La disciplina sulle intercettazioni in procedimenti diversi dopo il 31 agosto 2020

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La disciplina sulle intercettazioni in procedimenti diversi, nel testo introdotto dal D.L. n. 161 del 2019, conv. con mod. dalla l. n. 7 del 2020,  ed anteriore al d.l. n. 105 del 2023, conv. con mod. dalla l. n. 137 del 2023, si applica se il procedimento è stato iscritto dopo il 31 agosto 2020? Per un valido supporto per professionisti in materia di intercettazioni consigliamo: La nuova disciplina delle intercettazioni dopo la riforma Nordio

Corte di Cassazione -SS. UU. pen.- sentenza n. 36764 del 18-04-2024

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Indice

1. Il fatto: le intercettazioni in processi diversi


Il Tribunale di Napoli, in accoglimento di un appello proposto dal Pubblico Ministero, disponeva la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un indagano e la misura interdittiva del divieto di esercitare di una attività professionale per la durata di un anno nei riguardi di altri, ritenuti gravemente indiziati del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la fede pubblica  e di più reati – nella forma tentata o consumata – di falso ideologico in atto pubblico.
Ciò posto, in relazione a taluni di questi illeciti penali, va osservato come il giudizio di gravità indiziaria sia stato formulato anche sulla base del contenuto di numerose conversazioni telefoniche intercettate, disposte ed eseguite nell’ambito di un altro procedimento penale, poi acquisite ed utilizzate a fini probatori nel presente procedimento, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen.
Il procedimento originario, nell’ambito del quale sono state disposte le captazioni, aveva ad oggetto alcuni reati – fra i quali anche quello di tentata estorsione – commessi in danno della denunciante che, dunque, in quel procedimento aveva assunto la veste di persona offesa, mentre nel presente procedimento derivato era indagata anche del reato associativo, nel cui contesto avrebbe peraltro assunto un ruolo apicale.
Ebbene, in relazione a tale iter procedimentale, il Pubblico Ministero aveva poi disposto la separazione dall’originario procedimento di alcune notizie di reato con conseguente formazione di un autonomo “fascicolo“, prima, contro ignoti e, successivamente, nei riguardi di soggetti noti, tra cui gli indagati di cui sopra.
Dal canto suo, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento, facendo riferimento anche ai principi espressi da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, aveva rigettato la domanda cautelare.
In particolare, il Giudice aveva ritenuto, da una parte, non potersi configurare un rapporto di connessione tra i reati oggetto del procedimento nel cui ambito le captazioni furono disposte e quelli oggetti del presente procedimento, e, dall’altra, che le conversazioni captate non potessero nemmeno ritenersi indispensabili, ai sensi dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., ai fini dell’accertamento del delitto associativo, fermo restando che, sotto altro profilo, aveva ritenuto insussistenti, quanto ai delitti di falso contestati nella forma tentata, i gravi indizi di colpevolezza mentre, per quelli contestati nella forma consumata, le esigenze cautelari.
A sua volta, il Tribunale di Napoli, pur escludendo il rapporto di connessione tra i reati oggetto dei diversi procedimenti, aveva accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero, ritenendo utilizzabili gli esiti delle captazioni, considerando al contempo applicabile nella specie l’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo novellato dal d.1.30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7.
Detta norma, secondo il Tribunale, invero, consentirebbe la circolazione probatoria degli esiti delle captazioni tra diversi procedimenti non solo nei casi in cui nel diverso procedimento si proceda per un reato per il quale è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza, ma anche quando le conversazioni intercettate siano rilevanti e indispensabili per l’accertamento di uno dei reati di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen..
Nel caso di specie, per il giudice di merito, il reato associativo non avrebbe consentito l’arresto obbligatorio in flagranza ma sarebbe stato, invece, tra quelli autonomamente intercettabili e gli esiti delle intercettazioni sarebbero indispensabili per l’accertamento di detto reato.
Il novellato art. 270 cod. proc. pen., in effetti, troverebbe applicazione in ragione dell’art. 1 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28 – convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70 – secondo cui il “nuovo” testo dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., si applica ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, e, dunque, anche al procedimento iscritto successivamente a detta data.
Il Tribunale, dunque, accogliendo il ricorso del Pubblico Ministero, aveva utilizzato gli esiti delle captazioni e aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza anche in relazione al delitto associativo, delineando per gli odierni ricorrenti il ruolo e il contributo fornito al sodalizio.
