Inquadramento generale
L’art. 43 c.p. è rubricato “elemento psicologico del reato”: esso cerca di fornire, nonostante i limiti contenutistici e la diatriba dottrinale sulla sua capacità vincolante, una definizione di delitto colposo.
L’art. 43 comma 3° c.p. afferma che il delitto è “colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente, e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.
Innanzitutto, tale definizione normativa è sicuramente insoddisfacente poiché concepisce la colpa in negativo, come non volontà dell’evento il quale non si riscontra nemmeno in tutte le fattispecie colpose quali, ad esempio, i reati di mera condotta o l’omissione colposa di cautele[1]. Bisogna anche tenere conto che la colpa è antitetica rispetto al dolo: infatti quest’ultimo è basato su coefficienti psichici reali, mentre la colpa si fonda su parametri normativi.
L’elemento oggettivo della colpa, si riferisce all’osservanza della regola obiettiva di condotta, la quale è funzionale alla prevenzione di danni mediante la cristallizzazione dei giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento[2]. Quindi, la colpa si sostanzia nella contrarietà della condotta rispetto alla regola cautelare di riferimento, diretta alla prevenzione di determinati eventi, e nella carenza di diligenza, prudenza, perizia concretamente esigibile[3].
In particolare, la regola cautelare descrive una determinata condotta da seguire, in base a parametri giuridici o extra giuridici, al fine di evitare conseguenze dannose; è necessario precisare che le regole cautelari si distinguono in base alla loro fonte, invero, se la fonte è giuridica saremo in presenza della colpa specifica, invece, se la fonte è sociale o extragiuridica riscontreremo la colpa generica.
Occorre precisare che la colpa è munita non solo di un elemento oggettivo ma anche di uno soggettivo funzionale alla personalizzazione del rimprovero.
Esso consta nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento in base al criterio dell’agente modello; un criterio che presenta diverse nozioni in base al criterio di riferimento (bonus pater familias, homo eiusdem condicionis et professionis, l’uomo più esperto).
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Le teorie sulla colpa.
A questo punto è necessario analizzare la contrapposizione tra la teoria della doppia misura e la teoria unitaria in materia di colpa.
La teoria della doppia misura concepisce la colpa due momenti: il momento oggettivo-normativo, che consiste nella violazione della regola di condotta; l’elemento soggettivo-personalistico, fondato sulla capacità del singolo di osservare tale regola[4].
Questa teoria si basa su: la mancanza di volontà del fatto, concepita come eterogeneità rispetto dolo; l’inosservanza della regola obiettiva di diligenza, prudenza, perizia; sull’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola; l’attribuibilità dell’inosservanza all’agente[5]. La trattazione analitica di tali elementi è rimandata ai capitoli successivi, concernenti l’elemento oggettivo e soggettivo della colpa.
Anche siffatta impostazione non risulta esser immune da critiche da parte di parte della dottrina[6], la quale propende a favore di una concezione unitaria della colpa. Tale dottrina, mette in evidenza i contrasti della teoria della doppia misura già sulla regola di obiettiva diligenza, che presenta sul tema due impostazioni contrastanti:
La prima, basata sul parametro dell’agente modello dell’homo eiusdem condicionis et professionis, che manifesta un contenuto ideale ed astratto incapace di essere utilizzato come canone di valutazione della colpevolezza nel suo momento oggettivo. La seconda, fonda la regola di obiettiva diligenza sul massimo di conoscenza ed esperienza concretamente presenti in un determinato momento storico. Ma anche in questa seconda accezione, si prospetterebbero conseguenze paradossali poiché si dovrebbe vietare l’esercizio di attività a tutti quei soggetti incapaci di dimostrare tale massimo livello di esperienza e conoscenza. Oltretutto, verrebbe leso l’interesse dei consociati verso la determinatezza delle regole, in quanto la regola cautelare di obiettiva diligenza trascende le reali capacità del soggetto agente. In fine, il giudice potrebbe privilegiare il solo profilo obiettivo portando alla spersonalizzazione del rimprovero. Tali critiche[7], necessitano di essere contestualizzate.
Innanzitutto, la regola cautelare, anche se è formata sulla miglior scienza ed esperienza, non esclude dall’esercizio chi, per ragioni soggettive, circostanze o altri fattori, non può raggiungere tale livello. La regola di obiettiva diligenza, quindi, rappresenta la materia “grezza” che, in un momento successivo, merita di esser plasmata, in base al caso concreto, sui quei parametri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento e l’esigibilità della condotta. Il pregio di tale teoria è proprio la creazione di una regola cautelare obiettiva e certa sulla quale poi parametrare l’effettiva condotta e le circostanze nelle quali ha agito l’agente concreto; in questa veste, la regola cautelare è funzionale alla certezza del diritto in piena conformità al principio di legalità. Di converso, concepire la colpa in maniera unitaria, sarebbe in contrasto con l’esigenza di certezza del diritto, in quanto la valutazione dipenderebbe sempre e comunque dal caso concreto, non potendo fornire parametri obiettivi di riferimento (ed in ogni caso in contrasto, odiernamente, con la tendenza di tipizzazione della fattispecie).
