Sommario: 1. Premessa – 2. Fattispecie – 3. La soluzione dei giudici di legittimità – 4. Conclusioni
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Premessa
La corte di cassazione, con l’ordinanza del 12 febbraio 2019, n. 4047, affronta una tematica di peculiare interesse.
In particolare, il riferimento è alla delicata questione relativa all’incertezza normativa oggettiva, che potrebbe comportare delle conseguenze in ordine all’applicazione delle sanzioni.
La corte, infatti, mediante l’ordinanza in commento, ha delineato un vero e proprio decalogo che tutela la posizione del contribuente, risultando non passibile di applicazione di sanzioni, (resta dovuta l’imposta), nel caso in cui dalla normativa emergano situazioni di non comprensibilità ai fini della sua corretta applicazione.
La cassazione, infatti, definisce il principio secondo il quale l’incertezza normativa oggettiva può essere desunta dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di fatti indice tra cui la mancanza di prassi amministrativa che possa consentire una corretta interpretazione nonché applicazione della norma, ovvero, il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale. Il verificarsi di una delle suddette ipotesi (che verranno trattate nel dettaglio in seguito) comporta l’impossibilità di individuare con sicurezza ed in maniera univoca la norma giuridica da applicare nel caso concreto, e comporta la creazione di uno scudo, appunto, nei confronti del contribuente, in relazione all’irrogazione di sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria.
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Fattispecie
Il principio a cui si è fatto cenno poc’anzi emerge dall’analisi di una fattispecie che presenta dei particolari profili di interesse.
Il riferimento è al caso di una società per azioni, la quale riceve un avviso di accertamento con cui il comune di roma richiede una maggiore ici relativamente ad immobile insistente nel medesimo comune.
A seguito dell’accoglimento del ricorso da parte della commissione tributaria provinciale di roma, il comune propone appello il quale, a sua volta, viene accolto dalla commissione tributaria regionale.
La società propone, dunque, ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il primo motivo attiene, secondo la società, la violazione e falsa applicazione del d. Lgs. N. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. I, poiché la commissione tributaria regionale di roma avrebbe errato nel ritenere che mancasse il requisito soggettivo per ottenere l’esenzione in esame in quanto le società per azioni sono per definizione imprese commerciali e poichè il beneficio in questione si applica ai soli fabbricati sia utilizzati e, cumulativamente, posseduti dell’ente non commerciale interessato. Più precisamente, il suddetto articolo stabiliva, nel testo vigente all’epoca del giudizio, che fossero esenti dall’ici gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 87, comma 1, lettera c), destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché alle attività di cui alla l. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. A). A sua volta, il tuir, all’art. 87, comma 1, lett. C), menzionava gli enti pubblici e privati, diversi dalle società residenti nel territorio dello stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.
Alla luce di ciò, la ricorrente sosteneva di godere del diritto all’esenzione sulla base di una interpretazione estensiva della norma. La ragione su cui verte il primo motivo di ricorso, infatti, è data dalla richiesta di estendere la portata dell’esenzione anche ai soggetti utilizzatori dell’immobile, pur non essendone possessori, come accade nel caso di specie. Inoltre, a sostegno ulteriore di detta tesi, la società propugnava la sua natura di ente non commerciale, sebbene la sua forma giuridica fosse una spa. Trattasi, infatti, di una spa, pertanto un ente commerciale, ma che tuttavia potrebbe catalogarsi negli enti aventi natura non commerciale in quanto la sua attività è principalmente basata sulla realizzazione di opere sociali.
Tuttavia, la doglianza risulta essere infondata, in quanto la giurisprudenza di legittimità è stata molto chiara nel ritenere che l’esenzione dall’ici, di cui alla norma citata, è di stretta interpretazione, dovendosi applicare soltanto nelle ipotesi tipiche e tassative indicate. Tale esenzione, inoltre, non spetta nel caso di utilizzazione indiretta, benchè assistita da finalità di pubblico interesse.
Alla luce di ciò, la ricorrente non avrebbe diritto all’esenzione, in quanto mero soggetto utilizzatore e non anche possessore dell’immobile. Inoltre, preso atto che la sua natura giuridica risulta essere una società per azioni, si presume che, in quanto tale, sussista inevitabilmente uno scopo di lucro, e, pertanto, la medesima non rientra tra gli enti non commerciali.