Ciò posto, avverso questa decisione presentavano ricorso per Cassazione gli indagati e uno di questi, tra i motivi ivi addotti, per quello che rileva in questa sede, deduceva violazione di legge, quanto all’art. 270 cod. proc. pen., e vizio di motivazione.
In particolare, secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe ritenuto utilizzabili gli esiti delle intercettazioni telefoniche sulla base di un’errata applicazione dell’art. 270 cod. proc. pen.; nel dettaglio, sarebbe stato erroneamente ritenuto applicabile l’art. 270 cod. proc. pen. – nel testo novellato dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 – nonostante le captazioni siano state autorizzate ed eseguite nell’anno 2019, sulla base di notizie di reato iscritte prima del 31 agosto 2020, e solo successivamente “trasferite” nel presente procedimento derivato.
Il regime normativo applicabile, invece, sempre ad avviso dell’impugnante, sarebbe stato quello vigente al momento in cui le intercettazioni furono disposte, non potendo mutare la disciplina di riferimento né per effetto degli sviluppi procedimentali successivi, e neppure in ragione delle modifiche apportate all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., che avrebbero ampliato l’ambito della deroga al generale divieto di utilizzazione delle intercettazioni disposte in altro procedimento.
L’utilizzabilità nel presente procedimento delle conversazioni intercettate avrebbe dovuto quindi essere esclusa in considerazione del testo previgente dell’art. 270 cod. proc. pen., non consentendo i reati per cui si procede l’arresto in flagranza e non essendovi connessione tra essi e quelli per i quali le captazioni furono disposte. Per un valido supporto per professionisti in materia di intercettazioni consigliamo: La nuova disciplina delle intercettazioni dopo la riforma Nordio

FORMATO CARTACEO

La nuova disciplina delle intercettazioni dopo la riforma Nordio

Il tema delle intercettazioni da tempo è uno dei più dibattuti e diversi sono stati gli interventi normativi che lo hanno interessato. Il presente volume offre una disamina completa della normativa attualmente in vigore che regolamenta la materia delle intercettazioni (telefoniche e non), alla luce dei recenti interventi legislativi, dalla Legge 9 ottobre 2023, n. 137, di conversionedel D.L. n. 105/2023 (decreto Giustizia) alla Legge 9 agosto 2024, n. 114 (riforma Nordio), nonché della rilevante pronuncia della Corte Costituzionale n. 170 del 2023.L’attenzione è rivolta agli aspetti pratici ed operativi della disciplina, con particolare riguardo alle varie forme di intercettazioni (telefoniche, telematiche, ambientali), alle nuove tecnicheutilizzate (come il trojan), e alla disciplina relativa alla acquisizione dei tabulati telefonici. Molto curata ed approfondita è la ricognizione dei principi operanti in materia elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.Paolo Emilio De Simone,Magistrato presso il Tribunale di Roma.Rosalba Cornacchia,Magistrato presso il Tribunale di Ferrara.Raffaella Montesano,Avvocato del Foro di Roma.

Paolo Emilio De Simone, Rosalba Cornacchia, Raffaella Montesano | Maggioli Editore 2024

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione da parte della Sezione quinta: in che limiti l’art. 270 cod. proc. pen. era applicabile al procedimento in esame


La Sezione penale quinta, assegnataria dei ricorsi summenzionati, prima di decidere in sede di legittimità, riteneva prima di tutto necessario comprendere se, e in che limiti, l’art. 270 cod. proc. pen. era applicabile al procedimento in esame.
Per questa Sezione, difatti, il riferimento è alla previsione di una ulteriore deroga al generale divieto di utilizzazione di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., contenuta nel nuovo testo della disposizione in questione – introdotta dal D.L. legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 – secondo cui, invece, “i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1, cod. proc. pen.”.
Dunque, nella nuova formulazione, il citato art. 270, comma 1, cod. proc. pen. disciplinerebbe due distinte deroghe al generale divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi rispetto a quello in cui il mezzo di ricerca della prova è stato disposto; alla deroga già in precedenza prevista, relativa dell’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, sarebbe stata aggiunta quella riguardante l’accertamento dei reati compresi nell’elenco dall’art. 266, comma 1, cod. proc. pen.
