Una prima disamina della Direttiva UE 2024/1203 in materia di tutela penale dell’ambiente

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Nonostante l’impegno eurounitario nella difesa dell’ambiente anche attraverso l’adozione di una normativa penale unica, con la Direttiva 2008/99/CE, le misure adottate non sono state sufficienti a garantire la conformità delle previsioni nazionali con il diritto dell’Unione, e i reati ambientali transfrontalieri sono addirittura aumentati.
Ciò è dovuto in particolare alla complementarità del diritto penale e del diritto amministrativo nazionale in concorrenza con le previsioni eurounitarie. Spesso è proprio tra le maglie definitorie che viene ridotta l’efficacia della previsione sanzionata, in particolar modo nelle fattispecie penalistiche che devono essere chiare e tassative, e quelle amministrative, che devono indicare un quadro di riferimento chiaro e il meno possibile dubbio.
La recentissima Direttiva (UE) 2024/1203 rivede l’elenco dei reati ambientali ed aggiunge altre categorie di reati sulla base delle violazioni più gravi della legislazione ambientale UE, inasprendo le sanzioni con il dichiarato scopo di aumentarne l’effetto deterrente.

Indice

1. Il concetto di ecosistema nella Direttiva Ue 2024/1203

La Direttiva (UE) 2024/1203 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, sulla tutela penale dell’ambiente, sostituisce le Direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE, stabilendo norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni al fine di tutelare più efficacemente l’ambiente, nonché per le misure finalizzate alla prevenzione e al contrasto della criminalità ambientale.
Gli Stati membri devono prevedere le disposizioni necessarie per conformarsi alla Direttiva entro il 21 maggio 2026.
Centrale in questa materia è il concetto di “ecosistema”, definito come il complesso dinamico di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che, mediante la loro interazione, formano un’unità funzionale, e comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie.
Dare una definizione giuridica di ecosistema – più ampia e sganciata da un criterio meramente scientifico specialistico (che sia botanico, zoologico, etologico..) – facilita la sua qualificazione nelle sedi “a tecniche” tipiche, come quella di un tribunale.
La definizione data dalla nuova normativa si presta a chiarire “il bene tutelato” (che ha rilievo sia in ambito penale che in sede amministrativa) sia una previsione sufficientemente ampia da individuare un qualsiasi unità funzionale, e comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie.
In concreto vi rientrano il bosco, il lago, ma anche lo stagno… non viene più sindacata la “rilevanza dimensionale quantitativa” quanto la sua ontologia unitaria.

2. I reati

Premesso che determinate condotte devono costituire reato nel caso siano illecite, si precisa fin da subito che una condotta è illecita anche se posta in essere su autorizzazione rilasciata da un’autorità competente di uno Stato membro, qualora tale autorizzazione sia stata ottenuta in modo fraudolento o mediante corruzione, estorsione o coercizione, o qualora tale autorizzazione violi palesemente i pertinenti requisiti normativi sostanziali.
Gli Stati membri devono innanzitutto provvedere affinché talune condotte, se compiute intenzionalmente, costituiscano reato.
In sintesi, le materie:
– radiazioni ionizzanti;
– sostanze chimiche, prodotti fitosanitari, biocidi, inquinanti organici persistenti;
– mercurio;
– valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti;
– rifiuti;
– riciclaggio di navi;
– scarico di sostanze inquinanti effettuato da navi;
– sostanze pericolose ed emissioni industriali;
– operazioni in mare nel settore degli idrocarburi;
– materiale radioattivo o sostanze radioattive;
– estrazione di acque;
– flora e fauna selvatiche;
– materie prime o prodotti pertinenti;
– siti protetti;
– specie esotiche invasive;
– sostanze che riducono lo strato di ozono;
– gas fluorurati a effetto serra.
Costituiscono, segnatamente, reati qualificati determinate condotte se provocano la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi a tale ecosistema o habitat; o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque.
Inoltre, alcune condotte illecite devono costituire reato se poste in essere quanto meno per grave negligenza.
Infine, nel valutare se
– il danno (o il danno probabile) sia rilevante, bisogna tener conto delle condizioni originarie dell’ambiente colpito, della durata del danno, della sua portata e della sua reversibilità;
– una condotta possa provocare danni alla qualità dell’aria o del suolo o alla qualità o allo stato delle acque, a un ecosistema, alla fauna o alla flora, si deve tener conto di uno o più dei seguenti elementi: la condotta riguarda un’attività che è ritenuta rischiosa o pericolosa per l’ambiente o per la salute umana, e richiede un’autorizzazione che non è stata ottenuta o rispettata; in quale misura è superato un valore; se il materiale o la sostanza è classificato come pericoloso o altrimenti elencato come nocivo per l’ambiente o la salute umana;
– la quantità sia trascurabile o meno, occorre tener conto di uno o più dei seguenti elementi: il numero di elementi interessati; in quale misura è superato un valore; lo stato di conservazione della specie animale o vegetale in questione; il costo di ripristino dell’ambiente, laddove sia possibile valutare tale costo.