Non persuasiva è anche la seconda obiezione, secondo la quale tale impostazione trascende le reali capacità del soggetto agente; invero, in un primo momento, oggettivo, si trascurano tali capacità ma esse verranno recuperate ed accentuate in sede di accertamento del profilo soggettivo, valutando, quindi, le circostanze individuali e materiali nelle quali il soggetto ha operato, sia in negativo (il principiante alla guida) sia in positivo (l’abile guidatore).
Infine, è errato affermare che il giudice si limiti a valutare solo l’aspetto oggettivo della responsabilità, tralasciando l’aspetto personalistico, invero, nonostante la tendenza odierna propenda a considerare la responsabilità in base alla mera violazione della regola cautelare, il giudice è tenuto a prendere in considerazione i profili soggettivi. Proprio la manifesta inaccettabilità della valutazione oggettiva deve indurre il giudice ad attribuire rilevanza all’elemento soggettivo della colpa, in quanto momento necessario ed imprescindibile della validità di tale teoria.
In fine bisogna tenere conto che la teoria della doppia misura ha trovato una progressiva affermazione nelle elaborazioni giurisprudenziali[8].
Ma anche dottrina tende a riconoscere alla colpa una doppia funzione: la colpa da un lato, contribuisce alla tipicità del fatto oggettivo; dall’altro implica un quid pluris, cioè l’analisi in ordine alla rimproverabilità soggettiva dell’agente concreto[9].
La teoria della doppia misura allora si mostra la più attendibile ed affidabile nell’analisi delle problematiche della colpa per le seguenti ragioni:
1) Tiene conto di modelli cautelari tipizzati, anche riguardo ad attività aleatorie[10].
2) Assicura certezza ed uniformità del diritto attraverso un processo logico e sistematico.
3) Permette di graduare il rimprovero o di escludere la punibilità tenendo atto dei requisiti soggettivi del soggetto agente in rapporto alla regola di obiettiva di diligenza; evitabilità dell’evento; esigibilità della condotta.
4) Adegua la rimproverabilità in base alle conoscenze umane disponibili in un determinato momento storico, permettendo legami più consistenti tra il diritto e scienza.
La causalità della colpa.
È opportuno analizzare alcune questioni rilevanti riguardante l’accertamento delle diverse categorie di causalità nei reati colposi: causalità materiale; causalità della condotta; causalità della colpa[11].
Per causalità materiale si intende un rapporto di causa-effetto che collega un fatto naturale ad un determinato evento. Ci sono casi nei quali il seguente rapporto risulta essere meno agevole in quanto non conosciamo il procedimento eziologico materiale, si pensi alle patologie psicologiche.
Dopo aver accertato il dato materiale, bisogna verificare se l’opera umana abbia interferito sulla produzione dell’evento, quindi, bisogna accertare se la condotta umana abbia provocato l’evento o ha inciso su di esso; in tali termini, si parla di causalità della condotta, che indica il rapporto fra una condotta umana e l’evento in termini prettamente normativi (art. 40 c.p.). Prima di procedere oltre, bisogna precisare che vi può esser coincidenza fra causalità materiale e causalità della condotta poiché l’evento può derivare dall’esercizio di un’attività umana.
Nei reati colposi si deve aggiungere un ulteriore passaggio che consiste nel verificare se la violazione della regola cautelare abbia cagionato l’evento. In questi casi siamo davanti alla causalità della colpa. Tale concetto normativo trova il suo fondamento nell’art. 43 c.p.[12], il quale richiede che l’evento si sia verificato a causa di negligenza, imprudenza od imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Di fondamentale importanza, in subiecta materia, è la sentenza Cass. Pe., Sez. IV, 26 ottobre 2011, n. 38786, secondo cui “per potere affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare, ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata mirava a fronteggiare… Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sé sufficiente… se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra condotta violatrice e l’evento”.
La causalità della colpa “mira invece a non verificare la corrispondenza tra evento e scopo della regola cautelare né alla verifica se l’evento era evitabile con l’osservanza delle regole cautelari ma a chiarire se quella violazione ha cagionato quell’evento concretamente verificatosi”[13].