Orbene, all’opposto, il delitto associativo, per cui si procedeva nel caso di specie, non rientra tra quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ex art. 380, comma 1, cod. proc. pen., e neppure sussistono le condizioni di cui all’art. 380, comma 2, lett. m), cod. proc. pen., non essendo la fattispecie associativa, per come contestata, finalizzata alla commissione dei reati indicati in detta norma, ma sarebbe invece tra quelli che, in ragione del “nuovo” art. 270, cod. proc. pen., consentono, in quanto compreso nell’elenco dell’art. 266, comma 1, cod. proc. pen., di utilizzare nel presente procedimento la captazioni disposte nell’originario procedimento.
Oltre a ciò, questa Sezione quinta riteneva altresì doveroso affrontare un’ulteriore questione, ossia se il nuovo testo dell’art. 270 cod. proc. pen. fosse applicabile al procedimento in esame e, più in generale, su come dovesse interpretarsi il sintagma contenuto nell’art. 9 della legge n. 216 del 2017, che collega l’entrata in vigore del novellato art. 270 cod. proc. pen. “ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020”, stante l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale su tale tematica procedurale.
Invero, secondo un primo orientamento, espresso da Sez. 5, n. 37169 del 20/07/2022, la locuzione “procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020”, farebbe riferimento “a tutte le notizie di reato che, dopo tale data, siano state oggetto di nuova ed autonoma iscrizione, quale che sia la forma utilizzata dal pubblico ministero”, cioè “sia quando nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, sia quando acquisisce, nei confronti della stessa persona, elementi in ordine a fatti ulteriori costituenti reato, sia quando raccoglie, a carico di persone diverse dall’originario indagato, elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato ” e “quale che sia la forma utilizzata dal pubblico ministero”.
Ebbene, tale interpretazione, secondo l’indirizzo in esame, troverebbe fondamento in argomenti letterali e sistematici.
In particolare, quanto al primo profilo, si valorizza la modifica del testo del d.l, n. 161 del 2019, apportato in sede di conversione, con cui è stato mutato il parametro per l’individuazione del regime transitorio della nuova disciplina dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., sostituendo il riferimento della adozione dei “provvedimenti” autorizzativi delle intercettazioni con quello della “iscrizione” dei procedimenti.
Invece, quanto al secondo profilo, si è affermato che l’intenzione del legislatore sarebbe stata quella di derogare al principio tempus regit actum e di limitare gli effetti della pronuncia delle Sezioni Unite n. 51 del 28/11/2019 in tema di utilizzabilità e di trasmigrabilità degli esiti delle intercettazioni in un diverso procedimento.
Per tali ragioni, la locuzione “procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020”, per questo approdo ermeneutico, non potrebbe che riferirsi ai procedimenti nel cui ambito si intendono utilizzare i risultati delle intercettazioni aliunde captate e non già ai procedimenti in cui le stesse siano state autorizzate (in tal senso, anche, Sez. 5, n. 37911 del 20/07/2022, e Sez. 2, n. 37143 del 13/06/2023).
Invece, secondo un altro indirizzo interpretativo, espresso da Sez. 6, n. 9846 del 24/11/2022, la Corte di legittimità, ripercorrendo le motivazioni del precedente arresto della stessa Sezione (Sez. 6, n. 47235 del 17/11/2021), ha affermato che le modifiche apportate al testo dell’art. 270 cod. proc. pen. non troverebbero applicazione in tutti i casi in cui le captazioni, come nella specie, siano state autorizzate prima del 31 agosto 2020; dunque, si dovrebbe avere riguardo alla data di iscrizione del procedimento originario e, in particolare, al momento in cui la captazioni sono autorizzate.
Per questo filone ermeneutico, le modifiche apportate al testo dell’art. 270 cod. proc. pen. non troverebbero applicazione in tutti i casi in cui le captazioni, come nella specie, siano state autorizzate prima del 31 agosto 2020.
