Disegno di legge n. 266, d’iniziativa del senatore Ripamonti, comunicato alla Presidenza il 21 giugno 2001 ed intitolato “Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa”.

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Art. 1 Finalità e campo applicativo
1. La presente legge tutela qualsiasi lavoratrice e lavoratore da violenze morali e persecuzioni psicologiche perpetrate in ambito lavorativo mediante azioni definite dall’articolo 2.
2. La tutela di cui al comma 1 si esplica per tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, comprese le collaborazioni, indipendentemente dalla loro natura, mansione e grado.
 
 
Art. 2 Definizione
1. Ai fini della presente legge vengono considerate violenze morali e persecuzioni psicologiche, nell’ambito dell’attività lavorativa, quelle azioni che mirano esplicitamente a danneggiare una lavoratrice o un lavoratore. Tali azioni devono essere svolte con carattere sistematico, duraturo e intenso.
2. Gli atti vessatori, persecutori, le critiche e i maltrattamenti verbali esasperati, l’offesa alla dignità, la delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni all’impresa, ente o amministrazione – clienti, fornitori, consulenti – comunque attuati da superiori, pari-grado, inferiori e datori di lavoro, per avere il carattere della violenza morale e delle persecuzioni psicologiche, devono mirare a discriminare, screditare o, comunque, danneggiare il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale e informale, grado di influenza sugli altri. Allo stesso modo vanno considerate la rimozione da incarichi, l’esclusione o immotivata marginalizzazione dalla normale comunicazione aziendale, la sottostima sistematica dei risultati, l’attribuzione di compiti molto al di sopra delle possibilità professionali o della condizione fisica e di salute.
3. Ciascun elemento concorre individualmente nella valutazione del livello di gravità.
4. Ai fini dell’accertamento della responsabilità soggettiva, l’istigazione è considerata equivalente alla commissione del fatto.
 
 
Art. 3 Prevenzione ed informazione
1. Ai fini di prevenire le attività di violenza morale e persecuzione psicologica, i datori di lavoro, pubblici e privati, e le rispettive rappresentanze sindacali aziendali, pongono in essere – anche in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2087 del codice civile – iniziative di informazione periodica verso i lavoratori. Tali azioni concorrono ad individuare, anche a livello di sintomi, la manifestazione di condizioni di maltrattamenti e di discriminazioni, cosí come indicate all’articolo 2. L’attività informativa investe anche gli aspetti organizzativi – ruoli, mansioni, carriere, mobilità – nei quali la trasparenza e la correttezza nei rapporti aziendali e professionali deve essere sempre manifesta.
2. Qualora siano denunciati da parte di singoli o da gruppi di lavoratori, al datore di lavoro e alle rappresentanze sindacali aziendali, comportamenti di cui all’articolo 2, questi ultimi hanno l’obbligo di attivare procedure tempestive di accertamento dei fatti denunciati e misure per il loro superamento. Per la predisposizione di tali misure vengono sentiti anche i lavoratori dell’area aziendale interessata ai fatti accertati.
3. Al momento della formalizzazione di qualsiasi tipo di rapporto di lavoro, il datore di lavoro consegna ai lavoratori una comunicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali relativa alla tutela dal le violenze morali e dalla persecuzione psicologica nel lavoro. La predetta comunicazione deve essere affissa nelle bacheche aziendali.
4. Ad integrazione di quanto disposto dall’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori hanno diritto a due ore di assemblea su base annuale, fuori dall’orario di lavoro, per trattare il tema delle violenze morali e delle persecuzioni psicologiche nel luogo di lavoro, di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge. Le assemblee sono indette con le modalità e si svolgono nelle forme di cui al citato articolo 20 della legge n. 300 del 1970. Alle assemblee possono partecipare le rappresentanze sindacali aziendali, i dirigenti sindacali ed esperti.
 
 
Art. 4 Responsabilità disciplinari
1. Nei confronti di coloro che attuano azioni di cui all’articolo 2, si configura responsabilità disciplinare, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Analoga responsabilità grava su chi denuncia consapevolmente fatti di cui al medesimo articolo 2 che si rivelino inesistenti per ottenere vantaggi comunque configurabili.
 
 
Art. 5 Azioni di tutela giudiziaria
1. Il lavoratore che abbia subito violenza morale e persecuzione psicologica nel luogo di lavoro ai sensi dell’articolo 2, e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi ma intenda adire il giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dall’articolo 410 del codice di procedura civile, anche attraverso le rappresentanze sindacali aziendali. Si applicano, per il ricorso in giudizio, le disposizioni di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile. Il giudice condanna altresì il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, che liquida in forma equitativa.
 
 
Art. 6 Conseguenze per gli atti derivanti dalle violenze psicologiche
1. Le variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni, negli incarichi, nei trasferimenti o le dimissioni, determinate da azioni di violenza morale e persecuzione psicologica, sono impugnabili ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2113 del codice civile, salvo risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 5 della presente legge.
 
 
Art. 7 Pubblicità del provvedimento del giudice
1. Su istanza della parte interessata il giudice può disporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione venga data informazione, a cura del datore di lavoro, mediante lettera ai dipendenti interessati, per reparto e attività, dove si é manifestato il caso di violenza morale e persecuzione psicologica, oggetto dell’intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali azioni di violenza e persecuzione.
 
 
Art. 8 Nullità degli atti discriminatorie di ritorsione
1. Tutti gli atti o fatti che derivino da comportamento di cui agli articoli 1, 2 e 3 sono nulli.
2. I provvedimenti relativi alla posizione soggettiva del lavoratore che abbia posto in essere una denuncia per comportamenti di cui all’articolo 2, in qualunque modo peggiorativi della propria condizione professionale, compresi i trasferimenti e i licenziamenti, adottati entro un anno dal momento della denuncia, si presumono a contenuto discriminatorio, salvo prova contraria, ai sensi dell’articolo 2728, secondo comma, del codice civile.

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