Il Consiglio dei Ministri ha approvato nella seduta di giovedì 8 settembre, su proposta del Presidente del Consiglio e dei Ministri per le riforme ed il federalismo e per la semplificazione normativa, il disegno di legge costituzionale che disciplina il procedimento di soppressione della provincia quale ente locale statale.
I CONTENUTI
Il disegno di legge costituzionale prevede:
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La soppressione di ogni riferimento testuale alle Province contenuto nella Costituzione;
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L’attribuzione alle Regioni, previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali, della competenza ad istituire sull’intero territorio regionale forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale;
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La previsione, in sede di prima applicazione, entro un anno dalla data in entrata in vigore della legge costituzionale, dell’istituzione da parte delle Regioni delle forme associative fra i Comuni.
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La soppressione Province alla data di cessazione del mandato amministrativo di ciascuna di esse in corso alla data di scadenza del termine del periodo transitorio (un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale);
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In caso di inerzia delle Regioni, i Comuni ricadenti nel territorio delle province soppresse sono costituiti in unione di comuni, ai sensi della normativa vigente, per lo svolgimento delle funzioni di governo di area vasta già esercitate dalle Province;
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La successione dell’unione di comuni alla provincia in ogni rapporto giuridico, anche di lavoro, esistente alla data di soppressione di ciascuna provincia;
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La soppressione da parte delle Regioni di enti, agenzie e organismi, comunque denominati, che svolgono funzioni di governo di area vasta e il divieto di istituirne di nuovi;
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L’applicazione delle disposizioni anche alle Province delle Regioni a statuto speciale, fatta eccezione per quelle autonome di Trento e di Bolzano;
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La razionalizzazione da parte dello Stato della presenza dei propri organi periferici, adeguandola alla determinazione delle leggi regionali;
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La riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi in ciascuna Regione.
VALUTAZIONI CRITICHE
L’obiettivo reale che si intende perseguire con la proposta di riforma costituzionale risulta davvero incomprensibile.
Non può essere l’obiettivo che tutti si aspettavano cioè della razionalizzazione e semplificazione dell’ordinamento dello Stato per le motivazioni che di seguito si cercherà di illustrare.
L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO
Il progetto di riforma costituzionale prevede che le Regioni debbano istituire sull’intero territorio regionale forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale.
Si tratta di un obbligo, tanto che in caso di inerzia delle Regioni, i Comuni ricadenti nel territorio delle province soppresse sono costituiti ex lege in unione di comuni, ai sensi della normativa vigente, per lo svolgimento delle funzioni di governo di area vasta già esercitate dalle Province.
Se ne deduce chiaramente che:
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Si ribadisce con legge costituzionale il ruolo essenziale di un soggetto istituzionale che assicuri il livello intermedio di governo del territorio fra la Regione ed il Comune;
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Che a tale soggetto istituzionale debbano essere obbligatoriamente attribuite le “funzioni di governo di area vasta”, tanto che, con legge costituzionale, si sancisce la soppressione da parte delle Regioni di enti, agenzie e organismi, comunque denominati, che svolgono funzioni di governo di area vasta e il divieto di istituirne di nuovi.
Allora perché sopprimere le Province che per storia, dimensioni e struttura rappresentano l’Ente “naturalmente” vocato a svolgere tali funzioni?
Al riguardo va affermato con forza come non sia più tollerabile utilizzare le Province per riforme ‘bandiera’, che portano allo Stato risparmi insignificanti e che servono solo a non affrontare in maniera seria il riordino istituzionale e ad eludere il tema della riorganizzazione dello Stato e la riduzione drastica dei costi della politica.
Non sarebbe stato più opportuno, più serio, più credibile dettare norme – anche di rango costituzionale a prevenire gli abusi che lo stesso legislatore, con la creazione recente di nuove Province ha commesso – contenenti criteri e modalità per la ridefinizione dei confini provinciali in modo che il territorio di ciascuna Provincia abbia una estensione e comprenda una popolazione tale da consentire l’ottimale esercizio delle funzioni previste per il livello di governo di area vasta riducendo così il numero complessivo delle attuali Province?
LA RAPPRESENTATIVITA’ DEMOCRATICA
Vi è la diffusa consapevolezza che l’opinione pubblica non accetta più che vi siano evidenti sprechi nella spesa pubblica, e che parte di detti sprechi siano stati individuati nei “costi della politica”.
Appare evidente che una ben orchestrata campagna di stampa tende ad individuare negli Enti Locali, e segnatamente nell’Ente Provincia, il luogo ove si anniderebbero detti sprechi.