Sempre secondo l’impostazione in esame, non potrebbe difatti attribuirsi rilievo, al fine della individuazione della norma processuale applicabile ratione temporis, né alla circostanza che, per effetto degli sviluppi del procedimento, sia stato necessario disporre, in sede di indagini preliminari, lo stralcio dal procedimento originario di ulteriori notizie di reato emerse e neppure al fatto che l’iscrizione del diverso procedimento per tali nuove ipotesi di reato sia successiva al 31 agosto 2020, tenuto conto altresì del fatto che il regime normativo delle intercettazioni disposte prima della modifica dell’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. non potrebbe mutare per effetto di sviluppi procedimentali del tutto accidentali, quali la separazione di posizioni soggettive – con creazione di nuovi procedimenti – in ragione di nuove iscrizioni per fatti di reato diversi da quelli per i quali le intercettazioni sono state autorizzate, ovvero, ancora, a seguito della trasmissione degli atti ad altro Ufficio di Procura, per ragioni di competenza.
Il “nuovo” art. 270 cod. proc. pen. si applicherebbe quindi esclusivamente per le captazioni autorizzate dopo il 31 agosto 2020.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite


Le Sezioni unite delimitavano prima di tutto la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale nei seguenti termini: “Se la disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., nel testo introdotto dal decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7, ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, operi soltanto nel caso in cui il procedimento nel quale siano compiute le captazioni e il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ovvero nel caso in cui solo quest’ultimo sia stato iscritto dopo tale data”.
Orbene, siffatte Sezioni – dopo avere illustrato il quadro normativo di riferimento e richiamati gli orientamenti nomofilattici contrapposti formatisi in subiecta materia – ritenevano di dovere aderire al primo indirizzo interpretativo citato in precedenza.
Nel dettaglio, dopo essere stato definito l’oggetto del contrasto interpretativo e chiarita la natura giuridica della disposizione indicata, gli Ermellini stimavano prima di tutto come non potesse condividersi la tesi, pur autorevolmente prospettata in dottrina, secondo cui il legislatore, attraverso l’art. 9 della legge 216 del 2017, non avrebbe introdotto una vera e propria disciplina transitoria, ma si sarebbe limitato a prevedere “una sorta di mera vacatio legis“, con cui avrebbe inteso rimandare o sospendere l’entrata in vigore del decreto per centottanta giorni, trattandosi di una impostazione, si è sottolineato in dottrina, secondo cui il legislatore, da una parte, si sarebbe limitato a rinviare l’entrata in vigore del “novum” e, dall’altra, avrebbe poi rimesso alle ordinarie regole di diritto transitorio sulla successione delle norme processuali il compito di risolvere le problematiche di diritto intertemporale.
Orbene, la ragione di tale non condivisibilità era fatta risalire al fatto che, trattandosi di una impostazione che, sul presupposto della scindibilità del procedimento di intercettazione – articolato in plurime ed autonome fasi – condurrebbe a ritenere applicabile il novum, in ossequio al principio di diritto intertemporale del tempus regit actum, “a tutte le sotto-fasi non ancora compiute, mentre la vecchia disciplina continuerebbe a regolare le sotto-fasi già concluse”, ove venisse recepita, la sotto-fase della circolazione probatoria, in quanto non ancora compiuta alla data del 31 agosto 2020, sarebbe verosimilmente disciplinata dal “novum“, e, quindi, troverebbe applicazione il nuovo art. 270, comma 1, cod. proc. pen..
Più nel dettaglio, la Corte di legittimità ribadisce il fatto che si tratti di una impostazione non condivisibile, evidenziando innanzitutto che l’originaria formulazione dell’art. 9 D.Lgs. n. 216 del 2017 attribuiva rilievo, al fine di regolare il fenomeno successorio, alla presenza di un provvedimento autorizzativo emesso nel procedimento originario specificamente collocato in un dato momento; un provvedimento che influiva e condizionava le “operazioni di intercettazione” (così testualmente la disposizione) conseguenti alla sua emanazione.
Invero, essendo un provvedimento che determinava sul piano cronologico l’entrata in vigore del novum nella sua globalità, cioè l’insieme delle norme contenute negli artt. 2,3,4,5 e 7 D.Lgs. n. 216 del 2017, ciò faceva sì che la norma di diritto transitorio, che si veniva a configurare, derogava al principio di diritto intertemporale del tempus regit actum e che, attraverso il riferimento al “tempo” del provvedimento autorizzatorio, sottraeva il novum all’immediata applicazione; per le “operazioni di intercettazione“, riconducibili a provvedimenti autorizzativi emessi prima del termine stabilito nell’art. 9 D.Lgs. n. 216 del 2017, la riforma non operava.