Quindi, la causalità della colpa è successiva all’accertamento della causalità della condotta, invero, è necessario attribuire, in un primo momento, l’evento all’agente come fatto proprio; dopo aver accertato che l’evento è oggettivamente imputabile al soggetto agente, è necessario constatare se l’eventuale osservanza delle regole cautelari o se la condotta alternativa lecita avrebbero evitato il prodursi dell’evento.
In particolare, è necessario precisare che i criteri sui quali si basa l’accertamento della causalità della colpa, fanno riferimento alle conoscenze disponibili ed utilizzabili dall’agente al momento della condotta, quindi, mediante una prospettiva ex antea[14]. Invero, il giudice dovrebbe chiedersi “cosa sarebbe successo se il soggetto agente avesse tenuto la regola di condotta esistente al momento del fatto?”[15] e, una volta individuata, nel caso concreto, la regola cautelare operante, il magistrato dovrebbe verificare se l’evento fosse evitabile[16]. Peraltro, se al momento della pronuncia venissero scoperte regole cautelari più efficaci rispetto a quelle conosciute all’epoca dei fatti, il giudice non potrebbe tenerne conto né ai fini della ricostruzione ipotetica del comportamento doveroso né per la valutazione dell’efficacia dello stesso.
A questo punto, si deve chiarire a quali condizioni il requisito della “causalità della colpa”, possa dirsi pienamente realizzato. È opportuno stabilire, preliminarmente, che il concetto di “causalità della colpa” viene qui inteso in senso ampio, comprensivo cioè di due problematiche distinte, ma funzionali all’individualizzare l’accertamento della colpa e, al contempo, di segnare un netto distacco dalla logica del versari in re illicita:
- La c.d. realizzazione del rischio, poiché, dopo aver accertato la formale violazione di una regola cautelare, occorre altresì verificare che l’evento concretamente cagionato rientri nella tipologia di eventi che la regola cautelare mirava ad evitare; si tratta, di un criterio sostanzialmente equivalente a quello che fa riferimento allo scopo di tutela della norma e capace di evitare confusioni rispetto agli schemi propri della c.d. imputazione oggettiva dell’evento.
- La rilevanza del c.d. comportamento alternativo lecito, consistente nella verifica che se il soggetto agente avesse tenuto la condotta prescritta dalla regola cautelare che si assume violata l’evento non si sarebbe verificato (c.d. prevedibilità in concreto).
A tali conclusioni, sul versante dell’accertamento della causalità della colpa, è pervenuta la Cass. Pen., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343, in relazione al noto “caso Thyssen Krupp”, nella quale si afferma che “la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mirava a prevenire… si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di uno specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotta e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio”, quindi, “l’accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio”. Inoltre, sempre nella medesima pronuncia, la Suprema corte afferma che il profilo della causalità della colpa si riscontra nel momento soggettivo, invero, “affermare, come afferma l’art. 43 cod. pen., che per aversi colpa l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (c.d. comportamento alternativo lecito) non avrebbe evitato l’evento”.
Prima di procedere oltre, è necessario richiamare la distinzione tra condotta attiva e condotta omissiva, in quanto nelle condotte attive è proprio l’autore a concretizzare l’evento mediante la propria condotta. In tal caso, ci si dovrà domandare se l’evento fosse evitabile mediante il comportamento alternativo lecito e se la regola cautelare mirasse proprio a prevenire quest’ultimo. In presenza di condotte omissive, il decorso degli eventi non è influenzato dall’azione di un soggetto, poiché manca un comportamento attivo, quindi la causalità omissiva ha ontologicamente matrice normativa e si sostanzia nell’omesso impedimento doveroso di un evento[17]. La causalità omissiva deve esser ricostruita mediante un procedimento logico ed ipotetico data la mancanza di dati empirici, “si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva, su un giudizio controfattuale…a differenza di quella commissiva non potrà mai avere una verifica fenomenica che invece, nella causalità commissiva è in talune ipotesi verificabile”[18].
In questi casi, causalità della condotta e causalità della colpa si sovrappongono inevitabilmente. In tal senso, si è pronunciata la Cassazione nella sentenza n. 28615 del 29 luglio 2005 in tema di circolazione stradale, affermando che vi è commistione tra il profilo della causalità e quello della colpa. Infatti, il giudice nell’accertamento della responsabilità deve in primis analizzare il nesso di causalità e verificare se vi siano elementi interruttivi e, in assenza di questi, passare al secondo momento, di natura soggettiva, costituito dalla prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Sempre la Cassazione nella sentenza 16/4/2008 n. 20027, in tema di incidenti stradali, valutando la possibilità di avvistamento di pedoni da parte di guidatori afferma che “l’avvistamento del pedone implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento”. La Suprema Corte, quindi, esclude la responsabilità del conducente ogni volta che questo si trovi nell’impossibilità di avvistare il pedone.