Il secondo motivo attiene alla tematica che desta interesse in questa sede. Invero, la società ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio nonché la violazione e falsa applicazione del d. Lgs. N. 546 del 1992, art. 8[1], e del d. Lgs. N. 472 del 1997, art. 6[2]. Dette norme attengono alla non applicabilità di sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione derivi da obiettive condizioni di incertezza per quanto concerne la portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce (invero, l’art. 6 enuclea anche altre cause di non punibilità).
Alla stregua di quanto lamentato dalla società ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente ritenuto applicabili le sanzioni inflitte dalla amministrazione finanziaria sebbene sia alquanto lapalissiana l’incertezza normativa esistente in materia.
L’incertezza normativa può essere desunta dal giudice sulla base di parametri ben definiti. Per i motivi che seguono si ritiene che non sussista incertezza nella fattispecie concreta.
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La soluzione dei giudici di legittimità
Stando a quanto premesso, è di fondamentale importanza procedere con quella che risulta essere la soluzione prospettata dalla corte in riferimento alla problematica in esame.
Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sul contribuente grava l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi che consentano di giustificare l’esenzione per incertezza normativa oggettiva. Tale incertezza ricorre nell’ipotesi di incertezza inevitabile in relazione al contenuto, all’oggetto ed ai destinatari della disposizione tributaria, anche al termine del procedimento di interpretazione della medesima compiuto dal giudice (cass., sez. V, n. 18718 del 13 luglio 2018).
Più precisamente, come si è già avuto modo di accennare, per i giudici della corte, con la locuzione “incertezza normativa oggettiva” nel panorama del diritto tributario, si suole intendere l’impossibilità di definire con certezza ed in maniera univoca, al termine di un procedimento interpretativo corretto sotto il profilo metodologico, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile. Preme sottolineare che tale profilo deve essere tenuto ben distinto dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento compete esclusivamente al giudice, non potendo essere demandato all’amministrazione), come si rileva dal d. Lgs. N. 472 del 1997, art. 6, il quale opera un distinguo tra le due ipotesi, pur ricollegandovi i medesimi effetti.
Il giudice dispone della possibilità di avvalersi di una serie di fatti sintomatici della potenziale sussistenza di una situazione di incertezza normativa oggettiva. Tali fatti indice, che necessitano, dunque, di un procedimento logico di deduzione ad opera del giudice, sono catalogati dalla suprema corte in questa innovativa ordinanza e sono:
1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative;
2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;
4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;
5) la mancanza di una prassi amministrativa ovvero l’adozione di prassi amministrative contrastanti;
6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;
7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, soprattutto se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale;
8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
9) il contrasto tra opinioni dottrinali;
10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
Tuttavia, nel caso in esame, secondo i giudici deve ritenersi del tutto inesistente l’ipotesi di incertezza normativa. Deve ritenersi altresì esclusa qualsiasi forma di ignoranza soggettiva.
Per tali motivi, il ricorso non può che essere respinto.
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Conclusioni
Come si evince dall’ordinanza in commento, i giudici della suprema corte hanno sciolto sicuramente dei dubbi legati a delle peculiari questioni interpretative in merito all’applicazione delle sanzioni come conseguenza della violazione delle disposizioni tributarie.
In quest’ottica, il contribuente risulta essere tutelato dall’eventuale irrogazione di sanzioni ad opera dell’amministrazione finanziaria, allorquando emergano una o più fatti indice delineati nel decalogo dell’incertezza normativa. Tale decalogo si pone, dunque, a beneficio del contribuente, il quale sarà tutelato dalla posizione di soggezione al pagamento di sanzioni, dinanzi a delle obiettive difficoltà relative all’interpretazione di una determinata disposizione.
Come si può osservare, il catalogo risulta essere piuttosto vario, in quanto è composto da ben dieci ipotesi, al verificarsi delle quali, il contribuente è esonerato dal pagamento di eventuali sanzioni.
Note
[1] Rubricato “Errore sulla norma tributaria” , il quale prevede che “La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce”.
[2] In relazione alle cause di non punibilità. Esso sancisce che “1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa. Le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili. In ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il cinque per cento. 2. Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento. 3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile di imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi. 4. L’ignoranza della legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile. 5. Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore. 5-bis. Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle funzioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.
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