Di conseguenza, la mancanza del presupposto individuato dal legislatore, costituito dall’emissione del provvedimento autorizzativo in un determinato contesto temporale, conduceva a ritenere che “le intercettazioni“, in precedenza autorizzate, continuassero ad essere disciplinate interamente – nel loro articolato procedimento plurifasico – dalla normativa previgente.
Ciò posto, quanto alla portata e all’ambito applicativo della norma transitoria, per le Sezioni unite, un primo dato rilevante – capace di orientare l’interpretazione e, quindi, la soluzione della questione rimessa – era che, diversamente da quanto emerge da uno dei due orientamenti in esame, quella in oggetto non è una disposizione provvisoria che regola la successione temporale solo con riguardo al rapporto tra il “vecchio” e il “nuovo” art. 270 cod. proc. pen.; in altri termini, non è cioè una norma che disciplina, nell’ambito delle procedure di intercettazioni, solo il fenomeno della successione normativa in tema di circolazione probatoria degli esiti delle captazioni in un “diverso procedimento“, trattandosi invece di una norma che regola i tempi di entrata in vigore di un intero “corpo normativo” una disposizione, cioè, che regola la successione di norme in tema di presupposti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, di modalità di documentazione delle attività captative, di conservazione del materiale, di procedimentalizzazione della selezione dei dati probatori raccolti, di utilizzabilità della prova, anche in un “diverso procedimento“.
Una disposizione che deve quindi essere interpretata in senso unitario, cioè facendo riferimento ad un unico criterio, capace di regolamentare sul piano temporale, l’entrata in vigore della “riforma” nel suo complesso, cioè in relazione a tutti i distinti profili del “procedimento di intercettazione” su cui il legislatore è intervenuto.
Per la Suprema Corte, non può dunque essere condivisa l’opzione che tende ad interpretare la disposizione transitoria in modo non unitario, senza cioè considerare la sua portata complessiva, ma facendo riferimento a criteri diversi a seconda del profilo, del segmento, della sotto-fase che, di volta in volta, viene in considerazione, trattandosi di una opzione che sostanzialmente interpreta la disposizione transitoria alla stregua del principio di diritto intertemporale del tempus regit actum a cui invece il legislatore ha mostrato di voler derogare.
Pertanto, per il Supremo Consesso, anche il profilo della successione di norme in tema di utilizzabilità degli esiti delle captazioni in un “diverso” procedimento deve essere esaminato e risolto facendo riferimento ad un unico “criterio“, lo stesso che regola, sotto il profilo temporale, la successione di tutte le norme dettate in tema di intercettazioni dal D.Lgs. n. 216 del 2017.
Chiarito ciò, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, assume allora rilievo il “fatto” che la disposizione provvisoria, nella sua originaria previsione, ponga come unico parametro di riferimento -per regolare il fenomeno successorio di tutti i profili innovati – un atto (il provvedimento autorizzatorio) del procedimento originario, cioè di quello in cui le captazioni sono disposte.
Dunque, anche il tema della circolazione probatoria degli esiti delle captazioni in un diverso procedimento (art. 270 cod. proc. pen.) veniva disciplinato, prima della modifica intervenuta in sede di conversione del d. l. n. 161 del 2019, facendo riferimento all’atto autorizzativo delle captazioni, nel senso che il novum previsto dall’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. poteva trovare applicazione solo per le captazioni autorizzate dopo un dato termine, avendo il legislatore risolto il tema della successione di tutte le norme dettando una disposizione transitoria e facendo riferimento al “procedimento originario”.
Delineato il quadro di riferimento esistente prima della modifica apportata in sede di conversione del D.L. n. 191 del 2019, a questo punto della disamina, la Cassazione stimava possibile considerare il senso della modifica e del nuovo riferimento contenuto nella disposizione provvisoria ai “procedimenti penali iscritti“.
Orbene, si evidenziava innanzitutto che, rispetto al testo previgente dell’art. 9 del D.Lgs. n. 216 del 2017, da più parti era stata posta una esigenza di chiarificazione, di esplicitazione, essendo stato evidenziato come il testo originario della disposizione provvisoria potesse produrre obiettive difficoltà in tutti i casi in cui, ad esempio, fossero state autorizzate intercettazioni nell’ambito dello stesso procedimento sia prima che dopo l’entrata in vigore del “novum” normativo, tenuto conto altresì del fatto che si fece altresì riferimento ai casi in cui la captazioni fossero state autorizzate dopo il termine previsto dalla disposizione provvisoria, ma in un procedimento iscritto prima del decorso di detto termine.