In fine, è importante precisare che la Suprema Corte[19] si è pronunciata di recente in materia di causalità omissiva, affermando che nel giudizio controfattuale si deve inserire un comportamento (prudente, diligente, perito) che non esiste in natura, che viene considerato solo sul piano astratto ed ipotetico. Per tal ragione, quei ragionamenti controfattuali che erano distinti sul piano della causalità commissiva, in tale contesto, tendono a sovrapporsi; invero, “il problema… della causalità della colpa (cioè l’utilità del comportamento alternativo lecito), diventa al contempo un problema causale e si carica quindi del connotato di ragionevole certezza proprio della causalità. Di qui la comprensibile ma pur sempre criticabile confusione che regna in giurisprudenza tra causalità e colpa in tali contesti”[20].
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[1]T. PADOVANI, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, pag. 209.
[2]T. PADOVANI, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, pag. 209; MANTOVANI, voce Colpa, pag. 303; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 16° ed., Milano, 2003, pag. 367.
[3] F. GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it. Proc. pen., 1999, pag. 86.
Sotto un’analisi critica di tale versione v. A. R. DI LANDRO (la colpa medica negli Stati Uniti e in Italia, cit.) secondo cui “con il superamento della lettura in chiave psicologica della colpa, e la definitiva consacrazione della teoria c.d. normativa, uno dei problemi centrali della colpa è la sua tendenziale oggettivazione, fino allo svuotamento quale criterio di imputazione soggettiva”.
[4] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2008, pag. 565 ss; T. PADOVANI, diritto penale, Milano, 2012, pag. 210 ss. MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965; per gli approcci più recenti v. PALAZZO, corso di diritto penale. Parte generale, 5° ed., Torino, 2013, pag. 347; ROMANO, Commentario sistematico al codice penale, sub art. 43, 3° ed., Milano, 2004, pag. 457.
[5] Tali elementi vengono trattati da T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2012, pag. 210 ss.
[6] G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 431 ss.
[7] G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 432 ss.
[8] Si legga, per es., la notevole premessa teorica in tema di colpa rinvenibile nella sentenza di Porto Marghera, sia in tema di teoria normativa quanto alla doppia misura: Cass., Sez. IV, ud. 17 maggio 2006, n.4675, pag. 272 ss. Per una premessa teorica sulla doppia misura: Cass., Sez. IV, ud. 16 giugno 2010 n. 32126, DPC (www.penalecontemporaneo.it), in tema di colpa stradale; CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, Riv. it. dir. proc. pen, 2011, pag. 1615.
[9] AMBROSETTI E.M., Manuale di diritto penale. Parte speciale. I reati contro le persone, Padova, 2010, pag. 39 ss.
[10] G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 431 ss.
[11]C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012.
[12] MARINUCCI, non c’è dolo senza colpa. Morte dell’imputazione oggettiva dell’evento e trasfigurazione della colpevolezza? In Riv. it. Dir. E proc. pen., 1991, pag. 17.
[13]C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 11. Vedi anche, in materia di incidenti stradali, Cass. pen., sez. IV, 18 settembre 2008, n. 40802, Spoldi, in Cass. pen., 2009, pag. 2550.
[14]C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 40; MARINUCCI, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, pag. 21.
[15] Sulla differenza di accertamento della causalità e della colpa si veda, in particolare, BRUSCO, Rischio e pericolo, rischio consentito e principio di precauzione. La c.d. “flessibilizzazione delle categorie del reato”, in Criminalia, 2012, p. 395 ss. laddove si legge «mentre l’accertamento della causalità va compiuto in termini di “elevata credibilità razionale” – nel senso che l’ipotesi scientifica deve avere un elevato grado di conferma e le ipotesi alternative debbono essere ragionevolmente escluse – nel giudizio predittivo ex ante, ai fini della colpa, la legge scientifica (così come le regole di esperienza) vale a rendere concreto il giudizio di prevedibilità che va ancorato non all’elevata credibilità razionale che l’evento, in presenza di una certa condotta, si verifichi ma alla possibilità (concreta e non ipotetica) che la condotta possa determinare l’evento».
[16] VIGANÒ, Riflessioni sulla c.d. ”causalità omissiva“ in materia di responsabilità medica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1697 ss.; ma anche TRAPASSO, Imputazione oggettiva e colpa tra ”azione” ed ”omissione“: dalla struttura all’accertamento, in Ind. pen., 2003, p. 1233.
[17]C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 39.
[18]C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 43.
[19] Cass. Pe., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343
[20] Cass. Pe., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343
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