Ma non è accettabile, che per questo, si intervenga in modo così maldestro nella definizione costituzionale dell’ordinamento della Repubblica.
Non si può ridisegnare l’assetto istituzionale del sistema democratico al di fuori di una visione di insieme che eviti il crearsi di squilibri e asimmetrie nel rapporto fra i cittadini e lo Stato.
E’ letteralmente folle decidere sulla persistenza o la cancellazione di gangli vitali dell’articolazione statale sulla base di meri criteri di convenienza politica, ideologica o meramente economica (tutta da dimostrare quest’ultima) anziché in riferimento ad una verifica dell’effettiva necessità del loro mantenimento o eliminazione in rapporto alle esigenze per le quali essi sono stati creati.
Qui non sono in gioco gli interessi privati di un numero ristretto di persone, quanto piuttosto il modo di essere e di funzionare dello Stato.
L’intervento proposto implica una vulnerazione istituzionale senza precedenti.
Guai ad assimilare e confondere i costi della politica con i costi della democrazia; oggi si rinuncia alla democrazia solo perché non si è capaci di far pagare le tasse a chi dovrebbe farlo.
Il livello di governo provinciale risulta connaturato con l’identità socio culturale, con la storia stessa dell’Italia e soprattutto è l’unico in grado di assicurare ai Comuni, anche quelli più piccoli, di svolgere la loro attività ed erogare i servizi nel modo migliore.
E’ assurdo vanificare, ricercando in modo strumentale un facile consenso, un percorso su cui l’intero Paese si è indirizzato, facendo delle Province un presidio fondamentale della Repubblica fondata sulle Autonomie locali.
Va, infatti, piuttosto valorizzato il ruolo delle Province come presidio democratico del territorio provinciale: una comunità che si organizza a livello provinciale in tutti i suoi aspetti (economico, sindacale, politico, religioso, associativo…) deve essere governata da un’istituzione democraticamente rappresentativa, attraverso l’elezione diretta degli organi di governo.
Con la “riforma” prefigurata dal disegno di legge costituzionale, è vero, si “risparmierebbe” l’elezione di Presidenti di Provincia e di consigli provinciali: ma siamo sicuri – come ricorda il prof. Onida – che l’accentramento politico in capo alla Regione, che ne risulterebbe, sia una soluzione soddisfacente?
Uno dei timori e dei rischi che da sempre caratterizzano il nostro sistema delle autonomie è quello del “centralismo” regionale.
Non è affatto detto che un semplice decentramento amministrativo della Regione sia in grado di soddisfare le aspirazioni di autogoverno delle popolazioni.
LE FORME ASSOCIATIVE DEI COMUNI
Secondo la proposta di riforma costituzionale, le Regioni, previa intesa con il Consiglio delle autonomie locali, dovrebbero istituire sull’intero territorio regionale forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale che subentrerebbero alle attuali Province.
Difficile comprendere il senso di tale proposta.
La scelta di collocare le funzioni di area vasta a livello di Unione di comuni porterà con molta probabilità a regime alla creazione di enti di area vasta in un numero molto superiore rispetto a quello delle Province esistenti e, allo stesso tempo, farà venire meno un disegno chiaro di rappresentanza istituzionale e democratica del livello di governo di area vasta in tutto il territorio nazionale.
C’è il serio rischio di appesantire, anziché semplificare, il sistema amministrativo, moltiplicando gli Enti di riferimento.
Questo modello contrasta poi con la scelta proprio in questi giorni operata dal Parlamento, nella conversione del decreto legge recante la manovra estiva, in cui è direttamente la legge dello Stato che disciplina le funzioni associate dei piccoli comuni (sotto i 1000 abitanti).
La mancanza di indirizzi certi al legislatore regionale comporta infine il rischio che le funzioni di area vasta (non definite) siano allocate concretamente a livello regionale con la conseguenza di favorire ulteriormente le tendenze già in atto di centralismo amministrativo regionale.
LE UNIONI DEI COMUNI
Le “Unioni dei Comuni” ai sensi della normativa vigente, cui fa riferimento la proposta di riforma costituzionale sono enti territoriali di secondo grado disciplinati dall’art. 32 del Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000).
La normativa vigente prevede che:
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Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza.
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L’atto costitutivo e lo statuto dell’unione sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua gli organi dell’unione e le modalità per la loro costituzione e individua altresì le funzioni svolte dall’unione e le corrispondenti risorse.
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Lo statuto deve comunque prevedere il presidente dell’unione scelto tra i sindaci dei comuni interessati e deve prevedere che altri organi siano formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze.