In particolare, si era sostenuto che, facendo riferimento al provvedimento autorizzatorio, si delineava una non facile convivenza delle intercettazioni disposte prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo con quelle disposte successivamente nell’ambito dello “stesso procedimento“.
Una esigenza di chiarificazione, dunque, che, per la Corte di legittimità, non poneva in dubbio la scelta legislativa di risolvere la successione di norme facendo riferimento al procedimento originario, ma che segnalava questioni rispetto alle quali poteva giustificarsi un intervento migliorativo, fermo restando che di queste preoccupazioni si rinviene una traccia obiettiva nei lavori preparatori.
Invero, già nelle osservazioni contenute nel parere redatto dalla Commissione Giustizia del Senato sullo schema del futuro D.Lgs. n. 216 del 2017, il Governo era stato invitato a valutare l’opportunità di una modifica, ma la sostituzione proposta venne respinta sulla base della constatazione che l’inevitabile spostamento in avanti della data di entrata in vigore della riforma non giustificava la invocata modifica, risultando il termine espresso nell’art. 9 “del tutto congruo per consentire… la migliore organizzazione degli uffici di procura”.
Nel dettaglio, dal momento che, in sede di presentazione al Senato del d.d.l. n. 1659 di conversione del D.L. n. 161 del 2019, era stato osservato, proprio con specifico riferimento alla disposizione transitoria prevista dall’art. 9 cit., come il “nuovo” riferimento ai “procedimenti penali iscritti” dopo una certa data, si giustificasse “soprattutto per eliminare il rischio di un doppio regime organizzativo e giuridico inerente allo stesso procedimento”, questo era dunque, per gli Ermellini, il senso della modifica che ci si accingeva ad introdurre, tanto più se si considera che di tale esigenza si rinviene peraltro un chiaro riferimento anche nel parere espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura proprio sul disegno di legge n. 1659 AS di conversione del decreto legge n. 161 del 2019.
Precisato ciò, quanto invece alla modifica del sintagma contenuto nella disposizione provvisoria introdotta nel testo della legge di conversione (“procedimenti penali iscritti“), il Consiglio Superiore aveva osservato che “la scelta di aver riguardo, ai fini dell’applicabilità delle modifiche, alla data di iscrizione del procedimento, piuttosto che alla data di emissione del decreto autorizzativo, appare molto più razionale poiché quest’ultimo criterio avrebbe determinato una commistione di disciplina applicabile alle operazioni di captazione già in corso nello stesso procedimento alla data di efficacia delle nuove disposizioni, con effetti di disordine e di incertezza”.
Quindi, rispetto al precedente testo dell’art. 9 cit., la modifica si collocava in una prospettiva di continuità esplicativa, di chiarimento migliorativo del dato normativo preesistente, e non certo di frattura e di superamento del senso e della portata della precedente disposizione;
La formulazione precedente dell’art. 9 cit., nel fare riferimento al provvedimento autorizzatorio delle captazioni quale momento processuale dirimente per la successione delle norme processuali, non poteva quindi che avere riguardo al procedimento a quo; nel 2020 il legislatore non aveva pertanto inteso mutare l’angolo prospettico, non aveva pensato, cioè, di dover cambiare il criterio dirimente e di disciplinare in modo diverso, con la norma transitoria in questione, la successione temporale della disciplina delle operazioni di intercettazioni.
Facendo riferimento alla data di iscrizione del procedimento, ci si era semplicemente limitati a puntualizzare, a razionalizzare, a migliorare la precedente disposizione provvisoria – che collegava l’entrata in vigore della riforma al procedimento “a quo” e alla data del provvedimento autorizzatorio delle captazioni – facendo invece riferimento alla data di iscrizione di “quel” procedimento, ossia si era voluto procedere ad una modifica meramente confermativa della volontà di “guardare” al procedimento originario.
