la fissazione della camera di consiglio pur in assenza della prova (attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento), dell’avvenuto perfezionamento (art. 55, 5° c.) della notifica eseguita a mezzo posta.
L’utilità della disposizione, quindi, sta nell’evitare la quiescenza del ricorso e della domanda cautelare, nelle more che il ricorrente venga in possesso dell’avviso di ricevimento dell’eseguita notifica.
Per quanto fin qui tratteggiato, è ormai evidente che una diversa interpretazione della disposizione si porrebbe in insanabile conflitto con il “diritto vivente” in materia di notificazioni a mezzo del servizio postale (v. sopra, par. 4).
Infatti, è appena il caso di ribadire che costituisce “diritto vivente” in materia di notificazioni a mezzo del servizio postale il principio secondo cui “… l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. (e dalle disposizioni della l. n. 890 del 1982) è il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita …”. 9
6. Interpretazione adeguatrice del giudice e “diritto vivente”.
Ciò premesso, è auspicabile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in esame rispetto ai parametri costituzionali costituiti dall’art. 24 e 111 Cost., nel senso e nei limiti sopra illustrati, non sussistendo, nel caso di specie, alcun impedimento di sorta alla c.d. “interpretazione adeguatrice” del giudice
La Corte Costituzionale ha costantemente ribadito la centralità del dovere per il giudice di tentare sempre la interpretazione conforme alla Costituzione della disposizione della quale ritiene di dover fare applicazione, in quanto “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” 10
E non è di poco momento rammentare, che in taluni casi la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione rimessa al suo esame, qualora il giudice rimettente non aveva tentato l’interpretazione conforme11, e ciò anche se lo stesso giudice si era richiamato a un “diritto vivente” contrario, dal quale aveva ritenuto di non poter prescindere 12.
Tale principio, che attribuisce al giudice il potere-dovere di tentare sempre l’adozione di una interpretazione adeguatrice della disposizione ai parametri Costituzionali, si rinviene anche in dottrina 13, la quale afferma che il dovere d’interpretazione conforme per il giudice è escluso nel solo caso in cui l’interpretazione incostituzionale della norma, godendo del favore della giurisprudenza (soprattutto di quello delle giurisdizioni superiori), dia vita ad un “diritto vivente”.
Salvatore Virzì
Avvocato
1 Corte di Cassazione, sez. civile II, 04.06.2010, n° 13639, in Red. Giust. Civ. Mass. 2010, 6; Corte di Cassazione, sez. civile II, 09.07.2009, n° 16184, in Red. Giust. Civ. Mass. 2009, 7-8; Corte di Cassazione, sez. civile II, 26.06.2009, n° 15122, in Guida al diritto, 2009, 36,69; Corte di Cassazione, sez. civile II, 17.06.2009, n° 14101, in Guida al diritto, 2009, 31, 73.
2 Che conferma in termini S.U. Civili, 17.11.2004, n° 21712.
3 V. in termini: Cassazione Sez. lavoro, 01.03.2003, n° 3065, in Red. Giust. Civ. Mass 2010, 6.
4 Nell’ambito della vasta letteratura sull’argomento si segnala: P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, Torino, 1920; M. DEVOTO, Costituzione del giudice e Consiglio superiore della magistratura, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano, Giuffrè, 1977; A. PIZZORUSSO, Corte di Cassazione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988.
5 E’ opportuno rammentare che l’irrilevanza della prova, sia della consegna della raccomandata al destinatario sia dell’allegazione all’originale dell’atto dell’avviso di ricevimento, era stata già oggetto di pronuncia da parte delle sezioni unite: Cass., sez. un., 5 novembre 1981 n. 5825.
Principio ritenuto dalla Corte costituzionale conforme agli art. 3 e 24 cost., sul presupposto che le formalità, ex art. 140 c.p.c., fossero idonee a porre l’atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, senza alcun pregiudizio per il suo diritto di difesa e per il principio di uguaglianza: C. cost. 15 luglio 1975 n. 213; C. cost. 8 aprile 1976 n. 76; C. cost. 28 novembre 1986 n. 250.
V., inoltre il diritto vivente costituito da: Cassazione Civile, III sezione, 15.05.2009, n° 11331; 26.02.2008, n° 4959; 27.02.1998, n° 2228; Cassazione Civile, I sezione, 20.02.2004, n° 3389 e 29.04.1999, n° 4307; Cassazione sez. Lavoro, 08.01.2002, n° 131.
6 L’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata con legge del 4 agosto 1955 n. 848, sotto la rubrica Diritto ad un processo equo, stabilisce: “ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale”.
7 Da ultimo in tema di adeguamento di norme processuali all’art. 111 della Costituzione v. Cassazione Civile, Sezioni Unite, n. 19246 del 09/09/2010, in tema di termini per la costituzione dell’attore nel processo di opposizione a decreto ingiuntivo.
9 Cfr. ex multis: Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 27.04.2010, n° 9962, in Guida al diritto 2010, 21, 62; Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 17.11.2004, n° 21712, in Giust. Civ. Mass. 2004, 11; Corte di Cassazione, sez. civile II, 04.06.2010, n° 13639, in Red. Giust. Civ. Mass. 2010, 6; Corte di Cassazione, sez. civile II, 09.07.2009, n° 16184, in Red. Giust. Civ. Mass. 2009, 7-8; Corte di Cassazione, sez. civile II, 26.06.2009, n° 15122, in Guida al diritto, 2009, 36,69; Corte di Cassazione, sez. civile II, 17.06.2009, n° 14101, in Guida al diritto, 2009, 31, 73.
10 V. Corte Costituzionale, sent. 301/2003 e 356/1996.
11 V. Corte Costituzionale, ord. 279/2003.
12 V. Corte Costituzionale, ord. 229/2003.
13 V. da ultimo su diritto vivente e dovere di d’interpretazione conforme, A. D’Atena: relazione conclusiva al Seminario “Corte Costituzionale, giudici comuni, interpretazioni adeguatrici”, Corte costituzionale – Palazzo della Consulta, Roma, 6.11.2009.
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