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L’unione ha potestà regolamentare per la disciplina della propria organizzazione, per lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate e per i rapporti anche finanziari con i comuni.
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Alle unioni di comuni si applicano, in quanto compatibili, i princìpi previsti per l’ordinamento dei comuni. Si applicano, in particolare, le norme in materia di composizione degli organi dei comuni; il numero dei componenti degli organi non può comunque eccedere i limiti previsti per i comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente. Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati
E’ davvero pensabile che nel caso in cui le Regioni non provvedano possa svolgere efficacemente tutte le competenze esercitate oggi dalle Province da un’unione di 90, 100 e talvolta più Comuni che oggi compresi nelle attuali Province?
LA (PRESUNTA) RIDUZIONE DEI COSTI
Se l’obiettivo è quello dichiarato di “riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi in ciascuna Regione”, senza peraltro specificarne l’entità, allora appare ancor più incomprensibile la scelta di procedere ad una revisione costituzionale poco o per nulla organica, priva di qualsiasi approfondimento.
E’ stato da tempo da più parti ribadita l’esigenza di procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica.
Il processo di attuazione del federalismo fiscale avrebbe dovuto imporre una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità. Invertendo quel processo caratterizzato negli ultimi anni sempre più dal centralismo regionale che di fatto ha parzialmente vanificato il processo di decentramento amministrativo inaugurato nella seconda metà degli anni ’90.
Bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica.
Non è accettabile che vengano continuamente presi di mira le spese connesse con l’esistenza di una rete di poteri istituzionali decentrati – i Comuni e le Province – che sono espressione delle peculiarità storiche dei territori e l’essenza stessa della democrazia e al contrario non emerge alcuna volontà di procedere alla revisione della legislazione per la soppressione effettiva di tutte le strutture, gli enti o gli uffici che esercitano funzioni riconducibili agli Enti Locali (ATO acque e rifiuti, consorzi, agenzie, enti strumentali, uffici statali e regionali decentrati a livello provinciale,…), lontani dai cittadini, non conosciuti e difficilmente controllabili.
La “riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi in ciascuna Regione” si sarebbe potuta ottenere in tempi rapidi e certi attraverso:
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l’emanazione di norme per evitare il proliferare dei vari organismi intercomunali (società, consorzi, agenzie, ecc.), riconducendo ogni competenza e funzione alle assemblee elettive;
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l’emanazione di norme per chiarire le competenze degli Enti locali tutti, e non solo delle province, attraverso il trasferimento di funzioni e compiti agli Enti Locali tutti, in stretta connessione con le norme del federalismo fiscale (art. 118 della Costituzione) e la riforma oggi in itinere del Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali;
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la riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato intorno alle Province e la soppressione degli Uffici statali decentrati ed il conseguente trasferimento delle relative funzioni a favore delle Province in attuazione del Federalismo:
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uffici scolastici provinciali
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motorizzazione civile
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direzioni provinciali del lavoro
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consorzi dei bacini imbriferi montani di cui alla legge 27 dicembre 1953, n. 939
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agenzie del territorio
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la soppressione di tutti gli enti strumentali e il divieto di costituire o mantenere di tutti quegli enti o uffici che esercitano funzioni riconducibili agli Enti Locali;
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l’obbligo di trasferimento a Comuni e Province di tutte le funzioni amministrative in applicazione del principio di sussidiarietà e la contestuale individuazione e trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie a garantirne l’esercizio previa concertazione con le Autonomie locali; conseguentemente tutte le funzioni statali e regionali che non attengono ad esigenze unitarie per la collettività ed il territorio nazionale e regionale, devono essere conferite alle province e ai comuni secondo le rispettive dimensioni territoriali associative ed organizzative.
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il trasferimento alle Province delle funzioni oggi svolte da Enti (ATO, ATER, ESU, Consorzi di Bonifica, Enti Parco Regionali, ecc.) con un risparmio immediato di costi riferiti a Presidenti, Consiglieri di Amministrazione, staff, Direttori, quantificabili in cifre ben superiori a quelle solo stimate derivanti dalla soppressione delle Province e, soprattutto, rapidamente riscontrabili.
CONCLUSIONI
Fortunatamente i padri costituenti hanno previsto all’art. 138 della Costituzione una “procedura rafforzata” per le modifiche alla Costituzione e per l’emanazione di leggi costituzionali.
Il procedimento legislativo impone maggioranze qualificate ed un congruo tempo di riflessione ed approfondimento.
E’ auspicabile che il Parlamento ne faccia buon uso.
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