Del resto, se è stato osservato in modo, per la Corte, condivisibile, come anche dopo la modifica della disposizione transitoria possano porsi questioni; cioè si è fatto riferimento all’ipotesi in cui “due o più procedimenti, con una diversa data di iscrizione, antecedente e successiva alla data di efficacia delle nuove disposizioni, siano riuniti, ovvero al caso in cui all’iscrizione di alcuni reati”, avvenuta prima del 31 agosto 2020, “ne facciano seguito in epoca successiva altre, aventi ad oggetto nuovi titoli di reato”, tuttavia, si tratta di evenienze il cui impatto è oggettivamente limitato a seguito dell’avvenuta definizione della nozione di “diverso procedimento” come delineata da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, con cui – quanto alla operatività dell’art. 270 cod. proc. pen. – da una parte, si è chiarito che si considerano unitariamente i procedimenti quando tra i reati vi sia un rapporto di connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., e, dall’altra, si è sottolineato in dottrina, “sono state neutralizzate letture meramente formali dell’art. 270 cod. proc. pen., fondate sulla mera materiale distinzione degli incartamenti, ovvero sulla diversità formale di fascicoli”.
Tal che se ne faceva conseguire che non vi sono elementi per ritenere che il legislatore, con la modifica del 2020, abbia cambiato angolo prospettico e che, con il riferimento alla “iscrizione del procedimento“, abbia voluto disciplinare la successione temporale facendo riferimento, in tema di circolazione probatoria degli esiti captativi, al procedimento “ad quem“.
Sussistono, invece, sempre per le Sezioni unite, obiettivi elementi per ritenere che quella modifica trovi la sua giustificazione, come detto, nella esigenza di “limare“, di migliorare il precedente criterio, di eliminare quelle situazioni di criticità, che erano state segnalate e di cui il legislatore era conscio.
Nel 2020 il legislatore, difatti, apportò una modifica della norma provvisoria che si muoveva nell’ambito dei rilievi operati, ma sempre avendo riguardo ad un unico criterio di definizione per la successione dell’intera “riforma” e al procedimento “a quo“, cioè al procedimento originario e non a quello “diverso“.
È la data di iscrizione del procedimento originario che segna, dunque, il limite temporale per la entrata in vigore di tutta la riforma.
Per la Suprema Corte, si è trattata di un’opzione interpretativa, quella (appena) indicata, che si impone in ragione del dato testuale, del senso complessivo e della portata della disposizione provvisoria e che, sul piano sistematico, è peraltro maggiormente compatibile con i principi costituzionali sottesi alla disciplina delle intercettazioni e, in particolare, ai profili di utilizzabilità probatoria degli esiti del mezzo di ricerca della prova in un diverso processo, ritenendosi valevole siffatto costrutto ermeneutico anche attraverso una ricognizione del quadro costituzionale, compiuta anche da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, in tema di utilizzabilità delle intercettazioni.
Assumono rilievo, in particolare, gli artt. 2-15 Cost., secondo cui il diritto a una comunicazione libera e segreta “è inviolabile nel senso che il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria” (Corte cost., sent. n. 366 del 1991).
Con riguardo alle intercettazioni, si è acutamente osservato in dottrina che ‘è indubbiamente vero che l’indiscussa utilità euristica delle informazioni acquisite è direttamente proporzionale all’entità del vulnus che lo strumento probatorio arreca alla “riservatezza” più l’attività captativa si avvicina cioè al nucleo della sfera individuale (costituito da quella intimità che l’individuo ritiene di non condividere con alcuno), più il dato acquisito può risultare prezioso per l’accertamento’.
È altrettanto vero, tuttavia, che l’esigenza di repressione dei reati deve essere perseguita nel rispetto dei diritti fondamentali (da ultimo, sul tema, Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024), delle garanzie difensive e del principio di proporzione come ancora rilevato in dottrina, “trasposto nel processo penale, esso segna il limite entro il quale la compressione di un’istanza fondamentale per fini processuali risulta legittima”.
In tale contesto, per il Supremo Consesso, si colloca la fondamentale affermazione della Corte costituzionale secondo cui “le restrizioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni conseguenti alle intercettazioni telefoniche sono sottoposte a condizioni di validità particolarmente rigorose, commisurate alla natura indubbiamente eccezionale dei limiti apponibili a un diritto personale di carattere inviolabile, quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni” (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), in quanto questo spiega la funzione e la decisiva valenza del provvedimento che autorizza le captazioni e che, per le ragioni indicate, deve essere puntualmente motivato (Corte cost., sent. n. 366 del 1991; Corte cost., sent. n. 34 del 1973): un provvedimento che “traccia” la disciplina applicabile, segna l’oggetto e il limite della intrusione nella sfera privata, garantisce i diritti fondamentali, soprattutto dei soggetti terzi rispetto al reato per cui si procede.