3. Sanzioni per le persone fisiche

I reati di cui alla Direttiva in oggetto devono essere punibili con una pena massima ricompresa, secondo il caso, almeno fra tre e dieci anni di reclusione.
Le persone fisiche che hanno commesso tali reati possono essere sottoposte a sanzioni o misure penali o non penali accessorie, che possono comprendere:
– l’obbligo di ripristinare l’ambiente entro un determinato periodo, se il danno è reversibile; o l’obbligo di risarcire il danno all’ambiente, se il danno è irreversibile o se l’autore del reato non è in grado di procedere a tale ripristino;
– sanzioni pecuniarie;
– esclusioni dall’accesso ai finanziamenti pubblici;
– l’interdizione dall’esercizio, in seno a una persona giuridica, di una posizione preminente dello stesso tipo utilizzato per commettere il reato;
– il ritiro delle autorizzazioni all’esercizio delle attività che hanno portato al pertinente reato;
– divieti temporanei di candidarsi a cariche pubbliche;
– la pubblicazione della decisione giudiziaria.

4. Responsabilità delle persone giuridiche e sanzioni applicabili

Le persone giuridiche possono, in primo luogo, essere dichiarate responsabili dei reati richiamati quando siano stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica interessata.
In secondo luogo, le persone giuridiche possono essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto che detenga una posizione preminente abbia reso possibile la commissione di un reato a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.
La responsabilità delle persone giuridiche non preclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che commettono, incitano o sono complici di questi reati.
Le sanzioni o le misure penali o non penali nei confronti delle persone giuridiche possono includere quanto segue:
– l’obbligo di ripristinare l’ambiente entro un determinato periodo, se il danno è reversibile; oppure l’obbligo di risarcire il danno all’ambiente, se il danno è irreversibile o se l’autore del reato non è in grado di procedere a tale ripristino;
– l’esclusione dal godimento di un beneficio o di un aiuto pubblico;
– l’esclusione dall’accesso ai finanziamenti pubblici;
– l’interdizione di esercitare un’attività commerciale;
– il ritiro delle autorizzazioni all’esercizio delle attività che hanno portato al reato in questione;
– l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria;
– provvedimenti giudiziari di scioglimento;
– la chiusura delle sedi usate per commettere il reato;
– l’obbligo di istituire sistemi di dovuta diligenza per rafforzare il rispetto delle norme ambientali;
– la pubblicazione della decisione giudiziaria.
Riguardo alle sanzioni pecuniarie, il livello massimo non dev’essere inferiore:
– per i reati più gravi, al 5% del fatturato mondiale totale o ad un importo corrispondente a 40.000.000 €;
– per i reati meno gravi, al 3% del fatturato mondiale totale o ad un importo corrispondente a 24.000.000 €.
In ipotesi di reati qualificati, le sanzioni o misure penali o non penali devono essere più severe.

5. Circostanze aggravanti e attenuanti

Aggravanti:
– il reato ha provocato la distruzione o danni rilevanti irreversibili o duraturi a un ecosistema;
– il reato è stato commesso nel contesto di un’organizzazione criminale;
– il reato ha comportato l’uso di documenti falsi o contraffatti;
– il reato è stato commesso da un funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni;
– l’autore del reato è stato in precedenza condannato con sentenza definitiva per reati della stessa indole;
– il reato ha generato, o si prevedeva che generasse, benefici finanziari rilevanti o ha consentito di evitare spese rilevanti;
– l’autore del reato ha distrutto prove o minacciato i testimoni o i denuncianti;
– il reato è stato commesso in una zona classificata come zona di protezione speciale, oppure in un sito designato come zona speciale di conservazione o in un sito di importanza comunitaria.
Attenuanti:
– l’autore del reato ripristina l’ambiente allo stato precedente, se tale ripristino non è un obbligo o, prima dell’avvio di un’indagine penale, adotta misure volte a ridurre al minimo l’impatto e l’entità del danno o a porvi rimedio;
– l’autore del reato fornisce alle autorità informazioni che esse non avrebbero potuto ottenere con altri mezzi e che sono loro utili per
– identificare o consegnare alla giustizia altri autori del reato;
– acquisire elementi di prova.

6. Termini di prescrizione

Il termine di prescrizione deve consentire di condurre le indagini, esercitare l’azione penale, svolgere il processo e adottare la decisione giudiziaria entro un congruo lasso di tempo successivamente alla commissione dei reati, al fine di contrastarli efficacemente (termine fissato almeno fra tre e dieci anni dalla commissione del reato, secondo il caso).
Del pari, il termine di prescrizione deve consentire l’esecuzione delle sanzioni imposte a seguito di una condanna definitiva per un periodo di tempo sufficiente dopo tale condanna (termine fissato almeno fra tre e dieci anni dalla data della sentenza definitiva, secondo il caso).
In deroga, gli Stati membri possono fissare un termine di prescrizione inferiore a dieci anni, ma non inferiore a cinque anni, purché tale termine possa essere interrotto o sospeso in caso di determinati atti.