Quanto appena esposto, di conseguenza, “spiega” per i giudici di piazza Cavour i principi consolidatisi nel tempo, in tema di utilizzabilità degli esiti captativi in un procedimento diverso.
La regola generale è invero quella fissata dalla Corte Costituzionale, e cioè che “nel processo può essere utilizzato solo il materiale rilevante per l’imputazione di cui si discute” (Corte cost., sent. n. 34 del 1973); la circolazione tra procedimenti “diversi” degli esiti delle captazioni costituisce l’eccezione, una deroga alla regola generale del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti, che si giustifica in presenza di determinati presupposti diversamente, il provvedimento autorizzatorio costituirebbe un’inammissibile “autorizzazione in bianco” (Corte cost., sent. n. 366 del 1991; Corte cost., sent. n. 63 del 1994; Sez. U, n. 51 del 28/11/2019).
Pertanto, in tale contesto di riferimento, per le Sezioni unite, è obiettivamente più distante, rispetto ai principi indicati, l’opzione interpretativa secondo cui la norma transitoria di cui all’art. 9 legge 216 del 2017 – come modificata nel 2020 nella parte in cui fa riferimento “ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020” – dovrebbe essere interpretata, quanto all’art. 270 cod. proc. pen., nel senso di avere riguardo al procedimento ad quem, cioè al diverso procedimento, trattandosi di una opzione che, da una parte, incide in senso rilevante sul rapporto tra regola ed eccezione, tra principio generale e deroga e che limita la valenza costituiva che nel “procedimento di intercettazione” assume il provvedimento autorizzativo, e, dall’altra, deroga al principio generale fissato dalla Corte Costituzionale in ragione di variabili legate a contingenze non oggettive ma che, di volta in volta, possono aver portato ad iscrivere il procedimento derivato in un momento piuttosto che in altro, prima o dopo il 31 agosto 2020.
Del resto, un’interpretazione della norma transitoria, che estende o restringe la possibilità di utilizzare gli esiti delle captazioni in procedimenti diversi sulla base di valutazioni variabili, porta con sé il rischio che lo spazio privilegiato di riservatezza degli interscambi comunicativi personali subisca l’interferenza del potere pubblico oltre ciò che è stato “a monte” – cioè, nel procedimento originario – consentito.
Dunque, per le molteplici ragioni indicate, le Sezioni unite reputavano di non potere condividere l’orientamento secondo cui la norma transitoria dovrebbe essere interpretata mei senso di ritenere che, ai fini dell’applicazione del nuovo art. 270 cod. proc. pen., deve aversi riguardo alla data di iscrizione del procedimento “diverso“, essendo per contro condivisibile, ma per ragioni anche diverse da quelle esplicitate nelle sentenze indicate, l’orientamento secondo cui, in ragione della norma transitoria, il nuovo art. 270 cod. proc. pen. trova applicazione solo nel caso in cui il procedimento originario sia iscritto dopo il 31 agosto 2020.
La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: “La disciplina del regime di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dal D.L. 30 dicembre 2019, n. 161, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7 ed anteriore al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 8 ottobre 2023, n. 137 opera ove il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni sia stato iscritto successivamente al 31 agosto 2020”.

4. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito se la disciplina sulle intercettazioni in procedimenti diversi, nel testo introdotto dal D.L. n. 161 del 2019, n. 161, conv. con mod. dalla l. n. 7 del 2020,  ed anteriore al d.l. n. 105 del 2023, conv. con mod. dalla l. n. 137 del 2023, si applica qualora il procedimento sia stato iscritto dopo il 31 agosto 2020.
Come appena visto, le Sezioni unite forniscono una risposta positiva, postulando che la disciplina sull’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, introdotta dal D.L. 161/2019 ed anteriore al D.L. 105/2023, si applica ai procedimenti (per i quali sono state eseguite tali operazioni captative) iscritti dopo il 31 agosto 2020.
Tale arresto giurisprudenziale, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di comprendere che la disciplina sull’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, vigente in questo frangente temporale, può essere presa in considerazione anche per i procedimenti iscritti dopo tale data.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché fa chiarezza su tale tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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