7. Prevenzione, risorse e formazione

Gli Stati membri
– adottano misure adeguate, quali campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte ai pertinenti portatori di interessi del settore pubblico e privato, nonché programmi di ricerca e istruzione, che mirano a ridurre i reati ambientali e il rischio di criminalità ambientale;
– provvedono affinché le autorità nazionali che accertano, indagano, perseguono o giudicano reati ambientali dispongano di un numero sufficiente di personale qualificato e di risorse finanziarie, tecniche e tecnologiche adeguate per l’efficace svolgimento delle loro funzioni;
– valutano la necessità di aumentare il livello di specializzazione di tali autorità nel settore del diritto penale ambientale;
– adottano le misure necessarie per garantire che sia periodicamente fornita una formazione specializzata a giudici, pubblici ministeri, personale di polizia, personale giudiziario e personale delle autorità competenti coinvolti nei procedimenti penali e nelle indagini.

8. Strategia nazionale

Gli Stati membri devono elaborare e pubblicare una strategia nazionale in materia di lotta contro i reati ambientali entro il 21 maggio 2027, e devono adottare misure per attuarla senza indebito ritardo.
La strategia nazionale (che dev’essere riveduta e aggiornata ad intervalli regolari) affronta almeno i seguenti aspetti:
– gli obiettivi e le priorità della politica nazionale in materia di reati ambientali, anche nei casi transfrontalieri, e le modalità per una valutazione periodica del loro conseguimento;
– i ruoli e le responsabilità di tutte le autorità competenti coinvolte nella lotta contro i reati ambientali;
– le modalità di sostegno dei professionisti preposti all’azione di contrasto, una stima delle risorse destinate alla lotta alla criminalità ambientale e una valutazione delle esigenze future al riguardo.

9. Dati statistici

Gli Stati membri devono provvedere a predisporre un sistema di registrazione, produzione e fornitura di dati statistici in forma anonima sulle fasi di comunicazione, di indagine e di azione giudiziaria, per monitorare l’efficacia delle loro misure di lotta contro i reati ambientali.

10. Conclusioni e criticità

Alcuni reati definiti dalla Direttiva comprendono una soglia qualitativa per determinare se la condotta costituisca un reato ambientale, segnatamente il fatto che tale condotta determini il decesso o provochi lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, dell’acqua o del suolo, o ad un ecosistema, alla fauna o alla flora.
Per proteggere il più possibile l’ambiente, tale soglia qualitativa dovrebbe essere intesa in senso lato e comprendere, se del caso, danni rilevanti alla fauna e alla flora, agli habitat e ai servizi forniti dalle risorse naturali e dagli ecosistemi, nonché alle funzioni ecosistemiche.
Poiché gli obiettivi della Direttiva (fornire definizioni comuni dei reati ambientali e la disponibilità di sanzioni penali effettive, dissuasive e proporzionate) non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma – a motivo dei danni transfrontalieri che le condotte illecite in questione possono causare all’ambiente – possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà.
Sebbene alcuni paesi si siano dotati di un proprio “diritto penale ambientale” – in via diretta, in senso lato o in adeguamento rispetto alla precedente direttiva europea, i “punti deboli” della presente direttiva restano evidenti.
Innanzitutto la deterrenza perseguita attraverso l’innalzamento delle pene è strumento politico – e di comunicazione politica – che trova pochi riscontri in termini di efficacia significativa; vale per i reati “contro il patrimonio e contro la persona”, ancor più verso un bene “altro” come l’ambiente.
Un lasso di tempo così ampio – circa 4 anni per il completo adeguamento – rischia di spostare sempre più – oltre quello che già avviene – le attività tipiche dell’illecito ambientale (smaltimento illegale di rifiuti speciali, chimici, radioattivi etc) sempre più verso paesi dell’unione “meno sensibili” e/o più poveri, o anche – anche questo come già avviene – fuori dall’unione, delocalizzando l’illecito e il problema e rendendo estremamente complesso il profilo delle indagini.
Restano ancora fuori dalla normativa misure davvero efficaci, come ad esempio sul piano economico-amministrativo la confisca o il sequestro obbligatorio dell’azienda e dei siti, la revoca di ogni autorizzazione amministrativa concessa al soggetto, o come ad esempio, sotto il profilo personale, l’interdizione ultradecennalle dalla capacità di amministrazione di impresa, di contrarre con la pubblica amministrazione, di ottenere autorizzazioni amministrative.
Misure di questo genere si configurerebbero – ben oltre la deterrenza – davvero efficaci in concreto, evitando la facile scappatoia della liquidazione “dell’azienda del gruppo” che compie l’illecito e conservare i benefici scaricando sul pubblico l’onere del danno e del ripristino ambientale.

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Michele Di Salvo

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